ODISSEA – Riassunto e commento 12° libro

 ODISSEA

LE SIRENE
SCILLA E CARIDDI
 GLI ARMENTI DEL SOLE
LA VENDETTA DI GIOVE

LIBRO XII

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Tempo: Notte sul trentaquattresimo giorno dall’inizio del poema. Azione raccontata ad Alcinoo. Luoghi dell’azione raccontata: Eea; isola delle Sirene; Scilla e Cariddi; isola di Trinacria; isola di Ogigia

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NEL LIBRO PRECEDENTE
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Giunto alle rive dell’Oceano, presso i Cimmeri, Ulisse scava la fossa prescritta e fa il sacrificio; vengono le ombre e innanzitutto Elpenore, che racconta la sua vicenda e chiede sepoltura. E quindi la madre Anticlea, cui, suo malgrado, l’eroe non permette di accostarsi al sangue, e infine Tiresia, che avendo bevuto predice ad Ulisse cosa gli capiterà nella Trinacria, in Italia e dopo. Poi anche Anticlea, bevuto il sangue, riconosce il figlio e lo informa sulla fedeltà di Penelope, su Telemaco e Laerte, sulla sua morte di crepacuore. Sfila quindi una lunga serie di donne illustri. Benché Ulisse sia stanco di raccontare, Alcinoo lo prega di proseguire. Cosi l’eroe narra di Agamennone e della sua morte, descrittagli da lui stesso, di Achille ansioso di notizie del figlio Neottolemo, di Aiace ancora adirato con lui per il giudizio delle armi, di altre ombre ch’egli ha avuto modo di vedere nell’Ade.

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Ritornati all’isola di Eea Ulisse e i compagni passano la notte dormendo sulla spiaggia; all’alba, trovato il corpo di Elpenore, gli danno sepoltura e durante il triste ufficio giunge Circe con abbondanti viveri per la prosecuzione del viaggio.
Quindi la maga insegna all’eroe come dovrà evitare le future insidie che lo attendono: il canto ammaliatore delle Sirene, il duplice pericolo di Scilla e Cariddi, l’assoluta necessità di non toccare i buoi del Sole nell’isola di Sicilia.
Avviene la partenza; in vista dell’isola delle Sirene Ulisse avverte i compagni dei gravi pericoli che rappresenta il loro canto per cui, seguendo i consigli della maga, egli tura loro con della cera gli orecchi e si fa legare all’albero della nave. Ben presto il canto dolcissimo delle Sirene si spande nell’aria e con esso la promessa di far conoscere tutto ciò che avviene sulla terra. Ulisse ne è affascinato e con cenni degli occhi vorrebbe essere slegato, ma i compagni vogano con maggior impeto ed anzi stringono ancor più i legami che lo tengono avvinto.
Superato il pericolo delle Sirene un gran fumo appare in lontananza sui flutti e s’ode un immenso fragore: è prossima la voragine di Cariddi. Ulisse rincuora i suoi, consigliandoli di tenersi il più lontano possibile dal gorgo; non accenna tuttavia a Scilla, per non accrescere il loro spavento.
L’eroe si pone quindi sulla prua della nave, armato, con lo sguardo fisso allo scoglio del mostro, il quale tuttavia, approfittando di un attimo in cui tutti sono intenti ad evitare il risucchio, allunga i suoi tentacoli e afferra sei uomini, mentre Ulisse assiste impotente e straziato alla scena.
Ed ecco l’isola di Trinacria, da cui giungono di lontano muggiti e belati.
Ulisse vorrebbe non approdarvi ed esorta in tal senso i compagni; ma Euriloco protesta e cosi alla fine si sbarca, dopo solenne giuramento che gli armenti e i greggi del Sole non saranno toccati.
Passa un mese; i venti non permettono di rimbarcarsi, i viveri scarseggiano; Ulisse, appartatosi per pregare, s’addormenta. La fame ed Euriloco sono cattivi consiglieri e Ulisse al suo risveglio, sente il profumo delle carni arrostite. Ben presto strani prodigi avvertono dell’ira del Sole, che ha ottenuto da Giove promessa di vendetta. Dopo sei giorni di banchetto, al settimo, Ulisse e i suoi salpano.
Il cielo si incupisce, i fulmini e la tempesta ad un tratto sfasciano la nave, tutti i compagni periscono in mare, il solo Ulisse si salva sui rottami legati insieme, come una rudimentale zattera. L’eroe nella notte è trasportato alla cieca dal vento ed ecco, al mattino, ancora Scilla e Cariddi. La voragine ingoia la zattera, mentre l’eroe resta parecchie ore sospeso ad un albero di fico che sovrasta il gorgo, finché, verso sera, i rottami vengono rigettati ed il naufrago può nuovamente raggiungerli a nuoto. Dopo nove giorni di infelice navigazione, le onde gettano Ulisse sulla spiaggia di Ogigia, dove egli viene accolto ed ospitato da Calipso.
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COMMENTO – In questo canto si conclude, dopo quattro libri, l’avvincente rievocazione che Ulisse fa ad Alcinoo delle proprie avventure. E l’incanto del meraviglioso vi perdura, come nei libri precedenti, anche se l’interesse vi è meno vivo, perché gli episodi narrati mancano dell’elemento sorpresa, che già sono stati anticipati dalla profezia di Tiresia, dagli ammonimenti di Circe, dai consigli di Ulisse stesso ai compagni.
Ciononostante l’intonazione generale resta di ansiosa avventura e l’allegoria, più o meno moraleggiante che si è voluta vedere (“sotto ‘l velame delli versi” non smorza l’interesse della narrazione, che è sempre avvincente.
Innanzitutto nell’episodio delle Sirene, creature bellissime proprio perché indefinite e indefinibili, il cui canto affascinatore riesce cosi suggestivo per la cornice in cui si spande nell’aria, l’improvvisa bonaccia tutta pregna di un’atmosfera d’incanto e di mistero per l’ansia e la precauzione di Ulisse, per gli effetti chiaramente visibili che esso provoca su di lui. Canto che nulla dice, ma tutto promette, anche se invita a fermarsi all’ombra di un macabro mucchio di ossa sbiancate.
Nel successivo episodio di Scilla e Cariddi non ci meraviglia più l’essenza del fenomeno, che già ci è stato abbondantemente anticipato, ma il tono suggestivo e sempre ansioso dello svolgersi dei fatti, come in un dramma di cui si conosca la trama, ma che egualmente ci avvince per la forza dell’azione scenica. Un tratto di viva poesia su tutti: la rapidità fulminea con cui Scilla afferra i sei malcapitati compagni, quelle loro mani convulse e impotenti, il grido disperato e vano nell’aria.
Meno poetico e d’inventiva meno felice (il sonno di Ulisse si ripete e già lo abbiamo incontrato nell’episodio dell’otre di Eolo) il racconto del soggiorno in Trinacria, che inizia con nuovi tocchi al già noto personaggio Euriloco e si chiude, a misfatto compiuto, con un’aria pesante di rimorsi, di incubi, di attesa del peggio.
Più elevato il tono e più tragico lo stile nella tempesta e nel conseguente naufragio, che è campo dove già altre volte abbiamo ammirato il nostro poeta. Si chiudono cosi i canti del ritorno e il favoloso racconto di Ulisse e si apre la terza parte del poema, la vendetta sui Proci.
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