ODISSEA – Riassunto e commento 13° libro

ODISSEA

L’ARRIVO IN PATRIA
ULISSE NON RICONOSCE LA SUA  ISOLA
 ITACA

LIBRO XIII

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Tempo: Notte sul trentaquattresimo, trentaquattresimo e trentacinquesimo giorno dall’inizio del poema.  
Luoghi dell’azione: Scheria, mare Jonio, Olimpo, lido di Itaca

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NEL LIBRO PRECEDENTE
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Ritornato all’isola di Eea Ulisse dà sepoltura ad Elpenore e quindi, ricevuti da Circe viveri e consigli, salpa. In vista dell’isola delle Sirene l’eroe, dopo aver turato le orecchie ai compagni, si fa legare all’albero della nave e viene cosi vinto il pericolo del canto ammaliatore. Superate anche Scilla e Cariddi con la perdita di sei uomini, Ulisse giunge in vista dell’isola di Trinacria. Non vorrebbe sbarcare, per evitare che i suoi tocchino gli armenti del Sole, ma infine prevale il consiglio di Euriloco e il giuramento di tutti. Passa un mese ed i venti non permettono di salpare. I viveri scarseggiano sempre più ed un giorno, in cui Ulisse appartatosi s’addormenta, la nefanda azione è compiuta. Strani prodigi preannunciano la vendetta che ben presto si manifesta, a rimbarco avvenuto, sotto forma di fulmini e di tempesta che la annegare tutti i compagni di Ulisse, il quale da solo sui rottami della nave, dopo aver evitato ancora una volta Cariddi, naviga per nove giorni ed è sbattuto infine sulla spiaggia di Ogigia, dove viene accolto da Calipso.
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Finito il lungo racconto Alcinoo propone a tutti i principi che si facciano nuovi doni all’ospite: un treppiede ed un’anfora per ognuno. All’alba lo stesso re colloca nella nave già pronta i nuovi regali. Ucciso un bue ha inizio l’ultimo solenne banchetto di commiato che dura fino a sera.
Ulisse, infine, si congeda dai suoi ospiti e, dopo aver loro augurato ogni bene ed ogni felicità, si imbarca e tosto si addormenta profondamente nel comodo giaciglio apprestatogli dai marinai. La nave fila veloce verso Itaca, e all’alba approda nel porto di Forco. Ulisse, ancora immerso nel sonno, viene deposto sulla spiaggia e con lui i doni preziosi, che sono nascosti in un luogo appartato. Quindi la nave riprende il mare verso Scheria.
Nettuno frattanto si lamenta con Giove che gli uomini lo abbiano in dispregio; anche i Feaci, suoi discendenti, i quali contro la sua volontà hanno trasportato Ulisse in patria, sano e salvo e colmo di tesori. Giove Io rassicura e gli concede, per vendetta, di trasformare in sasso la nave dei Feaci, non appena essa avrà toccato il porto e di coprire con un’alta montagna la città alla vista dal mare.
I cittadini di Scheria dalla città assistono al prodigio della metamorfosi della nave ed Alcinoo spiega che s’è verificata un’antica profezia di suo padre Nausitoo e decide di placare Nettuno con un sacrificio di dodici tori, affinché il Dio non attui anche la seconda parte della minaccia.
Ulisse frattanto, svegliatosi, non riconosce la sua isola, ché una fitta nebbia con la quale Minerva lo ha avvolto gli impedisce di vedere. Pensa per un momento che i Feaci gli abbiano giocato il tiro di deporlo in una terra diversa dalla sua; conta i doni: ci sono tutti. Finalmente Minerva gli si presenta sotto la specie di un pastorello, che lo rassicura circa l’identità dell’isola. Ma l’eroe non rivela il suo vero essere ed inventa una storia alla quale la Dea sorride; infine, complimentandosi con lui per la sua sagacia, Minerva gli si manifesta.
Gli consiglia quindi quale condotta egli dovrà usare nei confronti dei Proci, che gli insidiano la moglie e gli divorano le sostanze. La nebbia si dirada: Ulisse riconosce il porto e la grotta delle Naiadi e il Nèrito verde di selve; quindi si china a baciare la sua terra.
Minerva lo incoraggia e lo rassicura che gli sarà sempre al fianco nelle nuove prove che lo attendono e perché nessuno lo possa riconoscere, lo trasforma in un vecchio mendico. Lo consiglia poi di recarsi presso il fedele porcaro Eumeo, per chiedergli notizie sulla reggia. Ella, intanto, andrà in cerca di Telemaco a Sparta, e lo farà ritornare sotto la sua protezione, affinché i Proci, nonostante i loro agguati, non possano nuocergli. Tocca quindi Ulisse con la verga e Io trasforma in un vecchio, ricoperto di una pelle di cervo con bisaccia e bastone.
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COMMENTO – Il tredicesimo è un canto di raccordo, tra la seconda parte del poema, quella retrospettiva e comprendente il racconto ad Alcinoo, e l’ultima parte, che culmina nella vendetta contro i Proci. Dopo aver seguito Ulisse nelle sue peregrinazioni da Troia ai Ciconi e ai Lotofagi, dopo aver con Ulisse trepidato e disperato nella grotta del mostro, gioito della sua salvezza, accompagnandolo quindi ancora da Eolo, ai Lestrigoni, a Circe, al tenebroso Averno, per seguirlo finalmente sino a Ogigia, ormai solo, a cavalcioni di una zattera, l’animo del lettore ritorna alla realtà, nella reggia di Alcinoo.
Ulisse ha finito di raccontare e la sua personalità umana ed eroica si è notevolmente ingrandita agli occhi dei suoi ospiti, radunati nel mègaron di Alcinoo, sicché essi esprimono con nuovi doni la loro ammirazione. Ecco infine il ritorno.
Lo accompagna, nel silenzio del commiato, quell’atmosfera di benevolenza con la quale l’eroe era stato accolto alla reggia di Scheria. Il viaggio notturno, mentre Ulisse è immerso nel sonno, è l’ultimo accenno del poeta alla serena e quasi favolosa pace che aleggia tra i Feaci, popoli eternamente felici dell’altrui felicità.
Lo sbarco dell’eroe, ancora addormentato di un placidissimo sonno, gli toglie la gioia eccessiva del ritorno, ma vale a creare, poeticamente, quella situazione di tragica incertezza che richiama, con felice sintesi, il motivo predominante dell’intero poema: ancora una terra sconosciuta e la patria che sfugge nuovamente alla certezza di averla finalmente raggiunta….
Poi, graduale, il trapasso dalla delusione alla gioia, attraverso il colloquio col pastorello, finché nella rapida descrizione di Itaca, ad ogni particolare ritorna alla mente dell’esule la sua terra e la nebbia che ne ha avvolto la mente si dirada del tutto: ecco il porto di Forcine e la verde frondosa oliva e l’antro opaco, sacro alle Naiadi, e il frondoso Nerito, che ondeggia di selve. Una gioia profonda, anche se contenuta, è nel bacio alla terra nativa e nella magnifica preghiera alle Naiadi, che segna il vertice della poesia del canto. Seguono i consigli di Minerva, che ragguaglia l’eroe sulla situazione della sua famiglia e del suo regno, passo che non costituisce certo grande poesia, ma è la premessa indispensabile allo sviluppo del poema nei canti successivi.
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