ODISSEA – Riassunto e commento 15° libro

 ODISSEA

IL PRODIGIO DELL’AQUILA
ULISSE CONVERSA CON EUMEO
TELEMACO GIUNGE AD ITACA

LIBRO XV

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Tempo: Trentacinquesima e trentaseiesima giornata dall’inizio del poema.
Luoghi dell’azione raccontata: Reggia di Menelao, a Sparta; di Diocle a Fera; Pilo, la spiaggia meridionale di Itaca e la capanna di Eumeo

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NEL LIBRO PRECEDENTE
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Ulisse trova Eumeo davanti alla sua casa, che sta confezionandosi dei calzari; quattro cani lo assalgono, ma sano allontanati dall’intervento del porcaro, il quale, fatto sedere l’ospite lo rifocilla e si lamenta con lui della morte del suo padrone e del comportamento dei Proci che ne dilapidano le sostanze. L’ospite, dopo essersi fatto dire il nome dell’assente, assicura l’incredulo Eumeo ch’egli ritornerà. E per dar fede alle sue parole inventa su di sé una storia, secondo la quale egli avrebbe sentito dire nella terra dei Tesproti che Ulisse, colà ospite, sarebbe ben presto rimpatriato. Ma Eumeo non crede più. È sera, ritornano i mandriani e dopo una buona cena, mentre l’ospite, ricevuto un mantello per ricoprirsi, si accinge a dormire, Eumeo esce armato per far la guardia agli animali.
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Minerva, frattanto, giunge a Sparta e appare a Telemaco, insonne per il pensiero del padre; la Dea gli infonde un vivo desiderio di ritornare ad Itaca e lo avverte dell’agguato che gli hanno teso i Proci, consigliandolo di evitare il tratto di mare tra Itaca e Same e di sbarcare nella punta estrema dell’isola. Il giovane vorrebbe partire subito, ma Pisistrato consiglia di attendere l’aurora ormai prossima.
Avviene cosi il commiato da Menelao che offre una coppa d’argento, mente Elena gli presenta un peplo da offrire alla sposa il giorno delle nozze.
Dopo un prodigio favorevole i due giovani partono, sostano una notte, come nell’andata, presso Diocle a Fera e quindi, dopo un secondo giorno di viaggio, sono a Pilo.
Telemaco scende al porto direttamente e dopo aver accolto nella sua nave un fuggiasco di Argo, l’indovino Teoclimeno, salpa sul far della notte e veleggia verso Itaca, tenendo la rotta consigliatagli da Minerva.
Nella capanna di Eumeo, finita la cena, Ulisse confida al porcaro il proposito di recarsi all’indomani a mendicare in città presso i Proci, ma Eumeo Io sconsiglia e lo esorta piuttosto ad attendere nella sua capanna il ritorno di Telemaco, che gli donerà vesti e cibo, facendolo poi condurre dove meglio vorrà.
Ulisse, accettato il consiglio, chiede al porcaro notizie di Laerte e di Anticlea. Anticlea è morta di dolore – dice Eumeo – e Laerte, pur essendo vivo, invoca la morte come unica liberatrice. Poi, alla richiesta dell’eroe, il porcaro gli narra di sé, della sua patria lontana, Siria, una piccola ma felicissima isola presso Delo, dove gli abitanti mai muoiono di malattia, ma sempre di dolce morte improvvisa.
Suo padre, Ctesio, era re di quell’isola e l’aveva affidato, bambino, a una schiava di Sidone, la quale, accordatasi con mercanti fenici, era scappata dall’isola su di una nave, dopo aver rubato a Ctesio tre tazze d’oro, portando con sé anche il bambino. Ma la sciagurata traditrice era stata punita con la morte dagli Dei, durante il viaggio, e i mercanti, sbarcati ad Itaca, avevano venduto lui, Eumeo, ancora bambino come schiavo a Laerte.
Agli albori del nuovo giorno Telemaco approda felicemente all’isola. Egli sbarca lontano dalla città, ché dovrà recarsi dal porcaro Eumeo e prega i compagni di ricondurre la nave in porto. Il giovane vorrebbe affidare Teoclimeno ad Eurimaco, uno dei Proci più quotati a ottenere in sposa Penelope; in seguito, tuttavia, dopo l’apparizione di un prodigo – uno sparviero che stringe tra gli artigli e va spennando una colomba bianca – interpretato favorevolmente dall’indovino, egli affida Teoclimeno al compagno Pireo, perché si prenda cura di lui.
La nave prosegue quindi verso il porto di Itaca e Telemaco, seguendo i consigli di Minerva, si avvia alle stalle di Eumeo.
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COMMENTO – Il quindicesimo libro rappresenta senz’altro una pausa nella poesia dell’odissea. Forse per questo, ma soprattutto per alcune vicende inserite a viva forza e costituenti digressioni più o meno importanti, lo si volle quasi tutto interpolato e opera di mano d’altri e non di Omero.
È comunque un libro di raccordo, nel quale si può dire che si concluda la Telemachia, lasciata interrotta alla fine del quarto e si prepari l’incontro tra padre e figlio, che costituisce la grande poesia del libro successivo.
Onde la necessità da parte del poeta di portare avanti l’azione per due diverse strade, fino a farle confluire nel colloquio tra Ulisse e Telemaco e nel conseguente riconoscimento, nella capanna di Eumeo. L’architettura generale del libro appare cosi spezzettata e brusco il passaggio dall’uno all’altro luogo dell’azione, senza quelle “dissolvenze” poetiche, nelle quali Omero si è tante volte dimostrato impareggiabile.
Pochi, in tutto il canto, i tratti di vera poesia: il commiato di Telemaco dalla reggia di Menelao, l’ultima apparizione di Elena e quindi, nella seconda parte, un ulteriore arricchimento dell’umanità di Eumeo e il racconto della sua pietosa storia, che costituisce un’altra delle infinite digressioni del poema, triste anch’essa come in genere quasi tutte, e tale da mettere ancor meglio in luce favorevole la figura del porcaro.
Molti, invece, i luoghi del canto dove la poesia è assente e solo l’azione va avanti, quando anch’essa non ristagni, per cui il libro può essere considerato tra i meno belli dell’intero poema.
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