ODISSEA – Riassunto e commento 16° libro

ODISSEA

TELEMACO NELLA CAPANNA DI EUMEO
TELEMACO E ULISSE
 EUMEO SI RECA DA PENELOPE
 IL RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO
SI PREPARA LA VENDETTA

LIBRO XVI

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Tempo: Trentasettesima giornata dall’inizio del poema
Luoghi dell’azione raccontata: La capanna di Eumeo, il porto e la reggia di Itaca
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NEL LIBRO PRECEDENTE

Minerva, giunta a Sparta, esorta Telemaco ad affrettare la partenza, dandogli consigli per evitare l’agguato dei Proci. Il giovane, unitamente a Pisistrato, si commiata da Menelao e da Elena, che gli porgono i loro doni ospitali e dopo aver sostato nella notte a Fera, giunge Derso sera a Pilo. Si imbarca subito, senza neppure proseguire fino alla città e prende a bordo l’indovino Teoclimeno, un fuggiasco di Argo. Frattanto, ad Itaca, Eumeo informa il mendico su Laerte e su Anticlea e gli racconta quindi la sua storia. Figlio di Ctesio, re dell’isola Siria, era stato trafugato bambino da una schiava di Sidone e venduto, dopo la morte dell’infedele fenicia, a Laerte. All’alba del nuovo giorno Telemaco approda all’isola e, dopo aver affidato l’indovino Teoclimeno all’amico Pireo, lieto di un auspicio favorevole, si avvia alle stalle di Eumeo, mentre i compagni riconducono ad Itaca la nave.
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Mentre Eumeo ed il mendico stanno preparandosi la colazione giunge alla capanna Telemaco; il porcaro, vedendolo, per la meraviglia si lascia cadere di mano la coppa che regge, bacia ed abbraccia il giovane, rallegrandosi con lui ch’egli sia scampato all’agguato dei Proci e lo fa quindi entrare nella capanna.
Il mendico vorrebbe cedergli il posto, ma rifiuta il giovane, cui Eumeo appresta un altro sedile. Mentre si rifocillano Telemaco chiede chi sia l’ospite ed il porcaro glielo dice, pregandolo anzi di prenderlo sotto la sua protezione. Ma il giovane si scusa dicendo che troppi e troppo prepotenti sono i Proci, perché egli possa difendere il vecchio dai loro oltraggi; resti alla capanna ed egli lo rifornirà abbondantemente di cibi e di vesti.
Il mendico, allora, esprime la sua meraviglia ed il suo sdegno che un giovane cosi gagliardo non si sia ancora liberato di quei parassiti, uccidendoli. Fosse lui Telemaco o addirittura Ulisse….
Telemaco spiega allora in breve all’ospite la critica situazione della sua casa e prega quindi Eumeo di recarsi in città, per dare a Penelope la notizia del suo arrivo.
Intanto Minerva, invisibile a Telemaco, esorta Ulisse a rivelarsi al figlio e, toccatolo con una verga, gli ridà il primitivo aspetto, rendendolo ancora più bello. Al suo rientro nella capanna il figlio Io scambia per un Dio e quando il padre, spiegatagli la metamorfosi, gli si rivela resta dapprima incredulo, abbandonandosi infine tra le braccia paterne in un lungo pianto di felicità.
Ulisse quindi, dopo aver spiegato a Telemaco come sia giunto ad Itaca gli chiede ragguagli sul numero dei Proci e, benché siano molti, assicura i figlio che Giove e Minerva li assisteranno nell’impari lotta. All’alba del giorno dopo, intanto, Telemaco andrà in città senza dire a nessuno dell’arrivo del padre; poi arriverà anche lui con Eumeo ancora in atteggiamento di mendico. Non reagisca se i Proci lo insulteranno, ché essi due devono ben studiare la situazione ed esaminare quanti servi siano rimasti fedeli. O almeno quante ancelle, suggerisce Telemaco, perché troppo lungo sarebbe indagare sui servi che si trovano tra i campi.
Ritorna intanto la nave dei Proci insidiatori, e gli altri Proci, rimasti nell’isola, che già sanno dell’arrivo del giovane principe, chiedono ai compagni spiegazione dell’insuccesso. Antinoo propone un secondo agguato, per uccidere Telemaco prima che entri in città e convochi, magari, l’assemblea, ma il parere del saggio Anfinomo, che consiglia di consultare prima gli oracoli, prevale.
Avendo saputo dell’agguato teso al figlio, Penelope si presenta ai Proci e rimprovera aspramente Antinoo, accusandolo di ingenerosità verso Ulisse. Eurimaco, rispondendole subdolamente, le assicura che nessuno ha mai voluto far del male né toccherà Telemaco, ch’egli si prende sotto la sua protezione. La povera madre ritorna quindi in lacrime alle sue stanze, dove Minerva le invia un dolce sonno.
Verso sera Eumeo ritorna alla capanna, mentre padre e figlio si preparano la cena ed Ulisse è ritornato nell’aspetto il mendico cencioso di prima. Telemaco chiede notizie dei Proci, se son tornati con la nave ed il porcaro gli dice che venendo via dalla città ha visto appunto una nave, che doveva proprio essere la loro. Poi i tre cenano e si mettono a dormire.
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COMMENTO – È il canto di Ulisse e di Telemaco, cosi come i due precedenti erano stati i canti di Eumeo. In questo, infatti, il porcaro, dopo l’effusione iniziale del suo amore, nell’abbraccio affettuoso al reduce Telemaco, si pone in disparte; se ne va addirittura, ad un certo momento, dalla scena del canto, per l’ambasciata a Penelope ma in realtà perché padre e figlio, che già hanno rivelato l’uno all’altro la loro anima, possano riconoscersi.
Il libro s’apre su di uno sfondo idillico. È l’alba: già le bestie sono uscite al pascolo, già il chiuso è ritornato tranquillo e non s’odono più, neppure in lontananza, i grugniti degli animali. Nella capanna silenzio. Eumeo e l’ospite si preparano la colazione, ma il mendico ha il cuore teso al rumore più impercettibile, perché egli sa che qualcuno deve arrivare. Ed ecco un guaire gioioso di cani, lo scalpiccio di passi conosciuti. O porcaro c’è qualcuno! Ed Eumeo, voltatosi, lascia cader di mano il cratere e si butta tra le braccia di Telemaco, apparso sulla soglia della capanna.
Alla gioia inesprimibile di Eumeo corrisponde l’ultimo atto della tragedia della paternità di Ulisse. Il figlio è lì, bello e vigoroso e gentile; ma ogni impeto d’affetto va represso, ogni lacrima ricacciata indietro, ché la finzione deve continuare.
La triste situazione della reggia, la superba tracotanza dei pretendenti, l’onestà della sua donna: uno scatto di sdegno e d’odio l’ospite non lo può più trattenere.
È un’indignazione che prelude al nuovo motivo eroico di Ulisse vendicatore; è già il padre che parla al figliolo; è già il figlio che ascolta con devozione quell’autoritaria animosità dell’ospite, come fosse suo padre.
Eumeo, ora, si allontana per avvertire Penelope del ritorno di Telemaco; ed ecco l’episodio nel quale si concentra quasi tutta la poesia del canto, la rivelazione del padre al figlio. In una cornice di pace campestre, senza la presenza di estranei, ha luogo l’umanissima scena del riconoscimento, dove ha la sua più alta celebrazione la poesia della paternità e dell’amor filiale.
La seconda parte del canto è essenzialmente narrativa, con qualche nota ulteriore che illumina il carattere del sanguinario Antinoo, del più mite Anfinomo, del subdolo e falso Eurimaco, ai quali Penelope rivolge un aperto e franco rimprovero, dopo aver avuto notizia dell’agguato che essi hanno teso a Telemaco.
Alla capanna, frattanto, Eumeo è tornato ed anche Ulisse è ridivenuto il cencioso mendico di prima. Domani, ancora in simile arnese, egli farà ingresso nella sua reggia, per vedere di persona, per osservare tutto nei minimi particolari, per sopportare e fingere ancora. In attesa che la macchina della vendetta si metta in movimento, implacabile.
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