ODISSEA – Riassunto e commento 6° libro

ODISSEA

IL SOGNO DI NAUSICA
NAUSICA AL FIUME
ULISSE SI RISVEGLIA
ULISSE E NAUSICA
SIMILE A UN DIO
IL RITORNO IN CITTÀ

LIBRO VI

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Tempo: Trentaduesima giornata

Luoghi dell’azione: L’isola di Scheria; dai lavatoi, in riva al fiume,  al boschetto sacro a Minerva, nei pressi della città

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NEL LIBRO PRECEDENTE

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In un nuovo concilio di Dei Minerva ottiene da Giove che Mercurio vada da Calipso a ingiungerle di lasciar partire Ulisse. Il Dio si reca così ad Ogigia all’annuncio della volontà divina la ninfa si sdegna, ma obbedisce, non senza aver prima tentato invano dì persuadere ancora Ulisse a restare con lei e a divenire suo sposo. Calipso dà quindi all’eroe la possibilità di costruirsi una zattera, con la quale egli lascia Ogigia. Dopo diciassette giorni di navigazione favorevole Ulisse è in vista dell’isola di Scheria quando lo scorge Nettuno, che gli suscita contro una violenta tempesta, la quale Io fa naufragare. Ma per la pietà di una ninfa, Ino Leucotea, che gli dà una cintura divina, dopo due giorni Ulisse riesce a giungere a nuoto nuovamente alla terra dei Feaci sulla quale, dopo essere approdato con non poche difficoltà, affranto e sfinito si addormenta.
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Ulisse ancora dorme profondamente sul suo giaciglio di foglie, quando Minerva appare in sogno a Nausica, la bella figlia di Alcinoo, re dei Feaci, sotto le sembianze di una sua cara amica e la esorta – giacché ormai non sarà lontano il giorno delle nozze – a recarsi al fiume con le ancelle, per lavare le vesti.
La fanciulla si risveglia e corre felice dal padre; di quell’idea delle nozze non fa cenno, ma chiede solo il carro mulare per recarsi a lavare al fiume le
vesti del padre e dei fratelli. Alcinoo, tuttavia, ha capito, sorride e concede il permesso. Il carro viene allestito; vi si caricano le robe e un paniere di cibi e vino e le ampolle d’olio, per ungere il corpo dopo il bagno.
Giunte al fiume le ragazze lavano le vesti e quindi, dopo essersi esse stesse bagnate e cosparse d’olio, si cibano e iniziano il gioco della palla, mentre Nausica intona un gioioso canto, simile a Diana cui fan corona le ninfe dei boschi.
Ed ecco che la palla va a cadere nel fiume, tra un alto grido delle fanciulle.
Ulisse a quel grido si risveglia; non s’è ancora reso conto dove sia, di che grido si tratti. II suo cuore, avvezzo ai dolori, non ha ancora finito di temere insidie e pericoli. Tuttavia, cintosi i fianchi con una fronda, esce dalla selva deciso a vedere, a sapere, ad affrontare ogni cosa.
Alla sua apparizione scappano le ancelle, ma Nausica – e Minerva le ha infuso coraggio nell’animo – è rimasta.
“Donna o Dea? Diana, forse, all’aspetto; ma se si tratta invece di una fanciulla, felici i suoi genitori, felice soprattutto chi potrà condurla sposa”.
Con queste parole Ulisse prega Nausica ed ella gli promette aiuto, vesti e scorta fino alla città, dove regna suo padre Alcinoo.
L’eroe si lava; l’acqua gli deterge la salsedine marina e Minerva gli concede una fresca e mirabile bellezza. “Fosse colui che gli Dei mi hanno destinato a sposo?”…. esclama alle compagne Nausica, e, allestito il carro per il ritorno, saggiamente consiglia Ulisse di seguire dappresso con le ancelle fino alle soglie della città, ma di staccarsene poi, rimanendone un po’ discosto, per non offrire ai Feaci motivo di mormorazione. Si fermi presso una selva di pioppi, sacra a Minerva, finché il carro sarà giunto alla reggia. Poi riprenda il cammino e, trovato facilmente il palazzo di Alcinoo, vi entri senza timori e alla madre sua, Arete, si rivolga, abbracciandole le ginocchia, e le chieda aiuto e ritorno in patria.
Ciò detto, Nausica parte ed Ulisse segue a piedi il carro con le ancelle; quindi, al boschetto si ferma e prega Minerva che i Feaci si commuovano alle sue sventure e vogliano riaccompagnarlo in patria.
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COMMENTO – Il canto di Nausica. Una creatura che resterà sempre tra i personaggi minori del poema; ma nella quale Omero ha profuso, anche se per breve tratto di tempo e di spazio, tutto il tesoro della sua arte. Una fanciulla che è divenuta un simbolo, il quale resta tale per l’eternità, perché la vera poesia non muore e non mutua la propria validità dalla moda del secolo.
Già il canto precedente, verso la fine, ci aveva portati, dopo la paurosa scena della tempesta, in un’atmosfera di serena tranquillità, che preludeva alla gioiosa pace, alla luminosa letizia, alla favola lieve del VI canto, dove una giovane principessa sogna il principe azzurro che le giunge dal mare, dapprima brutto e ricoperto di salsedine, ma che una Dea tosto rende divinamente bello.
E non sai, leggendo, quando finisca il sogno di Nausica e quando incominci la realtà, ché la realtà stessa, inquadrata in un ambiente di sogno, spesso in quello sconfina e si dissolve. Realtà di Ulisse, naufrago, ramingo, ancora lontano dalla patria; sogno di Ulisse che quell’isola sia finalmente la terra promessa, che renda concreta e compiuta la speranza di dieci anni lunghissimi di vagabondaggio sul mare. Sogno di una fanciulla con una sua intima ansia di amore, realtà di Ulisse che ha lungi chi l’aspetta, di Ulisse che ha vinto l’incantesimo di urla ninfa divina, che ha superato la propria umanità abbandonando anche Circe; che si trova al centro, ancora, di un piccolo dramma d’amore, più puro ma più cocente, perché inespresso per lei, la fanciulla bella, che nella sua speranza di felicità traboccante dà il tono a tutto il canto, che da lei si colora.
Omero s’è immerso nell’anima di Nausica, e vede il mondo con gli occhi di Nausica, e lo colora e lo illumina con la luce di Nausica. Anche il naufrago e selvatico Ulisse, appena si mostra, appena parla, i suoi atti e le sue parole sono già intonati alla musica che canta nell’anima di Nausica.
Tutto il canto è più lirico che epico e di questo lirismo la preghiera di Ulisse è considerata il vertice; non solo capolavoro di eloquenza – di cui Omero tante altre volte s’è dimostrato maestro – ma capolavoro anche di poesia, ché tutto quanto in quel discorso potrebbe apparire argomentazione di astuta saggezza, è in realtà sentimento di una immediata spontaneità.
Dopo quella preghiera viene meno nel canto la grandissima poesia; resta però la poesia, in cui prevale l’intonazione narrativa che è propria dell’epica, che ci diverte, ma non ci commuove e ci lascia lettori attenti, ma non ammirati.
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