ODISSEA – Riassunto e commento 7° libro

ODISSEA

LA REGGIA DI ALCINOO
ULISSE È ACCOLTO OSPITALMENTE
PROMESSA D’AIUTO

LIBRO VII

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Tempo: Trentaduesima giornata

Luoghi dell’azione:  L’isola di Scheria; la reggia di Alcinoo

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NEL LIBRO PRECEDENTE.

Mentre Ulisse dorme ancora profondamente Minerva appare in sogno a Nausica e la esorta a recarsi al fiume per lavare i panni, che non è lontano ormai il giorno delle nozze. Ottenuto il consenso paterno la fanciulla col carro mulare si reca alle fonti; le ragazze lavano i panni, si bagnano, si rifocillano e giocano a palla, mentre Nausica intona una canzone. La palla cade, ad un tratto, nel fiume; gridano le ancelle ed Ulisse si sveglia. Uscito dal suo nascondiglio prega ammirato la fanciulla di soccorrerlo e le narra le sue disgrazie. Nausica richiama le ancelle impaurite; Ulisse si bagna, si veste ed appare, ora, bellissimo. Si ritorna alla reggia: il carro con Nausica in testa e quindi Ulisse e le ancelle, a piedi. Ma giunti ad un boschetto sacro a Minerva Ulisse si ferma, per consiglio della stessa Nausica, ché i Feaci non abbiano a mormorare; poi, quando il carro è giunto, presumibilmente, alla reggia, anch’egli raggiungerà il palazzo. E intanto innalza una preghiera a Minerva, perché i Feaci lo accolgano ospitalmente.
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Nausica ritorna intanto alla reggia, dove l’accolgono i fratelli che staccano le mule e trasportano nell’interno i panni lavati; la fanciulla sale quindi nella sua camera, dove l’ancella Eurimedusa le prepara la cena.
Anche Ulisse entra in città e, imbattutosi in una fanciulla che ritorna da una fontana, sotto le cui spoglie si cela Minerva, le chiede il cammino verso la reggia. La Dea, dopo averlo esortato a non parlare con nessuno dei Feaci, lo accompagna per un tratto di strada, avvolgendolo in una fitta nebbia e, lasciandolo, gli suggerisce di rivolgersi direttamente ad Arete, la regina, donna di grandi virtù e di origine divina, che certamente Io avrebbe aiutato a ritornare in patria.
Ulisse s’addentra nella reggia e ne ammira stupefatto la magnificenza: tutto risplende d’oro, d’argento e di bronzo. Vigili cani sono stati scolpiti in metallo prezioso da Vulcano, alle pareti fini pepli ricoprono i sedili, sui quali siedono i principi a banchettare. Candelabri in forma di giovinetti che reggono fiaccole illuminano di notte le sale, per le quali si aggirano cinquanta ancelle, addette ai vari servizi.
Fuori, oltre le porte del cortile, un vastissimo e meraviglioso orto contiene gli alberi più svariati, che danno frutto in ogni stagione. Un vigneto, aiuole profumate e due fonti completano il quadro: di esse una si dirama per tutto il giardino, mentre l’altra giunge fin sotto l’atrio e ad essa attingono i Feacesi.
Ulisse, sempre invisibile a tutti, avanza nel mègaron, dove Alcinoo, Arete e i principi di Scheria stanno libando a Mercurio. Egli si getta quindi ai piedi della regina e, mentre la nebbia che lo ha avvolto si dissolve, le abbraccia le ginocchia supplicandola di concedergli una nave per il ritorno in patria. L’eroe siede quindi come un supplice sulla cenere del focolare, ma Echenèo, il più vecchio dei principi, invita il re a farlo accomodare accanto a sé. Alcinoo fa sedere Io stranierò al posto del figlio prediletto e, dopo averlo confortato di cibo e di bevanda, invita i principi a ritornare il giorno seguente alla reggia, per rendere omaggio all’ospite.
Restano quindi soli Alcinoo, Arete ed Ulisse. L’eroe, dopo aver assicurato Alcinoo che egli non è un Dio, ma soltanto un povero mortale bisognoso di aiuto, rispondendo ad Arete (che ha riconosciuto gli indumenti che egli indossa) racconta la sua storia, il primo naufragio, i sette anni in Ogigia, la zattera, la tempesta, l’insperata salvezza, l’incontro con la generosa Nausica.
L’aspetto e le sagge parole di Ulisse fanno nascere in Alcinoo il desiderio di fare dell’eroe Io sposo di sua figlia, ma poiché egli desidera raggiungere la sua casa, gli promette di concedergli i mezzi per tornare in patria.
Poi, data l’ora tarda, i sovrani vanno a riposare ed anche Ulisse si accinge a dormire su di un letto, che la regina ha appositamente fatto preparare dalle ancelle sotto l’atrio.
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COMMENTO– Il settimo non è canto di grande poesia, specie se paragonato al precedente, e non Io sarà neppure l’ottavo, come vedremo. Ma è canto che si legge volentieri, per il suo tono fiabesco, per la descrizione di luoghi e cose d’incanto, davanti alle quali anche il poeta, che le ha create con la sua fantasia, resta ammirato.
II palazzo di Alcinoo, l’opulenta magnificenza dell’oro e dei metalli preziosi, la lussureggiante e miracolosa vegetazione dell’orto, la vita tranquilla e serena dei Feacesi, la calda intimità della reggia, la gentile ospitalità del re, le ancelle industri e affaccendate, l’umile e venerata regina: in tutto questo è la poesia del libro settimo.
Dove è rappresentato un paese ed un ambiente di pace idillica, di tranquilla serenità per il lettore, per Ulisse, per il poeta stesso.
Pace idillica e tranquilla serenità che fanno pregustare quasi ad Ulisse quella pace ch’egli si ripromette di ritrovare nella sua Itaca, ben più modesta e meno sontuosa di Scheria, ma egualmente cara al suo cuore, anche se altre traversie lo attendono, come egli ha saputo nell’Ade dal vate Tiresia.
Dopo aver dominato nella scena precedente Nausica in questo canto non appare. Il suo sogno di nozze con Io straniero è appena accennato nella saggia proposta di Alcinoo all’ospite; ma già è sogno svanito nella nostalgia che circonda tutte le cose belle, che non sono realtà. Ritornerà la divina fanciulla nel canto seguente, e sarà solo un’apparizione fugace per pochi versi, in brevi parole. Basteranno tuttavia perché Nausica, personaggio “minore” del poema, mai più si cancelli dal nostro ricordo.
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