OLYMPIA – Édouard Manet

OLYMPIA (1863)
Édouard Manet (1832-1883)
Museo d’Orsay, Parigi
Olio su tela cm 130 x 190

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Su un raffinato letto, sapientemente costruito con un gioco di bianchi e di rosa, giace una donna il cui nome, Olympia, contrasta con l’impudente e provocante nudità. La carnalità del corpo è accentuata dallo sguardo intenso e altero della giovane, mentre gli accessori danno un tono di contemporaneità all’immagine: gli orecchini, il nastro intorno al collo, il bracciale, gli scendiletto, lo scialle di seta di gusto orientale, tutti oggetti
alla moda.
Il felice succedersi di toni chiari (fra cui spicca la splendida natura morta del mazzo di fiori) è accentuato dal contrasto del fondale scuro, dalla carnagione della domestica negra, e dal gatto (animale prediletto da Manet), tradotto in una macchia nera da cui risaltano gli occhi balenanti.
Così Manet ritrae una prostituta che, grazie alla genialità dell’artista, si trasforma in una sensuale odalisca.

Nel 1856 Manet aveva copiato agli Uffizi la Venere di Urbino di Tiziano, a cui l’Olympia si rifà palesemente. La modella è Victorine Meurent, all’epoca ritratta più volte da Manet; la si riconosce nella Colazione sull’erba (Parigi, Museo d’Orsay) e in Mademoiselle Victorine in costume da torero (New York, Metropolitan Museum of Art).

L’Olympia deve il nome a un’opera del critico Zacharie Astruc, pittore e amico di Manet. Dopo la morte di Manet, Monet fece una sottoscrizione pubblica per comprare il quadro, ancora nell’atelier dell’artista, allo scopo di donarlo allo stato francese. Nel 1890 fu esposto al Museo di Luxembourg, quindi nel 1907 venne trasferito al Louvre, suscitando uno scandalo pari a quello della prima esposizione pubblica al Salon del 1865.

 

Lo scandalo dell’Olympia

 

Per tutta la vita Manet fu un artista incompreso, soprattutto per le sue originali interpretazioni di illustri modelli antichi, per altro da lui studiati attentamente. I motivi che Manet riprende da Giorgione, Tiziano, Velasquez, Goya, sono infatti espressi in un linguaggio personale e moderno che fa riferimento insistentemente alla quotidianità. Se al Salon des Refusés del 1863 aveva suscitato forti polemiche con la Colazione sull’erba (Parigi, Museo d’Orsay), che citava originalmente Raffaello e Giorgione, due anni dopo presentando 1’Olympia al Salon sollevò un vero sconcerto fino a diventare un fatto di cronaca. L’opera fu violentemente contestata dai visitatori che manifestarono 1’intenzione di distruggerla. Il dipinto fu perciò collocato più in alto possibile, sotto il controllo attento di due agenti. Manet aveva definitivamente rotto con la tradizione accademica, con la critica ufficiale, diventando a giudizio di Degas, “celebre come Garibaldi”. L’ideale sublime della Venere veniva infranto in nome di un’arte tutta votata alla sincerità. Ma lo sconforto che prese il pittore sembrava inconsolabile. Nonostante gli incoraggiamenti e le lodi dell’amico Baudelaire, Manet decise di partire per la Spagna. Nessun critico allora aveva capito che Manet aveva creato un’arte che andava oltre le apparenze, più duratura del gusto di una data epoca; ma di questo lui stesso era probabilmente convinto quando, facendo un gioco di parole con il suo nome, affermava “manet et manebit” (rimane e rimarrà).

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Édouard Manet, Autoritratto (1879 circa)
New York, collezione privata
Olio su tela cm 83 × 67

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