PABLO PICASSO – Vita e opere

Pablo Picasso (Malaga 1881 – Mougins 1973)

NOVECENTO… IL SECOLO DI PICASSO

Alcuni anni fa, Parigi aveva aperto in onore di Picasso, al Grand e al Petit Palais, una vasta rassegna della sua opera: circa 300 quadri, 200 sculture, 130 ceramiche, 250 disegni.
A questa grande mostra, che racchiude almeno settant’anni di attività del grande Maestro spagnolo, si devono aggiungere le mostre della grafica picassiana alla Bibliothèque Nazionale, nonché le numerose altre mostre presso le più famose Gallerie di arte private.
Insomma tutta Parigi, per quella occasione, era stata invasa da un vero e proprio “esercito” di opere uscite dalle mani sue prodigiose e instancabili. Quante opere ha dunque creato, Picasso? E’ difficile dirlo, ma certo molte migliaia. Egli cioè non è solo un grande artista, ma anche un grande lavoratore, per cui non vi è mai stato riposo o stanchezza.
La mostra ufficiale, con cui la Francia ha inteso rendergli omaggio, è senz’altro la più completa esposizione che sia mai stata organizzata della sua opera. Si parte dalle tele che egli ha dipinto a quattordici anni, come l’UOMO COL BERRETTO e la RAGAZZA COI PIEDI NUDI, e si arriva ai disegni eseguiti in età molto avanzata: disegni di una vivacità e di una fantasia davvero straordinarie.
Girando le sale di questa grande esposizione, ordinata da Leymarie con attenta sensibilità e scrupolo storico, il peso decisivo che l’azione figurativa di Picasso ha avuto nel corso di tutta l’arte contemporanea, appare con estrema evidenza: non c’è strada che egli non abbia aperto, non c’è enunciazione plastica che egli non abbia formulato, non c’è zona dei sentimenti umani che egli non abbia espresso. Ancora una volta, guardando la sua opera così riunita, si ha veramente coscienza di questa sua formidabile onnipresenza nella vicenda artistica del Novecento sino alle esperienze più recenti. Ma ciò che ancora una volta colpisce profondamente è soprattutto il fatto che, in nessun momento del suo lavoro creativo, Picasso è stato un artista “neutrale”. Questa è anche la ragione per cui lui, per tutto il secolo scorso (non si può parlarne con indifferenza), la ragione per cui, in certi momenti, egli è apparso come un vero e proprio segno di contraddizione, al centro di polemiche violente. La sua pittura infatti si è trovata coinvolta nella storia del nostro tempo. Talvolta è stata addirittura una pittura d’allarme, una pittura di emergenza, capace di affrontare i grandi temi che preoccupavano milioni di persone. Basta pensare al BOMBARDAMENTO DI GUERNICA, al MASSACRO DI COREA e alla COLOMBA DELLA PACE.
Non è un caso dunque che sin dagli inizi, sin dai cosiddetti periodi blu e rosa, tra il 1901 e il 1906, i suoi quadri siano intrisi di populismo, siano cioè affollati di mendicanti, di suonatori ambulanti, bambini malati, madri dolenti, e quindi di poveri clowns, di acrobati, di arlecchini nei loro vestiti di toppe. E non è un caso che quando arriva a Parigi nel 1900, anziché rivolgersi a quei pittori che sulla scia dell’impressionismo si dedicano esclusivamente al paesaggio, egli guardi soprattutto a Steinlen, il disegnatore socialista dell’ASSIETTE AU BEURRE, la più famosa rivista della caricatura e del disegno politico, e a Toulouse-Lautrec.
All’interno di questi temi, dolcemente crepuscolari, vagamente letterari, ma sempre di un’altra e suggestiva bellezza, verso la fine del 1905, già incomincia però a rivelarsi l’energia vitale di Picasso. Il disegno si fa più asciutto, più sintetico, il colore più energico. Si avvicina insomma il momento in cui Picasso sta per dipingere le famose RAGAZZE D’AVIGNONE (LES DEMOISELLES D’AVIGNON), un’opera, terminata nel 1907, che costituisce un punto chiave dell’arte contemporanea.

Oggi, guardando questo quadro (e gli studi che l’accompagnano) ci si domanda cosa veramente ha significato per Picasso e per la pittura moderna tale rottura di valori tradizionali. Non c’è dubbio che per Picasso questo momento creativo segna la scoperta di se stesso attraverso la scoperta del “primitivo” e per l’arte moderna l’inizio d’una totale libertà di visione nei confronti dei canoni ottocenteschi. Quest’opera infatti è il primo vero esempio di quel furore istintivo e cerebrale, insieme che poi si è confermato così tipico della natura creativa di Picasso. Ma non è soltanto questo. In questa composizione di nudi, dove è presente la suggestione della scultura negra, l’esotismo perde i suoi aspetti letterari per diventare vero strumento di rovina delle norme tradizionali della cultura figurativa, non solo nell’uso antinaturalistico del colore ma nelle strutture stesse su cui tale pittura si basa. La prospettiva è spaccata, frantumata in volumi scanditi, marcati, incidenti l’uno nell’altro, con un ritmo spaziale da cui esulano ormai le misure dello spazio classico.
La forza primordiale che si manifesta in questa tela in qualche modo si conserverà con lo stesso carattere per circa due anni, esprimendosi in una serie di figure imponenti, di nature morte squadrate, angolose, e di paesaggi dipinti con secca volumetricità. Ed è una forza che, in particolare, ritornerà liberamente ad emergere dal 1934 al 1938, cioè dal ritorno in Spagna a Guernica.
Ma tutto sommato è proprio questa forza che mantiene vivo anche il cubismo di Picasso impedendogli di piegare verso quel puro esercizio formale a cui avrebbero voluto farlo approdare le teorie “neoplatoniche” di Gleizes e Metzinger, che aprivano la strada all’astrattismo neoplatonico di Mondrian.
Cubismo analitico, cubismo sintetico, grande cubismo: ogni momento di questa esperienza figurativa che ha avuto l’influenza più larga e determinante sull’arte contemporanea, è documentato nella mostra attraverso una ricca selezione di opere.
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LES DEMOISELLES D’AVIGNON (1907)
Pablo Picasso (1871-1973)
Museum of Modern Art – New York
Tela cm. 244 x 233
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All’interno del cubismo Picasso ha sviluppato una attività impressionante sia per intensità creativa che per quantità produttiva. Anche se il cubismo, dopo la rottura delle LES DEMOISELLES D’AVIGNON è stato per Picasso, in qualche modo, una forma di particolare rigore e disciplina, non è certo mai stato una via verso una forma di cristallizzazione mentale dei dati reali. Ciò è tanto vero che senza abbandonare, ma anzi sviluppando le scoperte cubiste, inizia e svolge contemporaneamente quello che è stato chiamato il periodo neoclassico, un periodo che nel 1920 ha la sua piena maturazione.
Questo periodo coincide con la “scoperta” del mare. Picasso infatti, nella primavera di quest’anno, si trasferisce sulla costa meridionale della Francia, che poi diventerà la sua dimora abituale. E’ qui, appunto, che egli dipinge e disegna le sue donne abbandonate agli ozi felici di una mitica esistenza. Sono nudi di donne grandi, talvolta enormi, tal’altra meno massicce, ma sempre disegnate con estrema scioltezza, spesso con ardite disarticolazioni, con deformazioni totali della verità anatomica, con soluzioni formali insomma che non si conoscessero le premesse cubiste.
Queste immagini femminili assumono il carattere di sublimi simboli della vita, quasi di divinità naturali. Anche perciò forse, in questo periodo, Picasso ha dipinto tante maternità: madri enormi, con vasti e colmi seni, feconde e indolenti.
Ma a quest’opera, nel ’25 avviene l’incontro di Picasso coi surrealisti. Da questo momento i risultati stilistici precedenti, neoclassici e cubisti, sono sottoposti ad un prepotente trattamento espressionistico che li contorce e deforma, dando origine ad una pittura che corrisponde assai bene al concetto di “convulsivo” che Breton ha unito al termine di bellezza. Nell’arte di Picasso è un momento di eccezionale importanza, il momento in cui egli scopre quel segno tagliente, aggressivo, crudele che poi confluirà nell’intero ciclo di GUERNICA, allorché da una situazione di tormento esistenziale, la sua visione si incontrerà con un tragico dramma della storia.
Nel 1934 Picasso è ritornato in Spagna. Il contatto con la sua terra, con la sua gente; la vista degli spettacoli popolari, le corride, i combattimenti di galli, gli hanno acceso la fantasia di nuove e incalzanti immagini, sollevando di colpo la sua produzione a uno dei vertici più alti. E’ il momento dei tori trapassati dalla spada, dei cavalli feriti nell’arena. In queste opere il sentimento della realtà è così forte che l’espressione sembra liberarsi con improvvisa evidenza. Un accento virile le domina, pieno, scattante; e il linguaggio è impetuoso, mordente.
Queste opere sono quelle che preparano GUERNICA, il Picasso civile, lo stesso che più tardi dipingerà il CARNAIO, la GUERRA e la PACE, il MASSACRO IN COREA.
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GUERNICA (1937) – Pablo Picasso (1883-1973)
Centro de Arte Reina Sofia – Madrid
Olio su tela cm. 349,3 x 776,6
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Il grande quadro di GUERNICA fu dipinto tra il maggio e il giugno del 1937, cioè nelle settimane immediatamente successive al bombardamento, da parte degli aerei tedeschi e italiani, della cittadina basca, in Spagna.
E’ un quadro d’alta tensione spirituale, di dolore e di collera. L’emozione per l’avvenimento ha scosso Picasso fin dentro le viscere. Sulla tela, l’enunciazione della tragica visione non ricorre neppure al colore: i termini netti e precisi del bianco e nero sono sufficienti. Così l’enunciazione appare più essenziale e incisiva. Il segno che traccia il profilo delle case in fiamme, del toro, del cavallo, delle donne, dell’uomo atterrato, è un segno tagliente, elementare. L’immagine, nel suo insieme, è di un’estrema violenza.
Ma il segno della morte e del dolore c’è anche in altre opere, in quelle che ha dipinto durante l’ultima guerra: nella lunga serie delle DONNE SEDUTE, per esempio. Picasso un giorno l’ha spiegato chiaramente…
“Io non ho dipinto la guerra perché non sono di quei pittori che, al pari dei fotografi, vanno in giro cercando un soggetto. Ma non c’è dubbio che nei quadri che ho dipinto allora la guerra c’è”.
Ma ecco il Picasso del dopoguerra. Altri vent’anni d’infaticabile lavoro, altri grandi cicli, la GIOIA DI VIVERE, le variazioni su Delacroix, su Velasquez, su Manet, la serie del PITTORE E LA MODELLA, sino ai quadri più recenti, degli ultimi suoi anni. Osservando quest’ultima produzione di Picasso, tele come UOMO E DONNA NUDA…, DONNA IN RIVA AL MARE…, il CHITARRISTA, si vede subito come la pittura di Picasso si sia fatta essenziale, una pittura di straordinaria semplicità, di una freschezza e spontaneità assolute. E’ una pittura che vive di una ispirazione nitida, ferma e pura, dove una consumatissima perizia è messa al servizio di una continua e vivace adesione al mondo, alla natura, alle cose: un’adesione terrestre, senza sofismi e senza misticismi.
Ma questa è la sostanza più autentica di tutto ricasso, che la mostra di Parigi ha riconfermato attraverso le grandi e le piccole sculture – L’UOMO CON L’AGNELLO…, la RAGAZZA CHE DANZA…, la CAPRA – e attraverso le ceramiche e tutta l’opera grafica.
Picasso crede nella realtà oggettiva del mondo, di cui gli uomini fanno parte. E’ dentro questa concezione che agisce la sua forza creativa: una concezione laica e moderna, non metafisica, e tuttavia vivamente consapevole delle più complesse dimensioni e della profondità inesauribile del reale.
La vera grandezza di Picasso sta proprio in ciò: nell’averci mostrato e nel mostrarci coi mezzi specifici della pittura tale inesauribile sostanza del mondo e, in esso, della nostra esistenza. Da questo punto di vista Picasso è veramente un Maestro, un protagonista del nostro tempo. L’arte moderna sarà certamente indicata nel futuro (e nel presente ormai) come l’arte dell’epoca picassiana.
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IL FLAUTO DI PAN (1923)
Pablo Picasso(1881 – 1973)
Musée National Picasso -Parigi
Olio su tela cm. 205 x 174
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