FUSO ORARIO
Verso la metà del XIX secolo era ormai possibile attraversare in treno, e in pochi giorni, interi continenti. Ma per i viaggiatori era motivo di non poca confusione il fatto che nelle diverse località gli orologi segnassero ore diverse da quelle reali. Poteva capitare, per esempio, che l’orologio di una stazioncina ferroviaria di provincia fosse sincronizzato con quello del capolinea, cioè di una località lontana anche centinaia di chilometri.
Questo stato di cose venne finalmente regolato da una conferenza internazionale organizzata a Washington, negli Stati Uniti, nel 1884. Il mondo venne suddiviso in 24 fusi orari, ciascuno corrispondente a intervalli di 15° di longitudine.
Come base si adottò il meridiano passante per l’osservatorio di Greenwich, nei pressi di Londra. Gli orologi, situati all’interno di ciascun fuso, adottarono la medesima ora, che veniva fatta crescere oppure diminuire di multipli di 1 ora man mano che ci si allontanava in entrambi i sensi dal meridiano fondamentale di Greenwich, fatto corrispondere per convenzione a latitudine 0°.
Ma anche questo sistema ha le sue eccezioni. Le linee di limitazione dei fusi orari non seguono esattamente le linee longitudinali. Per esempio, un fuso risulta necessariamente allargato per coprire tutta la superficie della Nuova Zelanda. Inoltre alcuni Paesi non rispettano la convenzione internazionale: l’India, per esempio, la cui ora locale è superiore di 5 1/2 ore rispetto a quella di Greenwich.
Infine molti Paesi, per esempio quelli europei, adottano l’ora legale durante il periodo estivo, da aprile a settembre. In questo arco di tempo, le lancette degli orologi risultano spostate avanti di un’ora rispetto a quella effettiva solare. Questa convenzione consente di sfruttare la luce diurna piú a lungo, risparmiando di conseguenza sui consumi energetici.