LA GRANDE TORRE DI BABELE (1564)
Pieter Bruegel il Vecchio (1526-1569 ca.)
KUNSTHISTORISCHES MUSEUM, VIENNA
Tavola cm 155 x 114
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Il tema della torre di Babele è tratto dal libro della Genesi dove si narra che a seguito del diluvio universale gli uomini, per salvarsi da altre catastrofi, decisero di costruire una torre alta fino al cielo; per punire tale superbia Dio confuse il loro linguaggio tanto da rendere impossibile loro comunicare, e quindi, per bloccare definitivamente il progetto, li disperse sulla terra.
Che si tratti di un’opera eseguita da Bruegel al suo ritorno dal soggiorno a Roma si avverte dal fatto che la pianta della grande torre che occupa la parte centrale della composizione, recupera quella del Colosseo, anche se costruita con grandi incongruenze progettuali; attorno alla mastodontica costruzione a sinistra si estende la città, delimitata sullo sfondo da un lungo acquedotto che ricorda quelli romani, mentre a destra è il porto dove sono ancorati alcuni vascelli. Ovunque sulla costruzione sono disseminati ingegnosi macchinari e attrezzi edili, manovrati da uomini la cui figura è appena accennata, molti dei quali intenti a trasportare materiale. In primo piano è la cava popolata dagli spaccapietre occupati a procurarsi la materia prima per la costruzione, controllati direttamente da Nemrod, leggendario re conquistatore di Babilonia.
L’intento morale di Bruegel appare chiaro: l’artista condanna il progresso, che a suo giudizio era da considerare come la massima espressione dell’orgoglio umano. Il riferimento alla situazione politica e religiosa dell’epoca appare più che evidente: Nemrod incarna Filippo II, colpevole di governare con grande autorità, mentre la confusione di Babele allude al lusso della corte pontificia. Alla luce di questi intenti moraleggianti è possibile quindi pensare che Bruegel, fortemente influenzato da Erasmo da Rotterdam, abbia voluto con questo dipinto condannare la chiesa romana.
Il quadro, firmato e datato, è menzionato per la prima volta nel 1565 nella collezione di Nicolas Jongenlinck. In epoca imprecisata entrò a far parte delle collezioni imperiali asburgiche, sicuramente acquistato dall’imperatore Rodolfo II di Praga; nel 1659 la tavola era già a Vienna, esposta nella galleria d’arte dell’arciduca Leopoldo Guglielmo, e in seguito, insieme a tutte le opere d’arte della casata, passata al Kunsthistorisches Museum. Una versione di ridotte dimensioni è conservata presso il Museo Boymans van Beuningen di Rotterdam.
Rodolfo II ammiratore di Bruegel
La collezione d’arte di Rodolfo II (1552-l612) ospitata nel castello di Praga, comprendeva un considerevole numero di opere di artisti fiamminghi, fra i quali una dozzina di Bruegel di cui ricordiamo, oltre La Torre di Babele, anche Greta la folle e Il paese della cuccagna, oggi tutte esposte in una sala dedicata al grande maestro fiammingo, al Kunsthistorisches Museum. Del rapporto privilegiato di Bruegel con la corte asburgica ne godettero soprattutto i suoi allievi, alcuni dei quali si trasferirono a Praga; fra questi Roelandt Savery originario di Courtrai, specialista in paesaggi alpini.
Per espresso desiderio di Rodolfo II, alla preziosa galleria di Praga erano ammessi pochi e privilegiati visitatori; egli stesso amava trascorrere intere giornate ad ammirare i capolavori della sua collezione, tanto da dimenticare gli importanti affari di stato. Tale folle passione indusse la famiglia a intervenire: Rodolfo II, dichiarato pazzo, dovette cedere il trono al fratello Mattia. L’amata collezione seguì la triste sorte del suo proprietario, in parte trasferita a Vienna nel 1612, e quella rimasta a Praga dispersa durante il saccheggio della città a opera del1’esercito svedese.
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