I DUE VOLTI DELLA PAZIENZA

I DUE VOLTI DELLA PAZIENZA

Nel nostro linguaggio quotidiano c’è un gran numero di termini, e quindi di concetti, che, sottoposti ad un esame, un po’ attento – tolti, cioè, dalla confusa genericità in cui di solito vengono lasciati – rivelano abbastanza chiaramente due aspetti, due facce, per così dire. Se infatti li intendiamo in un certo modo, essi acquistano un determinato significato e un determinato valore; se li interpretiamo in un altro senso, acquistano significato e valore profondamente diversi. Così avviene. ad esempio. per il concetto di pazienza. Per un verso essa si dimostra una preziosa. insostituibile virtù; per l’altro si dimostra invece una gravissima malattia degli spiriti.

Madama de Staël, la brillante dominatrice dei salotti intellettuali francesi di prima della Rivoluzione, scrisse che “il segreto dell’ordine sociale consiste nella pazienza del gran numero”. Risulta chiaro dal contesto il senso in cui viene usato il termine pazienza. Essa vale qui come sopportazione, sottomissione rassegnata ai voleri di una minoranza. alla fissità di una tradizione, alle norme di un ordinamento, anche se questo ordinamento rappresenta un giogo per la maggioranza. L’etimologia conferma questo significato. Pazienza intatti deriva dal latino pati, sopportare, subire, essere oggetto di una attività altrui, non soggetto di una attività propria. Le moltitudini che sopportano, che fanno tristemente il callo ai mali sociali, sono un po’ come l’asino che trotta sotto la soma e non si ribella. Questa abitudine alla sopportazione, che spesso si nutre di aspettative mistiche, è una vischiosa forza conservatrice in cui infelicità, umiliazione, inerzia si mescolano assieme, a detrimento della dignità e della libertà umana. Essa serve a meraviglia la causa dei difensori e dei profittatori dell’ordine costituito.

Che la pazienza cosi intesa non sia una virtù, ma al contrario una deplorevole abdicazione alla umana dignità (anche se essa viene untuosamente lodata nei testi di morale cattolica e nelle prediche domenicali), è cosa assai ovvia, tanto che ad insistervi si corre il rischio di annoiare, oltre che di ripetersi.
Ma non si può dimenticare che esiste un’altra specie di pazienza la quale non ha niente a che fare con l’acquiescenza e la passività, che è anzi una condizione importante per l’attuazione dei nostri propositi e un coefficiente spesso decisivo di successo. Giustamente è stato detto che “non vi è meta troppo alta per chi vi si prepara con pazienza” (Jean de La Bruyère (Parigi, 16 agosto 1645 – Versailles, 10 maggio 1696), e giustamente si dice che la pazienza è virtù dei forti. Balzac ha definito la rassegnazione: “suicidio quotidiano”, ma altrettanto bene, nell’Eugenia Grandet, ha scritto che “ogni potere umano è composto di tempo e di pazienza”.

La pazienza intesa in questo secondo modo è uno stato di sospensione attivo e ragionato, limitato nel tempo e intenzionalmente rivolto all’azione. È l’oculata e tenace predisposizione degli strumenti (e accumulazione delle forze) al fine di modificare a proprio vantaggio una situazione. È quella capacità che permette di proporzionare il più possibile i mezzi di cui si dispone ai risultati che si vogliono conseguire, e quindi di cautelarsi il più possibile contro la minaccia di fallimento, di scacco, che pesa sempre su quello che facciamo. La pazienza porta ad attendere ed insegna ad attendere. Ma questa attesa non è la immobilità nullista di ehi si abbandona – o disperato o stoltamente fiducioso – al flusso degli eventi: è il calcolato rinvio dell’azione decisiva fino a quando non si sia raggiunta la pienezza dell’ora, il momento propizio, quello che i Greci antichi chiamavano il Kairòs e che personificavano in una deità alata con un ciuffo in fronte. Tra il presente e il futuro, tra la formulazione del progetto e la realizzazione di esso, vi è un largo margine per l’attesa
paziente e ponderata.

La pazienza è indispensabile in tutte le imprese umane, anche e specialmente nelle più rivoluzionarie. In politica, per esempio, è una dote fondamentale. Senza pazienza non vi sarebbero tattica e strategia della lotta politica: la fissazione degli obbiettivi in base al momento storico, alla situazione oggettiva, ai rapporti di forze; l’imbrigliamento degli scatti intempestivi e prematuri: il rifiuto di accettare le provocazioni tese ad arte dall’avversario, tutto ciò richiede molta pazienza, ma l’attesa paziente viene alla fine remunerata dall’esito vittorioso. La pazienza ci si presenta dunque con due volti: nell’uno traspare lo sguardo spento e semi-inebetito del rassegnato, del sottomesso; nell’altro brilla lo sguardo calmo e risoluto dell’uomo che saggiamente misura i propri sforzi per conquistare la meta. È inutile dire quale dei due volti ci sentiamo in dovere di respingere.