LA PACE – Aristofane

undefinedLa dea Eirene con il piccolo Pluto (Atene, circa 370 a.C.)

LA PACE
Aristofane

La pace è una commedia di Aristofane messa in scena nel 421 a.C., in un clima di speranza per il futuro dovuto alla recente firma della cosiddetta pace di Nicia. Il titolo trae il nome da Eirene, dea della pace.

Personaggi

Trigeo
Ermes
Ierocle
Due servi di Trigeo
Due figlie di Trigeo
Polemos, dio della guerra
Il dio della mischia
Un fabbricante di falci
Un mercante d’armi
Due ragazzi
Opora, dea del raccolto
Teoria, dea della festa
Un fabbricante di anfore
Un fabbricante di elmi
Un fabbricante di lance
Coro di contadini

Nove anni dopo la prima rappresentazione dell’Edipo re di Sofocle, nel 421 a. C., mentre era grande in Atene l’aspettativa per un accordo di pace che finalmente ponesse fine al conflitto ormai decennale contro Sparta (la prima guerra peloponnesiaca), proprio alla vigilia della cosiddetta “pace di Nicia”, il poeta ateniese Aristofane mando in scena una commedia nuova dal titolo beneagurante: La pace. È un’opera estrosa, scanzonata, piena di forza comica quanto di amena satira politica.

La Pace è un’antica commedia ateniese scritta e prodotta dal drammaturgo greco Aristofane; è stata messa in scena pochi giorni prima della convalida della Pace di Nicia, che prometteva di porre fine alla guerra del Peloponneso durata dieci anni, nel 421 a.C. Lo spettacolo si distingue per la sua gioiosa attesa di pace e per la celebrazione del ritorno a una vita idilliaca in campagna. Tuttavia, suona anche una nota di cautela, c’è amarezza nel riconoscere le opportunità perdute e il finale non è felice per tutti. Come in tutte le commedie di Aristofane, gli scherzi sono numerosi, l’azione è selvaggiamente assurda e la satira è feroce. Cleon, il leader populista a favore della guerra di Atene, è ancora una volta un bersaglio per l’arguzia dell’autore, anche se era morto nella battaglia di Anfipoli solo pochi mesi prima.

Trigeo, un ateniese arruffone e geniale, stufo della guerra che si trascina da dieci anni e manda in rovina i suoi affari, decide di risolvere lui la la contesa salendo in cielo, fino alle case di Giove, per strappare di lassa la dea Pace e ricondurla finalmente in terra. Per tanto viaggio, alleva uno scarabeo stercorario, lo fa ingrassare dai suoi servi con abbondanti porzioni di sterco e quando l’insetto é divenuto forte abbastanza per sostenerlo, spicca il volo, sale fino ai celesti e s’impadronisce della povera dea, che riporta in terra in mezzo al tripudio generale. In premio avrà una sposa celeste, Opora, simbolo dell’abbondanza ritornata nel mondo.

Nel prologo, dove, a parte l’amenità del dialogo trai due servi intenti a nutrire lo scarabeo, si può già notare la libertà, la disinvoltura con cui la realtà è stravolta al servizio della più sfrenata fantasia. Nella realizzazione scenica, macchine apposite innalzavano il protagonista e il suo gigantesco insetto. Pochi elementi bastavano al pubblico di allora per immaginare come realistica la scena, e la sua eventuale goffaggine doveva essere ulteriore elemento di ilarità tra gli spettatori.

In polemica con gli autori che si conquistavano il favore del pubblico regalando leccornie prima delle rappresentazioni, Aristofane arrivò a distribuire agli spettatori presenti alla prima della commedia un chicco di grano.

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