MAKSIM GOR’KIJ – Vita e opere

Maksim Gor’kij nel 1898

.
Non è mai facile parlare di uno scrittore direttamente impegnato nella grande trasformazione rivoluzionaria russa, nella cui opera, così ampia e perciò stesso discontinua, si riflettono così intensamente e direttamente, i problemi, le speranze, le delusioni, le certezze, i ritorni di un popolo sconvolto dalla storia nel modo in cui fu sconvolto il popolo russo. Qual è il vero Gor’kij? Il primo, il Gor’kij dei vagabondi, della ricerca della libertà a un livello immediato, della comprensione del mondo naturale, percepito fisicamente attraverso le parole? Oppure il Gor’kij de La Madre o di Klim Samgin? Eppure la storia spirituale e artistica di Gor’kij è sostanzialmente unitaria, legata com’è da speranze e da un sentimento che tutta la trascorre di grande umanità. L’umanesimo di Gor’kij è la concezione del mondo che sostiene la sua opera di artista e di uomo. E, in questo senso, oggi, nel nostro mondo, in cui l’umanesimo è praticamente, e purtroppo, sconfitto dalla tecnica (uso i due termini con valore più ampio ed emblematico, s’intende) Gor’kij può sembrare uno scrittore superato. Possiamo discutere sul mediocre valore poetico del romanzo La madre, sul prevalere, in esso, delle strutture su quella che è la verità ­illusione poetica. Ma non dobbiamo mai dimenticare l’importanza che tale romanzo ha avuto nella formazione della coscienza di milioni di uomini, di operai, che hanno trovato nei protagonisti, non solo, non tanto « modelli » da imitare a freddo, ma proprio il riflesso dei loro problemi; che si sono, dunque, ritrovati in essi. Che hanno ritrovato in essi la loro vita. Per questo il giudizio su un autore è complesso, nel senso che deve coinvolgere anche molti elementi che stanno fuori del testo. Detto ciò, va anche aggiunto che non è possibile accettare le tesi di coloro che riducono sostanzialmente l’oggetto del giudizio agli elementi.

.

Un uomo dell’Ottocento

Gor’kji è stato, in sostanza, un uomo dell’Ottocento: era nato nel 1868, e la sua cultura, di autodidatta, si era formata sui romanzi russi e non russi tradotti, di ogni genere, ma anche classici (Gogol’, Tolstoj, ecc.): quei libri, come sappiamo, che teneva il cuoco che, sul vascello della Volga, aveva come sguattero e discepolo il ragazzo Maksim Peskov che poi volle chiamarsi Gor’kij, l’Amaro (non senza una punta di estetismo). L’amarezza di Gor’kij, peraltro, era giustificata dalle sue esperienze, dalla gente che egli incontrò, da un suo pessimismo radicale, al quale si sovrappose la speranza rivoluzionaria, a volte ingenua, nel riscatto totale dell’umanità: ma l’eroe del suo ultimo, grande romanzo, Klim Samgin, nasce da questo pessimismo di fondo, sul quale occorre mettere l’accento. Gor’kij fu molto umano: e proprio per le diverse esperienze della sua vita; dovette, come sappiamo, lasciare presto la casa dei nonni, andar per il mondo, fare, ragazzo, lo straccivendolo, e poi lo sguattero, e poi altri mestieri, finché approdò alla segreteria di un avvocato, ed entrò in contatto con l’ambiente borghese. La sua umanità egli la manifestò, intensamente, verso i confratelli di mestiere, quando, nei duri anni della rivoluzione e della guerra civile, non si era certo molto teneri per gli scrittori: ma Gor’kij trovò lavoro, inventò « posti », organizzò collane editoriali, il che permise a molti di lavorare, come redattori, come traduttori, di non morire di fame, insomma. E questo suo carattere, unito alla cosiddetta “romantika”, o spirito romantico, non fu soltanto di Gor’kij uomo, ma determinò la sua opera di scrittore. E anche certe sue delusioni, amarezze, durante gli anni altrettanto difficili della costruzione del socialismo e in particolare del periodo stalinista, sono derivati da quella sua concezione poetica più che politica della rivoluzione. Concezione poetica che però gli permise di rappresentare il rapporto tra il mondo russo e la rivoluzione secondo verità. Hanno accusato Gor’kij di essere uno dei maggiori responsabili della soppressione delle “correnti letterarie” in URSS, al momento del I congresso degli scrittori. In sostanza, di essere il responsabile del “realismo socialista”. In realtà non si può accusare Gor’kij di essere responsabile della degenerazione burocratica della politica culturale del governo sovietico: se alcune sue opere vennero, e vengono, considerate modelli di realismo socialista, la colpa non è dell’autore dei romanzi, ma dei burocrati. Come pare fin troppo ovvio. Pure, tutta la storia del Gor’kij degli anni ’30 dovrà essere studiata e scritta, perché rimangono molti punti oscuri. Non dimentichiamo che, per molti, la morte di Gor’kij sarebbe stata provocata per volontà di Stalin, al quale lo scrittore, troppo indipendente e troppo democratico per i suoi gusti, dava fastidio. Non abbiamo prove, ed è quindi difficile stabilire quale sia la vera, delle sei o sette versioni sulla morte di Gor’kij che circolano. Una recente biografia di Gor’kij (B. Bjalik, Il destino di Massimo Gor’kij, Mosca, 1968) esclude responsabilità politico-poliziesche, e attribuisce la morte, sulla base dei documenti pubblicati, a un’influenza aggravatasi, in seguito anche alle condizioni dello scrittore, da decenni malato di tubercolosi.

.

.

Un marxismo romantico e populista

Ideologicamente, Gor’kij non fu un “rigoroso”: il momento “romantico”, cui potremmo dare anche un nome politico, di “populista”, fu sempre alla base delle sue scelte marxiste. Ma questo fatto costituisce la vitalità della sua opera di scrittore. Del resto, è proprio questa carica romantica e umanitaria, nonché il suo stile a volte troppo facile (ma Gor’kij è assai più sottile indagatore dei caratteri e dei fatti di quanto non si pensi) che hanno contribuito a renderlo uno scrittore così “popolare”, cioè uno scrittore che è “capito” dalla gente, che non scrive solo per i pochi. Uno scrittore serio, insomma: oggi, di fronte alla valanga di squallide buffonate delle molte avanguardie, nonché di fronte al linguaggio gergale, involuto (e quindi disonesto) di molti pseudo-rivoluzionari non possiamo non riconoscere questa “chiarezza” di Gor’kij, comunque valutiamo la sua profondità, la sua capacità di esprimere i nodi centrali del suo tempo. E del cuore umano. Non faremo tanti paragoni: del resto, Gor’kij non è Tolstoj, non è Goethe. Però è uno scrittore che ha una sua potenza e La vita di Klim Samgin è senz’altro uno dei più grandi romanzi del Novecento. È facile accusa dire che Gor’kij non ha innovato, che il suo è un romanzo tradizionale. Il concetto di innovazione e il concetto di validità artistica non sono affatto necessariamente collegati (a meno che non si voglia dire che, comunque, ogni opera d’arte valida è sempre un’innovazione). In effetti la polemica letteraria del nuovo contro il vecchio andrebbe chiarita, perché non si tratta di contrapporre il nuovo al vecchio, soltanto, ma di contrapporre un nuovo esteticamente valido a un vecchio non esteticamente valido. Spesso, invece, le mezze figure del mondo letterario (e artistico in genere) e critico sperano di reggere affermando furbescamente una novità che è solo formale, apparente, maschera vuota. Purtroppo, la storia letteraria degli ultimi decenni è, in gran parte, una storia di “maschere” senza cervello. Anche qui, detto ciò, dobbiamo naturalmente osservare che Gor’kij non è un innovatore tecnico e sostanziale come, poniamo, Proust o Belyj o Joyce. Si vuole dire che la cosiddetta eredità naturalista pesa in pieno su tutta l’opera di Gor’kij: nell’opera di Gor’kij il passato, il presente, il futuro si susseguono senza alcuna rottura dell’ordine interiore, diversamente da Proust, in cui tutto è sconvolto. Questo fatto però, ripetiamo, la riforma di per sé, non incide (necessariamente) sul valore. Allo stesso modo, non è nuovo un altro romanzo del nostro tempo, Il dottor Zivago, che ha in comune con il Klim Samgin il fatto di avere come eroe un personaggio negativo (negativo in modo complesso). Ma Il dottor Zivago non è “epico”, per questo non è neppure romanzo, è una narrazione, in cui si aprono pagine di incredibile bellezza, di purezza lirica e umana degna della grande tradizione russa (il ritorno di Zivago!).
Ancora: confrontato (ma i confronti sono sempre astratti) con Klim Samgin e con altre opere di Gor’kij, Il Maestro e Margherita risulta di gran lunga più vecchio, oltre che esteticamente più debole. Gor’kij appartiene comunque alla forte tradizione del grande romanzo russo, “epico”, e per questo va confrontato con le opere del passato e con quelle del nostro tempo (come per esempio con l’aggiustamento ignorato, da noi, Sergeev Censkij).

La grande epopea di Klim Samgin

Con Josip Stalin

.

Gor’kij s’era preparato tutta la vita al romanzo-epopea che la concluse, al Klim Samgin: i suoi tentativi nel campo del romanzo risalgono a tempi lontani, al 1894, anno in cui scrisse Pavel Goremuka, un quasi romanzo, del resto abortito. Ma Foma Gordeev e I tre sono quasi contemporanei a Resurrezione di Tolstoj. La tradizione seguita da Gor’kij agli esordi era quella tardo­naturalista (e populista) di V. Slepcov, di Gleb Uspenskij. La stessa che, a livello artistico assai più alto, seguì Sal­tikov-5cedrin. La stessa che seguivano scrittori contemporanei di Gor’kij, Mamin-Sibirjak e Kuprin. Nello scrivere Foma Gordeev (romanzo che è del 1899) Gor’kij si ispirò largamente al romanzo di Kuprin Moloch (del 1896). Moloch: con il nome dell’antico dio fenicio che divorava i primogeniti, Ku­prin simboleggiava il capitalismo della fine del secolo in Russia, quando l’oppressione del proletario-operaio si manifestava in forme vistose e scoperte (diversamente da oggi, allora non c’erano i raffinati “calcolatori dei tempi”, né complicati test di altrettanto raffinati psicologi e sociologi: c’era la pura brutalità delle guardie, dei capi-reparto, delle sedici ore di lavoro). In Kuprin, per altro, il regno del Moloch è dato come eterna condanna dell’uomo, nel Foma Gordeev c’è forse una speranza: che è simboleggiata nella ribellione del giovane Foma, una ribellione di tipo profetico. Foma Gordeev sente anche altre suggestioni (si ritrovano le dichiarazioni ideologiche secondo il modulo del Tolstoj di Resurrezione, e anche elementi di Goncarov). Anche I tre, che Gor’kij scrisse nel 1900, continua la tradizione russa del romanzo, a volte assunta polemicamente: il romanzo è tendenzioso; e non privo di schematismo: al proprietario Lunev (che ricorda, da una parte, le figure di certi capitalisti disegnati da Dostoevskij [Luzin, per esempio, di Delitto e Castigo]) si contrappone l’operaio Gracev.
Alcune figure si rifanno a Tolstoj (come Eremej): del resto Gor’kij conobbe personalmente Tolstoj (e Cechov) proprio negli anni 1899-1900. Il romanzo sociale nella sua struttura tradizionale presentava di solito anche una trama amorosa: si ricordi Terre vergini di Turgenev. Gor’kij, all’interno di questa tradizione, innovò, nel senso che spostò in secondo piano l’argomento amoroso, e lo considerò non determinante nell’economia del romanzo stesso. Ciò è evidente ne La Madre che Gor’kij scrisse durante la rivoluzione del 1905-1907, ma con riferimento preciso alle dimostrazioni operaie del 1902 e ai processi che se seguirono. Di questo romanzo si è parlato molto: è stato lodato oltre il dovuto, e criticato altrettanto ingiustamente. Però non dobbiamo dimenticare, ripeto, che, per decenni, è stato il libro degli operai e delle loro lotte. Dietro La Madre c’è pure una tradizione letteraria, la tradizione avente come “oggetto” di narrazione artistica speranze e vicende rivoluzionarie (ricordiamo ancora, fra i molti nomi, il Turgenev di Alla vigilia). Ma Gor’kij, come ormai ripetono tutti i manuali, introdusse per la prima volta la problematica precisa della rivoluzione proletaria-operaia e contadina. La chiarezza ideologica del romanzo, forse eccessiva e quindi un po’ schematica, aveva una sua funzione: il romanzo non doveva essere un oggetto di svago, di consumo, ma un libro di propaganda, carico di vitalità e di idee. Del resto, tale chiarezza ideologica è forse dovuta all’intervento di Lenin che, nel 1907, lesse il romanzo in manoscritto e se ne entusiasmò. È probabile che abbia dato dei consigli a Gor’kij, proprio in rapporto alla funzione politica educativa che aveva il romanzo stesso.

.

Il rovesciamento della prassi

 


Con Lev Tolstoj (1900)

 

L’azione de La Madre si può riassumere in poche parole: si identifica con lo sforzo, le sofferenze, le incertezze e la conquista della certezza che tolgono una contadina dalla sua esistenza tradizionale, frammentaria e oppressa, e le fanno ritrovare la propria dignità umana nel vivo della lotta degli operai di fabbrica. Questo “itinerarium” conferisce al libro una sorta di sacralità rivoluzionaria, che del resto è una delle chiavi della sua presa sulle anime di tanti lettori.
La struttura fondamentale del soggetto, nell’ambito del rapporto tra i protagonisti (la madre, il figlio) e il coro (la massa proletaria), realizza la sostituzione del solito intreccio sentimentale (eroe/eroina collegati da un vincolo amoroso) con un altro tipo di intreccio, la madre e il figlio: non c’è soltanto la sostituzione dell’intreccio tradizionale, ma v’è anche il rovesciamento di una situazione, nel senso che è il figlio operaio che educa la madre contadina. Il coro non ha funzione puramente emblematica, ma partecipa attivamente all’azione figlio-madre; siamo anche in presenza di un aspetto simbolico, nel senso che, oltre la vicenda e i rapporti di lavoro, di partito, di ideale, che uniscano, figlio, madre, operai, nella coppia figlio-madre l’autore ha voluto (scopertamente ma anche in modo convincente) incarnare una posizione partitica (l’alleanza operai-contadini e la funzione educativa dell’operaio di città, e di fabbrica, sul contadino, più arretrato). Questo romanzo aveva anche uno scopo polemico: opporsi a certi romanzi storici (o pseudo-storici) del tipo di quelli di Merezkovskij: questi, nel 1902 aveva pubblicato Pietro e Alessio, ultima, scialba, parte della trilogia Cristo e l’Anticristo, in cui si raffigura, oltre la vicenda storica, e quindi in modo simbolico, la lotta tra la Russia rivoluzionaria, anticristiana (rappresentata dallo zar Pietro il Grande) e la Russia cristiana (rappresentata dallo zarevic Alessio che, com’è noto, morì in circostanze oscure e forse per volontà del padre Pietro il Grande, al quale si era ribellato). Tuttavia Gor’kij ha voluto evitare una contrapposizione così facile: ha cercato piuttosto di risolvere sul piano artistico una proposizione ideologica, e c’è (almeno in parte) riuscito: nel senso che centro del romanzo non è tanto il problema astratto dei rapporti (e dell’alleanza) tra operai e contadini, quanto quello (risolto quasi sul piano naturalistico e persino viscerale) della filiazione della classe operaia russa da quella contadina. Fatto questo storica-, mente vero e in atto.
Non farò l’elenco di tutti i romanzi situati tra La Madre e Klim Samgin: alcuni di questi romanzi hanno avuto, anche da noi, non poca risonanza, del resto meritata: come per esempio La vita di un uomo inutile (da noi più noto con il titolo La spia) e La vita di Matvej Kozemjakin. Gor’kij è maestro nel descrivere personalità rozze, selvagge, animalesche. Eppure “era necessaria la vista artistica geniale di Gor’kij per vedere, dentro la vita morta, da putrido stagno, il lucente, la luce timida, che a poco a poco si diffonde e illumina la tenebra e caccia il freddo”. E questo si può notare nel ciclo che si chiama della città di Okurov, una storia quasi etnografica, sociale, psicologica, di Okurov e dei suoi aborigeni, nonché dei forestieri, narrata da un personaggio-tipo, il piccolo borghese, tutto chiuso nei suoi interessi particolari e nei suoi istinti, Matvei Kozemjakin.

La polemica con Remizov e Bunin

La polemica letteraria era aspra: Gor’kij aveva avversari di grande valore, come Remizov e Bunin. Bunin compete con Gor’kij, per quanto si riferisce ai contenuti, proprio nel campo della evocazione della vita della provincia. I due scrittori, per altro, sono di diverso ordine: in Bunin colpisce l’eccellenza dello stile; in Gor’kij la carica vitale, che, spesso, ci fa dimenticare una certa, eccessiva, facilità di scrittura. Comunque il confronto Bunin-Gor’kij può essere fatto, nel senso che la tecnica del romanzo-cronaca di vita provinciale (il Bunin de Il villaggio, il Gor’kij del ciclo di Okurov) è affine. Del resto lo stesso Bunin trasse ispirazione, in parte, anche da Gor’kij.
Non posso dire che Gor’kij sia innovatore (con riferimento alle strutture del romanzo, non considerando i contenuti, le idee, il mondo insomma) neppure nel romanzo L’affare degli Artamonov: in questo vasto romanzo, in cui la cronaca familiare si intreccia con quella politico-sociale, in cui si scava nelle viscere del sistema capitalistico e si studia con lucida chiarezza come tale sistema sia definitivamente annientato dalla classe operaia, si sente la suggestione delle invenzioni letterarie di Sal­tykov-Scedrin, di Dostoevskij e di Tolstoj. Tuttavia la novità di Gor’kij sta nell’aver narrato le vicende di una famiglia di imprenditori, dal loro sorgere, attraverso lo sviluppo della loro fabbrica, fino al loro decadere, su un arco di cinquant’anni, e di aver narrato tali vicende tenendo conto delle leggi di sviluppo della società capitalistica. I personaggi sono costruiti con la capacità di penetrazione e di evocazione dei caratteri che costituisce uno dei maggiori pregi di Gor’kij. Ma personaggi positivi del romanzo risultano non gli attivisti dell’industrializzazione, i creatori della fabbrica, come Aleksei e Miron Artamonov, ma personaggi sostanzialmente inerti, passivi, come Pjotr e Jakov Artamonov. Pjotr è un uomo superfluo del mondo borghese capitalista (come il turgeneviano Rudin lo era del mondo nobiliare), e proprio qui sta la forza dell’intuizione gor’kijana: mostrare una società attraverso chi ne vede la prossima fine.

L’opera più grande e complessa di Gor’kij

Questa capacità di evocare i caratteri negativi, e di trovare addirittura l’epicità attraverso la storia di un personaggio contorto e triste come l’avvocato Klim Samgin, è proprio al centro del romanzo che porta il nome di questo suo protagonista. Già abbiamo affermato che Klim Samgin è l’opera più grande e complessa di Gor’kij, valida per il mondo che esprime, valida per la forza di rappresentazione artistica. Abbiamo pure detto che Klim Samgin è uno dei capolavori della letteratura del Novecento. Klim Samgin è uno dei tanti intellettuali che popolano le pagine della letteratura russa, certo: ma la sua caratteristica fondamentale, come eroe letterario è quella di rappresentare un non eroe (in un certo senso, come Zivago). Ed ecco che il vasto affresco, cui Gor’kij lavorò, all’incirca, dal 1926 alla morte, e che non compì, è la storia epica di una vicenda non epica, inserita però nel fiume di una storia drammatica del paese russo. Sabbia calpestata dal destino, Klim reagisce come può, e come può la sua anima sostanzialmente meschina, alle sollecitazioni sempre più violente del mondo.

Alla vigilia della Rivoluzione

Il gruppo letterario dei ‘mercoledì‘ di Mosca. Da sinistra: Skilatec, Andreev, Gor’kj, Telecov, Saliapin e Bunin (1902)

 .

Il tempo in cui si svolge la storia di Samgin è quello della vigilia della rivoluzione; perciò il romanzo assume un carattere universale, per la quantità di personaggi, di situazioni, di ambienti rappresentati: da quelli rivoluzionari, a quelli erotico-mistici di certe sette (magistralmente evocati, come nel Colombo d’argento di Belyj ) a quelli semplicemente, grigia mente, filistei. Nel romanzo di Gor’kij, su uno sfondo epico, sono seguiti, evocati innumerevoli fatti storici, dalla catastrofe della Chodinka, il giorno dell’incoronazione dell’imperatore Nicola II (1896), fino alla guerra del 1914-1917, e alla rivoluzione di febbraio. La lotta intricata e aspra di tutte le classi sociali e degli individui, gli egoismi e gli altruismi, le ipocrisie e le sconfitte: tutto il mondo russo, per quasi quarant’anni, è ricreato in una potente sintesi artistica, in cui Gor’kij fa, possiamo dire, la storia spirituale della Russia. Con il Klim Samgin Gor’kij si rivela erede degno del suo grande maestro Leone Tolstoj. Dentro questo mondo, agitato da violenti sommovimenti, scorre la vita dell’avvocato Klim Samgin, si attua (se vogliamo usare un termine mitologico) la sua dannazione eterna, il segno di individuazione della sua anima piccola. La sua infanzia annoiata, la sua grigia adolescenza, i suoi tentativi di aggrapparsi a questa o a quella ideologia: il tolstoianesimo, le varie esperienze individualistiche, l’eclettismo di chi non crede in niente; i rapporti con la moglie (divenuta sacerdotessa di uno di quei culti che erano di moda alla vigilia della guerra e che poi morì tragicamente), alla morte di Samgin… Gor’kij non poté concludere il romanzo: la terza parte termina con gli avvenimenti del 1907-908; la quarta parte ha inizio dall’estate del 1906, e dovrebbe arrivare fino alla rivoluzione di Febbraio, fino al ritorno di Lenin. Tra i frammenti finali c’è un appunto sulla valutazione di Lenin da parte di Samgin (valutazione e sensazione: “Lenin è un nemico personale”). L’ultimo frammento si chiude sul sangue che esce dalla testa di Samgin e sulla donna che cerca di chiudergli gli occhi, non ci riesce, e pone sulla fronte del morto un pezzo di legno tolto a una cassetta rotta di munizioni. È improbabile che Gor’kij volesse concludere il romanzo con il suicidio di Samgin; non era da Klim Samgin uccidersi (c’è comunque anche questa versione). In realtà Samgin percorre tutti gli anni della sua vita e della storia del suo paese in preda al proprio egoismo e alla propria meschinità, che trova il suo simbolo (che è anche uno dei leitmotiv dell’opera) nella frase “ma c’era quel ragazzo, o forse non c’era?”: questa frase viene ripetuta da Klim nella coscienza, nella sua memoria, ed è indicativa del suo eliminare ogni sua colpa, ogni sua responsabilità. La frase si riferisce a un episodio della fanciullezza di Klim, invidioso del fratellastro, più forte, più buono, più generoso di lui; un giorno questo ragazzo cadde in acqua, per la rottura del ghiaccio, e invocò l’aiuto di Klim, ma Klim non lo aiutò; o, meglio, lo aiutò a metà (Klim faceva sempre le cose a metà), gli dette, sì, la mano ma non in modo tale che l’altro potesse aggrapparvisi, e così il fratellastro morì, con intima gioia di Klim. Poi, per tutta la vita, Klim fu come ossessionato da questa morte, che segnò il suo destino (cioè: indicò il suo carattere) e per questo Klim cercò sempre di allontanarne il ricordo, per cui l’episodio del ragazzo inghiottito dall’acqua divenne problematico, quasi come se non fosse mai avvenuto. E tutta la vita di Samgin fu così. Qui mi bastava riproporre al lettore il romanzo Klim Samgin, del quale ho dato solo un’indicazione iniziale. Per affermare la grande modernità e attualità di esso e del suo non eroico protagonista: il mezzo-intellettuale, il colto e ipocrita, misero e miserabile avvocato Klim Samgin.

.

VEDI ANCHE . . .

MAKSIM GOR’KIJ – Vita e opere

LA MADRE – Maksim Gor’kij

LA MADRE (Mother) – Film di Vsevolod Pudovkin

KLIM SAMGIN – Maksim Gor’kij