BILL CLINTON, CHI ERA COSTUI?

BILL CLINTON, CHI ERA COSTUI?

William Jefferson Clinton, detto Bill (nato William Jefferson Blythe III; Hope, 19 agosto 1946), è un politico statunitense, 42º presidente degli Stati Uniti d’America dal 1993 al 2001.

Insediatosi alla Casa Bianca il 20 gennaio 1993 – dopo essere stato eletto nel novembre 1992 con appena il 43,2 per cento del voto popolare (la percentuale più bassa dal 1912) – il nuovo presidente americano era quasi sconosciuto anche nel suo paese fino a pochi mesi prima.

Una sera di qualche anno prima della sua elezione a presidente Stati Uniti d’America Bill Clinton salì su un podio e lesse sullo schermo televisivo di un “gobbo” le frasi di un discorso che in breve divenne una sorta di necrologio politico: il suo. Il discorso, fatto alla Convention nazionale del Partito democratico tenutasi nel 1988 ad Atlanta, in Georgia, era quello di presentazione della candidatura di Michael Dukakis alle elezioni presidenziali.
Le cose, però, andarono male fin dall’inizio: intere sezioni del discorso erano state scritte dai collaboratori di Dukakis, che avevano usato parole, ritmi e stili estranei a Clinton; le luci all’interno della grande sala erano ancora tutte accese, e i delegati presenti continuavano a chiacchierare senza dargli retta perché nessuno li aveva avvertiti che Clinton avrebbe parlato.

Imperterrito nonostante gli inviti a tagliar corto mimati dagli organizzatori della Convention, l’oratore continuò a parlare per 33 minuti, e quando pronunciò le fatidiche parole “e in conclusione…” il pubblico disattento e recalcitrante gli tributò un ironico applauso di sollievo.

Il “grande discorso” di Bill Clinton fu un fallimento, e l’ambizione da lui a lungo accarezzata di arrivare alla Casa Bianca sembrava destinata a rimanere insoddisfatta. Ma Clinton continuò imperterrito per la sua strada, e in breve diede il via ai preparativi per presentare la propria candidatura alle elezioni presidenziali del 1992. La marcia prosegui inesorabile: durante la campagna usò per convertire alla sua causa gli elettori e comporre le differenze la stessa ferrea determinazione in cui i sostenitori riconoscono la sua più grande forza e i nemici il fattore che ha indebolito i suoi principi e annacquato il suo coraggio. Nel 1993 Clinton è il presidente degli Stati Uniti d’America.

I vecchi amici sostengono che quella che in Clinton è da sempre esatta percezione degli obiettivi da raggiungere è stata erroneamente interpretata come ambizione divorante. “Quando sentiamo dire che da piccolo Steven Spielberg faceva film, o che Brian Boitano voleva fare pattinaggio artistico, parliamo subito di inequivocabile vocazione” dice lo scrittore di Baltimora Thomas Caplan. “E allora perché non usiamo le stesse parole a proposito di un uomo che per tutta la vita si è preparato a fare due cose: il politico e l’uomo di governo?” Altri però la pensano diversamente. Non c’è più alcuna differenza tra il Bill Clinton privato e quello pubblico” sostiene John Brummett, un analista politico che ha seguito l’ascesa del candidato repubblicano. “Tutta la sua vita è una lunga campagna per la propria rielezione.”

Il padre di Clinton, William Jefferson Blythe III, rimase ucciso in un incidente automobilistico tre mesi prima che lui nascesse. La madre poi si risposò, e il suo secondo marito veniva da una famiglia che faceva politica attiva. Roy Clinton, zio di Bill, era un democratico riformista e faceva parte dell’assemblea legislativa dell’Arkansas. Da piccolo, Bill Clinton partecipava con entusiasmo alle campagne elettorali dello zio distribuendo volantini, e in seguito si rivolse spesso a lui quando aveva bisogno di consigli di natura politica.

Mentre era alle superiori, Clinton visitò la Casa Bianca, e qui poté stringere la mano al presidente John F. Kennedy, un avvenimento che lui ricorda come il più importante della sua adolescenza. “Credo che non dimenticheremo mai questo giorno” scrisse accanto alla foto di Kennedy nell’annuario scolastico di un compagno. “È stato meraviglioso, vero?”
“Ci vediamo alla Casa Bianca” annotò un altro studente sull’annuario di Clinton.

Clinton si candidò come Presidente del Consiglio Studentesco mentre frequentava la Georgetown University.

Il ragazzo dell’Arkansas tomò un anno dopo a Washington per iniziare gli studi alla Georgetown University, e subito si mise a fare politica. Ai colleghi si presentava con queste parole: “Salve, sono Bill Clinton. Vuoi aiutarmi a diventare presidente dell’organizzazione delle matricole?”
Riuscì nel suo intento, e poi cominciò a lavorare per J. William Fulbright, senatore dell’Arkansas e suo idolo politico.

Il professore Carroll Quigley contribuì a plasmare e dare forma alla visione politica di Clinton. “Tema della sua ultima lezione fu: le ragioni dell’affermazione della civiltà occidentale, e in particolare dell’America” dice Clinton. “”Lui le trovava nella “preferenza del futuro”. Diceva che nessun altro paese aveva salvato in cosi breve tempo tanta gente dall’ignoranza, dal bisogno e dalla corruzione come gli Stati Uniti, e che ciò era accaduto grazie alla semplice idea che ci aveva guidato, e cioè che il futuro può essere migliore del presente, e che di questo ciascuno è personalmente e moralmente responsabile””.

In seguito Clinton ottenne una borsa di studio che gli permise di trascorrere due anni a Oxford, in Gran Bretagna. “Per noi era consuetudine rimanere in sala mensa a discutere con accanimento di tutto finché non ci buttavano letteralmente fuori” ricorda Douglas Eakeley, ex viceprocuratore generale nel New Jersey. “E Bill era sempre al centro di queste discussioni, con gli studenti inglesi che pendevano sempre dalle sue labbra, e viceversa”. Quasi tutti dicono che la sua popolarità era naturale e meritata, ma alcuni di coloro che si trovavano a Oxford con lui in quel periodo, come Cliff Jackson, trovavano “rozzo e utilitaristico fino alla nausea” il modo in cui Clinton trafficava e si mostrava cordiale e amicone con tutti.

Da Oxford Clinton passò alla facoltà di legge di Yale, e da lì tomò poi in Arkansas, si candidò alle elezioni per il Congresso del 1974 e le perse di stretta misura. Due anni dopo fu eletto procuratore generale dello Stato, e nel 1978 governatore con oltre il 60 per cento dei voti. A 32 anni, Clinton era il ragazzo prodigio del mondo politico americano, ma quella sua prima esperienza al vertice gli insegnò una lezione che non ha mai dimenticato: aveva sbagliato ad aumentare di dieci volte l’imposta sulle patenti e a mettersi contro le potenti imprese di pubblici servizi e le industrie del legno di proprietà dello Stato dell’Arkansas. E aveva sbagliato a fare il governatore con arroganza, perché così era stato percepito. Anche fatti di poco conto acquistavano un’importanza simbolica: per esempio, che sua moglie portasse ancora il cognome da ragazza, o che, in un momento in cui l’Arkansas aveva lanciato una campagna con cui invitava gli automobilisti ad andare più piano per risparmiare benzina, il governatore fosse stato sorpreso a superare il limite di velocità guidando in autostrada.

Il Governatore Clinton e signora alla cena in onore dei governatori della nazione presso la Casa Bianca insieme al Presidente Ronald Reagan e alla first lady Nancy Reagan, nel 1987.

Nel 1980 Clinton non venne rieletto, guadagnandosi la dubbia distinzione di più giovane ex governatore degli Stati Uniti. Benché molto demoralizzato dalla batosta, l’ultima cosa che gli passò per la testa fu di lasciare l’Arkansas o abbandonare la politica.
“Non c’era il minimo dubbio che ci avrei riprovato” disse. “Nello stesso momento in cui prendevo atto della sconfitta, la mia mente ribolliva di idee sulle cose da fare per rimanere in pista e preparare il mio rientro”.
Poi si mise a girare lo Stato in lungo e in largo. “La gente gli si riuniva intorno e gli diceva che aveva votato contro di lui, ma che era spiacente che avesse perduto” ricorda la signora Hillary Clinton, che dopo la sconfitta aveva deciso di prendere il cognome del marito. “E lui rispondeva che gli dispiaceva di non aver ascoltato con più attenzione le loro richieste”.

Nel corso della campagna successiva Clinton fece circolare in televisione spot in cui confessava i propri peccati di arroganza e si scusava pubblicamente con gli elettori: “Ho imparato che non si può fare il leader politico se non si sa ascoltare la gente” affermava. Cominciò anche a parlare nei comizi con uno stile che secondo lui era il più adatto per farsi capire dagli elettori della classe media. Insisteva nei discorsi sulla necessità di sganciare i lavoratori dall’assistenza sociale, e ogni tanto parlava di legge e ordine. E nel 1982 fu nuovamente eletto governatore.

Ai suoi avversari sembrò che la volontà di sopravvivenza politica di Clinton cominciasse ad avere la meglio sulle sue convinzioni. Nel corso del suo primo mandato da governatore, Clinton aveva spesso sfidato le principali industrie dell’Arkansas; ora invece evitava di impedire a quelle del legno la distruzione delle foreste, e si impegnava ad alleggerire la pressione fiscale sulle aziende per favorire lo sviluppo economico. Alcuni membri dell’assemblea legislativa dello Stato che durante il primo mandato di Clinton si erano lamentati della sua eccessiva arroganza lo trovavano ora talmente malleabile e desideroso di compiacere che non riuscivano più a fidarsi di lui.

“Dava l’impressione di essere d’accordo con te su ogni punto” dice il democratico Nick Wilson, senatore dello Stato. “Come se gli interlocutori non avessero dovuto tener conto del fatto che non c’era sempre da fidarsi delle sue parole. Era solo il suo modo di mostrarsi simpatico”. Paul Greenberg, editorialista della Democrat-Gazette dell’Arkansas, affibbiò a Clinton un nomignolo poco lusinghiero: “Slick Willie” (Willie il furbastro). “Si era imposto di non offendere nessun elettore, per nessun motivo” dice Greenberg “e come strategia ha innegabilmente funzionato. Ma spiega anche il residuo di sfiducia che lo ha accompagnato per tutta la campagna elettorale”. “Che Clinton volesse diventare presidente era ovvio, com’era ovvio che aveva capito di dover cambiare rotta se voleva arrivarci” afferma Bruce McMath, legale specializzato in problemi ambientali. “Per riuscire nel suo intento è diventato più pragmatico in certi campi, come quello dell’ambiente, a volte perfino esagerando”.

La risposta di Clinton fu che lui non stava voltando gabbana, ma semplicemente cercando di aggirare i vicoli ciechi ideologici legati ai concetti di destra e sinistra. “Finiremmo col trovarci senza più Partito democratico se non pensassimo al modo di andare oltre la nostra attuale posizione politica” ha detto. I programmi che interessavano principalmente Clinton erano quelli che riusciva a collocare all’interno di un tema più ampio che lui stava cercando di sviluppare sui rapporti tra governo e cittadini: quello dell’opportunità e della responsabilità. Nel campo della riforma del sistema scolastico, il più importante successo di Clinton in materia legislativa nell’arco di dieci anni, l’opportunità era per i docenti costituita da stipendi più alti e maggiore flessibilità, e per gli studenti da corsi più numerosi e classi meno affollate. La responsabilità, per gli uni come per gli altri, consisteva nel documentare il lavoro svolto attraverso gli esami previsti. Identico il metodo applicato in altri settori.
“Il nocciolo della riforma del sistema assistenziale” ha dichiarato “è il contratto in base al quale il diritto a beneficiare di certi vantaggi è subordinato all’assunzione della responsabilità di raggiungere l’indipendenza economica attraverso lo studio, la formazione professionale e il lavoro”.

Clinton, Yitzhak Rabin e Yasser Arafat durante gli Accordi di Oslo il 13 settembre 1993.

Che il suo interesse per il posto di governatore si fosse alquanto raffreddato verso la fine del 1989 era un fatto risaputo nell’Arkansas, dal momento che Clinton lo aveva dichiarato pubblicamente in alcune occasioni. Sicché, quando nel 1990 ripropose la sua candidatura, gli venne chiesto nel corso di un dibattito televisivo se, qualora fosse stato eletto per la quinta volta, sarebbe rimasto in carica fino alla fine del mandato o avrebbe partecipato alle elezioni presidenziali. “Può scommetterci che finisco il mandato” rispose lui, come sempre pronto, sicuro di sé e desideroso di compiacere l’interlocutore. “Conto di rimanere in carica per quattro anni”. Fu rieletto. E subito dopo tornò a occuparsi della campagna su scala nazionale, visitando 35 Stati dal dicembre 1990 al maggiol99l e facendo conoscere le sue idee.

Nell’estate di quell’anno lui e Hillary passarono alcune notti a discutere delle inevitabili ripercussioni che avrebbero avuto sulla campagna le voci delle avventure extraconiugali di Clinton. Hillary disse al marito che, se si fossero sostenuti a vicenda, i pettegolezzi non avrebbero avuto alcun effetto. “La candidatura alla presidenza valeva bene il rischio di un po’ di chiacchiere” fu il suo commento.

Il momento per il quale Clinton si era preparato da quando era maggiorenne arrivò il 3 ottobre 1991: quel giorno, di fronte alla Old State House di Little Rock, annunciò che si candidava per la presidenza. Poco dopo, durante il ricevimento ufficiale, una sua compagna di scuola, Carolyn Staley, intrattenne gli ospiti suonando il piano e cantando gospel, musica popolare religiosa dei neri americani. Nella prima sera della sua campagna elettorale, Clinton: chiese a Carolyn di suonare il suo gospel favorito e, standole accanto, intonò con voce da tenore: “… Se qualcuno ti chiede dove sto andando… vado lassù in alto”.

Il neo presidente Bill Clinton (al centro), la first lady Hillary Rodham Clinton (destra) e la figlia Chelsea (a sinistra) salutano i partecipanti alla parata di Pennsylvania Avenue il giorno dell’insediamento (20 gennaio 1997)

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