IL PARTIGIANO JOHNNY – BEPPE FENOGLIO

IL PARTIGIANO JOHNNY

BEPPE FENOGLIO

Recensione


Ho letto IL PARTIGIANO JOHNNY, volume postumo di Beppe Fenoglio (1922-1963), un’edizione curata nel 1968 da Lorenzo Mondo per l’editore Einaudi. 
Si tratta di un romanzo che ha una travagliata storia editoriale, e su cui si è a lungo discusso. 
Il libro del 1968, così come uscì curato da Lorenzo Mondo, non esprimeva la volontà dello scrittore, ma era un tentativo di montaggio, operato fondendo due redazioni inedite lasciate dall’autore. 
Fondendole ed adattandole, Lorenzo Mondo volle dare provvisoriamente al pubblico (in attesa di una edizione filologicamente attendibile) un’opera degna della massima attenzione, uno dei libri più belli del Novecento letterario italiano. 


Tema del “Partigiano Johnny” è la Resistenza, vissuta dallo scrittore stesso nelle Langhe Piemontesi, dapprima militando nelle bande comuniste, poi con i badogliani ‘autonomi’. 
Il libro è appunto un’epopea della guerra partigiana, in un succedersi continuo di avventure, azioni militari, di scaramucce, di colpi di mano, di rastrellamenti, di fughe precipitose per colline, valli e ritàni (cioè forre, strette valli con sul fondo un ruscello, tipiche del paesaggio della zona). 
La Resistenza vi è vista non tanto nella sua concreta dimensione storica, ma è assunta piuttosto a valore assoluto, a lotta senza quartiere e senza fine con il ‘nemico’, storia epica tutta fatti, azioni, incalzanti e travolgenti avvenimenti.
Manca completamente ogni intento agiografico e celebrativo: anzi, proprio il tono spesso realisticamente disincantato (i partigiani visti nella loro debolezza militare, nella loro indisciplina, nella loro scarsa organizzazione, nei loro errori tattici e strategici) provocò una serie di accuse al romanzo, che si giudicava offendesse la Resistenza e fosse privo di una sufficiente carica ideale nel trattare quei fatti, tanto spesso celebrati ufficialmente. 
Sfuggiva a coloro che davano tali giudizi il valore letterario di un’opera di questo genere, la sua carica di rinnovamento quasi assoluto rispetto alla tradizione italiana. 
Violenza espressiva e linguaggio, epicità della storia, tipicità emblematica dei personaggi, al di là della caratterizzazione psicologica (quasi assente), ne fanno un ‘unicum’ tra i prodotti ispirati ad analoghi temi…, un ‘unicum’ di altissimo pregio. 
Faccio notare, prima di tutto, che la natura di abbozzo incompiuto del romanzo ci permette di fare a meno di un riassunto dettagliato della trama: basti sapere che Johnny, studente di Alba, reduce dal disciolto esercito italiano, dopo il crollo dell’8 settembre 1943, parte per le colline, dove milita con i partigiani nel carosello avventuroso di attacchi e fughe di cui si diceva, in un paesaggio reso mitico dallo scrittore (colline, valli, ritàni, boschi, grandi nevicate e freddi invernali), a contatto con un mondo contadino povero e spaurito, estraneo alle vicende della lotta ed involontariamente coinvolto in esse. 
Mi piace particolarmente il capitolo in cui viene descritto l’attacco tedesco a Mombarcaro, il paese più alto delle Langhe, sede di un comando dei partigiani comunisti. 
Con forze soverchianti, tedeschi e fascisti circondano l’alta collina su cui sorge il villaggio…, la scena, che si svolge in una notte invernale, è descritta con toni apocalittici. 
Attorno ai partigiani si distende, segnato nelle tenebre dalle luci dei camions, l’accerchiamento. 
Tenteranno la fuga disperata ed il passaggio delle linee nemiche, divisi in piccole pattuglie. 
In una di esse ci sarà Johnny: alla sua pattuglia riuscirà di sfuggire all’accerchiamento, ma cadrà in bocca ad una squadra bene armata e numerosa di fascisti che, falciati i compagni, lo costringeranno ad una fuga fortunosa e solitaria. 


Di avvenimenti come questi il libro è pieno, e sempre vi è una analoga carica di drammaticità e concitazione, resa evidente dall’originalissimo impasto linguistico. 
Tra i fenomeni più rilevanti del romanzo, particolare è l’uso dell’aggettivazione, sempre inaspettata (come “fumacchiate”…, il prato violaceo…, i campanili cellofanati…, e così via), nonché la ricerca di verbi di rilevata espressività (come…qualcuno stridé» per “qualcuno gridò”…, “la sua voce si ingrassava di stupore”…, “un razzo… si spanciò a pallone”…,. e così via), e poi i tecnicismi metaforici (come… “sospeso in ionosfera”…, “la spossatezza e la miseria tappezzando colloidalmente le loro facce”), nonché l’uso di diversi termini inglesi, inseriti in tutta tranquillità nella narrazione. 
Questo tipo di linguaggio dà i suoi frutti migliori proprio nella sorprendente carica delle scene di azione, nella nettezza dei paesaggi che ne formano la cornice. 
Gli scontri a fuoco e le morti assumono un tono epico e meraviglioso, mitico: ad esempio i fascisti che sbucano improvvisi dai cespugli sono paragonati a “centauri arborei”, e sono colti nell’attimo di sparare e guardare, mentre i compagni sono visti nell’atto di cadere, come in immagini successive scattate da una macchina fotografica. 

Conclusioni

La guerra di Johnny è, come ho già detto, un’esperienza assoluta e totale, risolta tutta nel momento della lotta, priva di sbocchi successivi, priva di dopoguerra. 
Anche la battuta (che è un riferimento del protagonista alla propria morte) non fa che anticipare la fine del romanzo, che nella seconda stesura si conclude appunto con la morte di Johnny in combattimento. 
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