ALDO MANUZIO: IL PRINCIPE DEI TIPOGRAFI

 

(p.d) Aldo Manuzio in un dipinto di Bernardino Loschi (al suo fianco Alberto III Pio)
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ALDO MANUZIO IL PRINCIPE DEI TIPOGRAFI 

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L’arte tipografica dalla Germania passò in Italia e qui, favorita dalla passione per gli studi, vivissima in quell’epoca da noi, incontrò un notevole successo, quantunque criticata dai più raffinati studiosi abituati allo splendore dei libri ornati di fregi e miniature. Tra i primi stampatori italiani si ricordano il feltrino Panfilo Castaldi ed Aldo Manuzio, il principe dei tipografi, che lavorò a Venezia.
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Aldo Pio Manuzio, Aldus Pius Manutius (Bassiano, presso Sezze, 1449 – Venezia, 6 febbraio 1515), è stato un editore, tipografo e umanista veneziano. È ritenuto il maggior tipografo del suo tempo e il primo editore in senso moderno. Introdusse numerose innovazioni destinate a segnare la storia della tipografia fino ai nostri giorni.
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Oggi le officine tipografiche producono ogni giorno così grande quantità di libri, fogli, giornali, che riesce difficile immaginare quale stupore generasse e diffondesse nella gente meno colta e nella dotta, l’apparizione di una “cosa” non mai vista, nè prima immaginata, un libro stampato, sulla fine del Quattrocento.
Ancor meno riusciamo a immaginare, accanto allo stupore delle menti ansiose o vaghe di novità, il profondissimo disprezzo degli artisti, dei calligrafi, delle persone di buon gusto per quella “cosa” venuta fuori da un torchio, tetra nel nero del suo inchiostro maleolente, disteso su una materia arida e vile fatta di cenci e di colla che era la carta. Bisogna aver visto uno dei libri manoscritti più luminosi di miniature e di fregi, per poter figurarsi la ripugnanza degli occhi abituati allo splendore dei colori e degli ori sulla pergamena, per un libro stampato, per uno di quei libri che noi accarezziamo come piccoli tesori chiamandoli incunaboli.
Aldo Manuzio non fu un tipografo, fu il capo e il direttore di una stamperia; e senza essere egli stesso un tecnico ebbe, perchè era un artista, la concezione artistica del libro, il senso perfetto delle esigenze estetiche e delle possibilità pratiche di una tipografia. Egli non ha mai composto una riga di sua mano, ma ha intuito il valore tecnico della stampa come strumento di civiltà, lo ha capito nelle sue minute e delicate raffinatezze estetiche.
Nessuno poteva prevedere alla fine del Quattrocento che la stamperia futura di Aldo sarebbe vissuta in gloria di secoli assai più di parecchi principati allora esistenti… Aldo ebbe la sensazione della potenza di espansione della stampa, e volle valersi di quel nuovo strumento di cultura con la volontà consapevole di rivelare i tesori della sapienza greca a una scolaresca universale, infinita… Questo era lo stato d’animo col quale egli si accingeva a tentare l’impresa nuova della sua vita.
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Marca tipografica di Paolo Manuzio
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Dato che Aldo è nato nel 1449 e accertato che la prima data su un libro da lui stampato è il 1494, si vede che lo stesso numero di anni all’incirca sono stati necessari alla stampa per arrivare a un grado di perfezione tecnica quasi definitiva, al Manuzio per concepire e maturare e in gran parte attuare un piano di lavoro editoriale gigantesco.
L’invenzione dei caratteri mobili, dovuta al Gutenberg, è assegnata dagli storici all’anno 1436. Prima di allora si stampava la pagina incisa su legno, più spesso figurata che scritta. Ma esistevano pure libri scritti soltanto, incisi totalmente su tavole di legno. La novità che sostituiva
alla tavola rigida e immutabile l’elasticità, l’agevolezza e la snodatura della pagina composta di tanti pezzi quante sono le lettere e gli spazi bianchi della scrittura che la occupa, era tuttavia per ragioni tecniche di scarsa utilità, perchè i tipi mobili erano pure di legno e dovevano essere incisi) uno per uno, si logoravano presto, e venivano a costare molto.
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Nel 1449 l’incisore Scheffer ebbe l’idea di fare i caratteri di metallo. Questo perfezionamento segna l’inizio del vertiginoso sviluppo della stampa e fu trovato l’anno stesso in cui Aldo nasceva.
Sweynheim e Pannartz chiamati dalla Germania per desiderio di Paolo II dai monaci benedettini di Subiaco, giunsero al monastero, e vi impiantarono la prima tipografia che sia mai esistita in Italia nel 1464 e si traslocarono a Roma nel 1467. Frattanto altre tipografie sorgevano a Venezia (1469), a Trento (1470), a Foligno (1470), a Firenze (1471).
Tutte queste tipografie riunite non produssero tra il loro sorgere e il momento nel quale Manuzio si dedicò alla stamperia, cioè in una trentina di anni, più di poche centinaia di volumi, e se si ricerca quali furono questi volumi si ha un’idea confusa, ma interessante, dello stato intellettuale dell’epoca.
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La stampa pose il problema che è il problema fondamentale dell’Editoria. Per il pubblico cercare quel che desidera; per l’editore indovinare e prevenire quel desiderio, producendo ciò che il pubblico cercherà. Ma quando si presentò il problema per la prima volta, il pubblico non cercava nulla, e chi stampava non aveva nessuna intenzione di indovinare i suoi desideri.
I monaci che fecero stampare a Subiaco la grammatica di Donato, il De oratore di Cicerone obbedirono a un suggerimento determinato dalla loro esperienza di insegnanti.
Successivamente furono riprodotti, dai mirabili manoscritti miniati, libri sacri; la Bibbia e i Libri d’oro, cioè di preghiere. E le loro leggi.
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I primi libri che si sono stampati con un certo criterio, sono stati dunque per le scuole elementari e per la chiesa e per i tribunali: subito dopo si stamparono alcuni classici latini e greci e il Petrarca e Dante.
Queste pubblicazioni hanno l’aspetto di scandagli disordinati nelle esigenze del pubblico, e nel gusto delle persone colte.
Per intendere la loro saltuarietà e il loro disordine bisogna ricordare che la stampa incontrò fierissime avversioni fra gli artisti e le persone di buon gusto, perchè i suoi prodotti apparvero di una bruttezza volgare agli ammiratori e ai raccoglitori dei codici miniati.
 Il duca di Urbino diceva che mai avrebbe tollerato nella sua libreria una simile bruttura: un libro stampato. Nè fra i dotti tutti capirono il valore dell’invenzione, nè per animo furono disposti a misurarne la utilità.
Occorreva, perchè le possibilità dell’invenzione si rivelassero, che ad essa si rivolgesse una mente vasta, un animo da apostolo, uno spirito di maestro: Aldo Manuzio.
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