STORIA DELLA CANZONE NAPOLETANA

La plurisecolare storia della canzone napoletana. dalle origini fino all’epoca digiacomiana non é ancora stata studiata con metodi moderni, per cui ne abbiamo una conoscenza lacunosa. Essendo la datazione dei canti, in buona parte dei casi soltanto ipotetica, non resta che tracciare un iter che in futuro potrebbe acquisire diversa connotazione.
I primi canti in lingua napoletana vengono fatti risalire all’epoca sveva e sono Jesce sole e i1 Canto delle lavandaie del Vomero. La prima é un’invocazione improntata a un paganesimo che più o meno rimarrà ancorato nello spirito partenopeo per molti secoli, mentre nella seconda si é voluto persino vedere il prototipo della canzone politica e di protesta poiché i fazzoletti di cui si parla non sarebbero altro che gli appezzamenti di terra di cui Federico II si era indebitamente appropriato.
Durante l’epoca angioina il canzoniere napoletano fu segnato dall’usanza di trarre spunti dagli avvenimenti, a volte scandalosi, della politica, come esemplifica il celebre brano in cui viene presa di mira Margherita di Durazzo (Frusta ccà Magaritella) e nella successiva epoca aragonese prese forma il canto popolaresco napoletano o popolareggiante. Nel Quattrocento si ebbero importanti eventi riguardo alla musica colta che ovviamente influenzarono la canzone e quando, per volere di Alfonso I, il dialetto fu elevato a lingua del Regno, si ebbero strambotti, madrigali, ballate e frottole scritte in napoletano.
A questo punto musica colta e musica popolare cominciano a intrecciarsi in un groviglio inestricabile che rende estremamente difficile parlare della canzone napoletana, che visse nel Cinquecento la sua prima “epoca d’oro”. Mentre si spegneva la voga della frottola e dello strambotto e trionfava il madrigale, a Napoli proliferava un nuovo genere di canzone, la villanella, indubbiamente una forma di canto popolareggiante. La “villanella alla napolitana” si articola in varie forme, quella di umili artigiani della città, quella che si basa su una lingua molto italianizzata e quelle di compositori come Orlando di Lasso. Forme che ovviamente si modellano sulle esigenze dei pubblici cui s’indirizzavano. La produzione di villanelle é talmente vasta da far supporre dei precedenti storici di notevole portata di cui pero abbiamo scarso prove.
Tra le villanelle più famose ricordiamo: Sto core mio, di Orlando di Lasso, Chi la gagliarda e No Police di Donati, Vurria che fosse cidola e Napolitani non facite folla. La diffusione della villanella fu tale che anche un ballo cinquecentesco ebbe lo stesso nome. Quindi la villanella divenne anche canzone a ballo ed ebbe originariamente in questa forma connotazioni più popolari e contadinesche per poi diventare più avanti componimento aulico. La canzone napoletana seicentesca visse nell’ombra. Col tramonto della villanella si ebbe un vuoto che poeti e musicisti girovaghi come Sbruffapappa e Masto Roggiero non riuscirono a colmare. Però un’analisi non superficiale della produzione dell’epoca potrebbe portare a delineare un quadro meno catastrofico dello stato di salute della canzone napoletana. Per fare un solo esempio, Sgruttendio lascia nella saffica dedicata a Cecca (Corda VIII) una descrizione e rappresentazione della Ntrezzata che si pone come canzone a ballo di eccellente fattura e notevole forza espressiva.
Diversi studiosi fanno risalire al Seicento due canzoni di grande fama: Michelammà e Fenesta ca lucive. Riguardo alla prima si sono avute dotte disquisizioni tese a dimostrare la paternità del Salvador Rosa senza però addurre alcuna seria prova, laddove si tratta di un canto popolare che forse risale addirittura al tempo delle incursioni saracene del Quattrocento.
Quindi non si tratterebbe neppure d’una canzone ma d’un coro di pescatori, di cui esiste anche una variante sicula. Quanto a Fenesta ca lucive e indubbio il suo rifarsi alla drammatica vicenda della baronessa Carini, e potrebbe anche essere un canto popolare di origine siciliana già in voga nel tardo Cinquecento. Non è possibile addentrarci tra le discusse origini di questa celebre canzone. In mancanza di alcuna prova che dimostri che non sia opera di un trascrittore non é difficile immaginare che a concepirne la pura linea melodica di foggia schiettamente romantica possa essere stato Vincenzo Bellini agli inizi dell’Ottocento.
Certo é assai improbabile che la canzone sia opera di Guglielmo Cottrau, che la stampò a suo nome nel 1842. Col Settecento, il secolo dell’opera buffa napoletana, la canzone napoletana torno in auge traendo linfa da essa ma anche dando spunti alla creatività di musicisti come Pergolesi e Paisiello.
Il rapporto tra la canzone partenopea e il melodramma di scuola napoletana è ancora da studiare. Ci limitiamo in questa sede a ricordare alcune tra le più celebri canzoni napoletane nate nel Settecento. Tra quelle non appartenenti a lavori teatrali sono Lu guarracino.., La canzone di Zeza e Fenesta vascia. La prima é una suggestiva tarantella che illustra con abilità virtuosistica un’incredibile battaglia tra pesci e resta tra i capolavori assoluti della canzone non solo napoletana. La terza una calascionata, cioé una serenata ariosa da cantare con accompagnamento di calascione, sorta di chitarrone dal lungo manico e panciuto come un grosso mandolino.
Tra le canzoni settecentesche dovute non ad autori anonimi come le precedenti bensì a protagonisti della grande stagione teatrale, ricordiamo Amice non credite alla zitelle di Paisiello, Comme da lo molino di Piccinni e So’ Le sorbe e le nespole amare di Vinci.
Sin dagli inizi dell’Ottocento la canzone napoletana si avvia a definire quelle forme che porteranno al rigoglioso periodo che ha avuto Salvatore Di Giacomo tra i massimi protagonisti. Molte canzonette della prima metà dell’Ottocento sono di autori anonimi, altre recano le firme dei versificatori e di musicisti, e altre ancora sono di origine popolare ma firmate da ricercatori come il Cottrau per cui la situazione appare un po’ confusa. Certo é che non si tratta d’una produzione dozzinale e banale come qualcuno l’ha definita, ma al contrario ricca di momenti deliziosi con creazioni che saranno da modello per la grande canzone che si avrà  tra il 1880 e 1915. Tra le composizioni più importanti tra quelle nate prima dell’unificazione dell’Italia sono Cannetella di Cottrau, La conocchia e Canzone marenara di Donizetti, Lo cocchiere d’affitto di Bolognese e Cammarano, la famosa Te voglio bene assaie di Raffaele Sacco, la trascinante Tarantella di Florimo, La rosa di Mercadante, Lu Cardillo di Del Prete e Labriola, Canzone nuvella di D’Arienzo e Ricci, Dimme ‘na vota si di Paolella e Scalisi e la più bella di tutte, Graziella di Bolognese e Labriola.
La canzone dell’Ottocento tocca i temi più svariati, dall’elogio dei luoghi alla passione amorosa alla vita di tutti i giorni ai grandi fatti di cronaca.

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