LE PRUGNE NELLA CUCINA ITALIANA

LE PRUGNE NELLA CUCINA ITALIANA 

Gnocchi de susini a Trieste, palle di prugne e strudel di lievito in Tirolo, zuppa dolce in Emilia, raffinata gelatina al profumo di limone, nel solco delle migliori tradizioni gastronomiche campane. Un po’ dovunque, nella tradizione regionale italiana, la prugna ha un suo posto a tavola e in cucina. Dopo la stagione delle ciliegie in Emilia, i carciofi “morellini” dell’estate in Toscana, i fichi, le pesche, le albicocche e perché no le nespole – e chi più ne ha più ne metta, fino al fico d’India e al corbezzolo – si conclude a settembre, soprattutto nelle zone più calde del mezzogiorno, il “tempo delle prugne”. Di questo frutto, in Italia esistono almeno 50 tipi, che possono essere raccolti in cinque grandi gruppi: catalane, claudie, damaschine, mirabelle, prugne. Tra le varietà più coltivate e commercializzate figurano la Bella di Lovanio (detta “francese” in Campania), la Goccia d’Oro, la Ozark Premier, la Burbank, la California Stanley (nota come Santa Clara in Campania e “borsa del brick” in Romagna) e la Precoce di Ersinger. Le varietà sono tante che la stagione inizia a giugno con la Precoce e finisce a settembre inoltrato con le rosse cardinale che, forse perché sono le ultime, sembrano anche più dolci. Proprio a quest’ultimo tipo di prugne tardive è legato uno dei più graditi nostri ricordi comuni: una gelatina di prugne cardinale.

Per noi le diverse varietà di prugne sono come i componenti di un’antica famiglia patriarcale. C’è la “Regina Claudia“, una nonnina piccola, dolce e protettiva con quel suo velo di cipria sulla pelle sottile, la Ozark Premier, una mamma amorosa, e la Sangue di Drago, un babbo sanguigno e corpulento.
Poi ci sono le figlie, ognuna con un proprio carattere: la Francese, maliziosa e seducente, la Goccia d’oro fresca e virginale, la Santa Rosa vezzosa e un po’ maliarda, e infine la Burbank, la più timida e delicata fra tutte.

Pare che il nome “Regina Claudia” sia derivato a questa prugna dolce come il miele da Claudia di Francia, la pia sovrana che fu moglie di Francesco I di Francia. E quella “Monsieur“, assai probabilmente deve la sua denominazione a Gastone d’Orléans che, in qualità di fratello del Re Sole, aveva il titolo di Monsieur.

Poeti e pittori hanno lodato questo frutto. “La delicata lanuggine che ricopre la prugna matura è simile ad una nuvola di gomma”, scrisse Johann Wolfgang Goethe, riferendosi allo strato ceroso che protegge il frutto dalla pioggia. Nel suo romanzo Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, l’eroe è talvolta chiamato dalla madre perché la aiuti in dispensa. “Le poche prugne che allora ottenni mi vennero dalla sua gentilezza, o dalla mia abilità” dice.

In sonnolenti paesini la scrittrice tedesca Sarah Kirsch s’imbatte nel dolce profumo della marmellata di prugna. “Il Calderone della marmellata di prugne riflette stupendamente il tuo viso” scrive in una poesia.

In pittura troviamo le prugne nei cesti di frutta dei maestri italiani, nei ritratti personificati dell’Estate di Giuseppe Arcimboldi, nelle nature morte e nelle scene di caccia dei fiamminghi e degli olandesi, ma soprattutto nelle nature morte dei pittori francesi. Indimenticabili, per esempio, quelle con prugne e pernici di Jean-Baptiste Chardin. Il chiarore latteo del frutto risalta meravigliosamente contro il metallo del vasellame di peltro e dell’argenteria. Ed anche il gusto culinario é accontentato, poiché le prugne, leggermente essiccate, fanno da eccellente accompagnamento alla selvaggina da pelo e da penna, ed entrano come ingrediente nelle ricche farcie del tacchino arrosto.

Con la sua forma ovale e le foglie ellittiche, la prugna é un ornamento liberty. La si può trovare tanto sulle stampe che sulle vetrate e nelle ceramiche decorative. L’antico Giappone celebrava la bellezza del susino, che là fiorisce nel tardo inverno. Attorno all’anno 1000, la dama di compagnia di Sei Shonagon confidava al suo diario segreto che la fioritura del susino era tra le più belle degli alberi da frutto.
Nell’Europa dei secoli andati, comunque, al fiore si preferiva il frutto. Nelle campagne si preparavano numerosi dolci per festeggiare i matrimoni e le ricorrenze importanti, e i frutti sopravvivevano all’inverno ammassati in piccoli sacchi o conservati immersi nell’alcol. Nel suo famoso libro di cucina, Pellegrino Artusi descrive la preparazione delle “prugne giulebbate”, cotte nel vino rosso con zucchero e cannella. In campagna i contadini le seccavano al calore del camino, i fornai nei forni dopo aver cotto il pane. A Natale in Emilia è tradizione fare con le prugne il pesto per tortellini dolci, mentre nel Friuli Venezia Giulia allo sliwovitz, il tipico distillato di prugne, vengono ancora attribuite proprietà terapeutiche per influenze e cattiva digestione. Dalle prugne messe a macerare in acquavite o brandy si ricava anche un delicato liquore, la Prunella, che conserva tutto il caratteristico aroma e gusto del frutto maturo.

Tuttavia, la prugna non cede tutto il suo aroma quando la si prende dal cestino della frutta. Solo il calore dei fornelli é capace di liberare la sua dolce, ben nota fragranza, la stessa che raggiunge il naso come una carezza quando arriva in tavola la gelatina di prugne cardinale, la stessa che ci ha spinto a parlarvi di questo frutto. In questa freschissima invenzione culinaria la prugna sembra sprigionare tutto il suo profumo, meravigliosamente esaltato dalla presenza dei leggendari limoni della costiera amalfitana. Insomma, un vero e proprio trionfo della gola che si ripete a ogni stagione per la gioia dei buongustai di ogni età.

Alfonso Iaccarino

Alfonso Iaccarino, con il suo locale a Sant’Agata sui due Golfi (Napoli), è l’unico chef che a sud di Roma abbia mai ottenuto riconoscimenti internazionali prestigiosi come le stelle Michelin e la qualifica di “Relais Gourmand”. Beppe Lo Russo, che vive a Firenze, è membro della Accademia della Cucina Italiana e collabora a numerose riviste e pagine specializzate in gastronomia.

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