CROCIFISSO – CIMABUE

CROCIFISSO (1287 circa) (prima dei danni dell’alluvione)
Cimabue (1240 circa – 1302)
Museo dell’Opera di Santa Croce, Firenze
Legno cm 448 x 380

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Pur essendo assegnata a Cimabue dalle fonti più antiche, quest’opera ha suscitato talvolta dubbi circa la sua attribuzione; attualmente la critica è propensa, quasi unanimemente, a riconoscervi la mano del grande Maestro. Alla fine del XIII secolo, in Toscana, si possono riscontrare due tendenze pittoriche contrapposte: l’una influenzata dallo stile bizantino e l’altra dallo stile gotico. Cimabue risente fortemente della tendenza bizantina, anche se inizia a distaccarsene; nel suo stile non si ritrova la ricerca dell’eleganza raffinata, del gusto aneddotico o del dettaglio, al contrario emerge il tentativo di semplificazione e di stilizzazione delle forme, l’orientamento verso la simmetria e la purezza della composizione, scelte stilistiche che conferiscono all’insieme dell’opera una straordinaria monumentalità.

Secondo la tradizione, Cimabue sarebbe stato il maestro di Giotto; quest’ultimo segnerà un ulteriore passo avanti che porterà la pittura fiorentina verso nuove conquiste: la prospettiva, il volume e l’espressione psicologica dei volti. Si può quindi affermare che Cimabue sia una sorta di precursore di quel Rinascimento che rivoluzionerà la pittura europea.

Nella tradizionale raffigurazione della Crocifissione, ispirata allo stile bizantino, gli episodi della vita e della Passione di Cristo erano rappresentati sul legno della croce; l’uomo-Dio, crocifisso, ha gli occhi sbarrati, è un Cristo sofferente che deve ancora affrontare la morte.
Con Cimabue, e dopo di lui con Giotto (a Firenze, a Rimini, a Padova), il Cristo raffigurato è già morto; il legno conserva per fondale le pieghe di un drappo, come nelle processioni. Solo i volti della Vergine e di San Giovanni sono inclusi nelle comici dei bracci della croce. Nell’abbandono della morte, nel volto e nella posizione piegata del corpo c’è una spiritualità quieta, ancora assente nel viso contratto e sofferente del Crocifisso di Cimabue di San Domenico ad Arezzo.

Il famoso Crocifisso, dipinto probabilmente per la chiesa francescana di Santa Croce a Firenze, rimase irrimediabilmente compromesso dall’alluvione del 4 novembre 1966, tanto da divenire il simbolo delle ferite inferte dall’Arno al patrimonio artistico fiorentino. Successivamente la storia del Crocifisso di Cimabue si confonde con la storia del suo lungo e delicato restauro che, pur non potendo recuperare completamente le parti annullate dalla calamità, lo ha sottratto alla perdita completa. L’opera, solo parzialmente visibile a causa degli ampi spazi danneggiati, riesce a comunicare ugualmente la natura sofferente, ma sovrumana, del Cristo.

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La fine della tradizione bizantina

 

Intorno alla metà del XIII secolo, il declino della tradizione pittorica bizantina è accelerato dalla concomitanza di particolari eventi storici e politici, e dal ruolo dei comuni italiani che sviluppano una intensa attività commerciale, incoraggiano la produzione artigianale e sostengono gli scambi con i paesi europei. Da questa dinamica scaturisce una circolazione di idee e quindi il germe di nuove culture. La Toscana è particolarmente sensibile a questi mutamenti e ciò si riflette soprattutto nei cambiamenti strutturali dell’espressione artistica.
Cimabue, grazie alla sua profonda intuizione, è uno degli anticipatori di questa svolta.

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CROCIFISSO (1287 circa) (dopo l’alluvione)
Cimabue (1240 circa – 1302)
Museo dell’Opera di Santa Croce, Firenze
Legno cm 448 x 380

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