WILLIAM SAKESPEARE e il teatro elisabettiano

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Ritratto di Elisabetta I d’Inghilterra con l’ermellino (William Segar 1564-1633)

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Sullo sfondo degli ultimi anni del regno della grande Elisabetta d’Inghilterra, regina dal 1558 al 1603, e dei primi anni del suo successore Giacomo I, si colloca la felice stagione del teatro elisabettiano. Sono gli anni del decollo della potenza inglese: nel 1580 Francis Drake compie il secondo viaggio di circumnavigazione del mondo; otto anni dopo, la flotta inglese batte quella spagnola di Filippo II, l’Invencible Armada, e la Spagna comincia il suo declino; nel 1599 Elisabetta fonda la Compagnia delle Indie per la conquista dei mercati e delle terre dell’Oriente, mentre i suoi coloni sbarcano sulle coste settentrionali dell’America e fondano in suo onore la Virginia. Londra, la capitale del regno, si avvia a divenire il centro dei traffici marittimi del mondo e un vivacissimo centro culturale; vi operano poeti come Edmund Spenser e Philip Sidney, filosofi come Francesco Bacone, padre dell’empirismo, e nei suoi teatri si sviluppa una delle più fertili “stagioni” di tutti i tempi, il teatro elisabettiano, quello di Ben Jonson, di Christopher Marlowe, di John Webster, di John Ford e soprattutto di William Shakespeare (1564-1616), che a Londra rappresentò, dal 1590 al 1613, in poco più di vent’anni, le sue commedie, i suoi drammi storici, le sue tragedie, circa quaranta opere tra le più straordinarie del teatro universale.
Il teatro elisabettiano è strutturato con una libertà di modi sconosciuta fino ad allora. La commedia, il dramma storico, la tragedia sono divisi in cinque atti, secondo le regole stabilite dal teatro italiano del Rinascimento, che a sua volta le aveva desunte da quello antico greco e latino. Ma, contrariamente al teatro italiano, quello elisabettiano (in versi, intervallati generalmente da parti in prosa) è assai più ricco di personaggi, ignora del tutto l’abbellimento scenografico per puntare soltanto sulla parola, e respinge le unità di tempo, di luogo e di azione.
Le numerose scene che si susseguono ad ogni atto possono essere immaginate nei luoghi più impensati, a distanza di tempo e con digressioni frequenti, anche di natura comica nel bel mezzo di una tragedia.
Il luogo della rappresentazione è del tutto diverso dai teatri antichi e moderni: consiste sostanzialmente in una sala circolare, dove è sistemato un palco che si protende fino in mezzo alla sala, e in una serie di balconate, specie di palchetti, tutti intorno.
Il pubblico dei nobili gremisce il palcoscenico dove resta appena lo spazio per gli attori, quello borghese sta in piedi intorno al palco o si affaccia alle balconate.
Gli attori non usufruiscono di ambientazione di alcun genere: entrano dal fondo, avanzano, e detta la parte si ritirano. Per determinare la natura della scena, per indicare se si tratti di una stanza, di una piazza o di un campo di battaglia, basta agli spettatori un cartello esposto da un valletto di volta in volta, con su scritta l’indicazione relativa; sicché le scene possono mutare di continuo secondo l’estro del poeta e le esigenze della trama.
I temi, desunti dal mito antico, dalla storia d’Inghilterra, da quella di Francia e più spesso d’Italia attraverso la novellistica italiana rinascimentale, sono intrisi della più cupa e fosca tragicità. Le scene truci, già introdotte da Seneca nella tragedia all’età di Nerone, qui abbondano; contrariamente a quanto avveniva nella tragedia antica, qui la catastrofe si consuma sotto gli occhi di tutti, fino ai limiti dell’orrore.
Il linguaggio è altrettanto libero quanto la struttura: il rigore del teatro classico, che esigeva modi discorsivi per la commedia e lingua solenne e illustre per la tragedia, è del tutto abbandonato per un impasto che accanto alle forme più nobili non disdegna voci volgari, giochi di parole, espressioni magari scurrili, pronto a piegarsi ai multiformi aspetti della vita, in tutte le manifestazioni della passione, della rabbia, del dolore. Dietro a tutto questo sta il gusto dell’età barocca per la rottura con la tradizione, per le forme estrose, per le tinte fosche.
Ad esempio nella tragedia Giulietta e Romeo di Shakespeare, che pure è bellissima ma è opera giovanile e quindi più sensibile alla moda del tempo, questo gusto si avverte nelle bizzarre metafore, nell’enfasi dei paragoni, nel fraseggiare ampio e ricercato. La materia vi è perfettamente dominata dall’autore; ma ancora un passo e la pagina cadrebbe nel lezioso.

Romeo e Giulietta

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Degli autori del teatro elisabettiano il più grande fu William Shakespeare. Qui è impossibile affrontare, fosse anche superficialmente, la complessa e profonda grandiosità della sua opera. L’intero mondo delle virtù, delle passioni, dei vizi umani vi è affrontato con una incredibile ricchezza di mezzi, che riesce a far convivere gli slanci generosi con gli orrori delle anime più perverse.
Nelle opere maggiori, anche quando sembra individuabile un tema preciso (come l’amore in Giulietta e Romeo, il dubbio in Amleto, la gelosia in Otello, l’ingratitudine in Re Lear, il rimorso in Macbeth), numerosi altri temi trovano il loro naturale sviluppo in una sintesi che assume tutti gli aspetti della realtà e li fa propri con eccezionale vigore rappresentativo.
La sua fortuna, che fu grande presso i contemporanei, si rinnovò particolarmente dall’età romantica in poi ed ancor oggi la sua opera è tra le più rappresentate e celebrate nel mondo.
Tra le sue commedie ricordo La bisbetica domata (di ambiente italiano), Il sogno di una notte di mezza estate (tra le più fantasiose e poetiche), Le allegre comari di Windsor, tutte scritte tra il 1594 e il 1601.
Tra le tragedie, Riccardo III, Giulietta e Romeo, Enrico V, Giulio Cesare, Amleto, Otello, Re Lear, Macbeth, La tempesta, rappresentate tra il 1593 e il 1612, in gran parte dalla compagnia del teatro Globe, di cui il poeta era attore oltre che socio.
I testi, pervenuti fino a noi in edizioni quasi sempre condotte sui copioni di scena, e quindi con interpolazioni e varianti numerose, costituiscono ancora uno dei grossi problemi della filologia moderna e contribuiscono ad accrescere quella sorta di alone misterioso che circonda la figura del poeta, sia per le incertezze causate dall’estrema scarsità di notizie biografiche sicure (si è giunti persino a negarne l’esistenza e ad attribuire la sua opera ad altri), sia per la singolarità del suo teatro, per l’incredibile gamma di toni in cui esso si esprime.

Portrait of William Shakespeare

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WILLIAM SAKESPEARE – Vita e opere

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L’OPERA SHAKESPEARIANA

ROMEO E GIULIETTA – William Shakespeare

AMLETO – William Shakespeare

MACBETH – William Shakespeare

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