ROMEO E GIULIETTA – William Shakespeare

Francesco Hayez, Ultimo bacio tra Giulietta e Romeo (1823)

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ROMEO E GIULIETTA

William Shakespeare
Titolo originale – The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet
Genere – Tragedia
Ambientazione – Verona e Mantova nel Cinquecento
Composto nel 1594-1596

Personaggi

Escalo, principe di Verona
Il conte Paride, giovane nobiluomo e parente del principe
Montecchi, patriarca della casata
Madonna Montecchi, moglie del Montecchi e madre di Romeo
Romeo, figlio dei Montecchi
Capuleti, patriarca della casata
Madonna Capuleti, moglie del Capuleti e madre di Giulietta
Giulietta, figlia dei Capuleti
La nutrice balia di Giulietta
Un vecchio, parente dei Capuleti
Mercuzio, figlio del principe e amico di Romeo
Benvolio, nipote dei Montecchi e cugino di Romeo
Tebaldo, nipote di Madonna Capuleti
Baldassarre, servitore di Romeo
Abramo, servitore dei Montecchi
Sansone e Gregorio, servitori di casa Capuleti
Antonio e Pentolaccia, servi di casa Capuleti
Pietro, servo della balia di Giulietta
Frate Lorenzo e Frate Giovanni, francescani
Uno speziale, vende il veleno a Romeo
Tre musicisti
Il paggio di Paride, un altro paggio e un ufficiale
Rosalina, personaggio invisibile e nipote dei Capuleti di cui è innamorato Romeo
Valentino, personaggio invisibile e fratello di Mercuzio ospite alla festa dei Capuleti
Petruccio, personaggio invisibile ospite alla festa dei Capuleti
Cittadini di Verona, congiunti delle due famiglie, la ronda di Verona, guardie, soldati, servi e persone al seguito
Il coro

“Mai una storia è stata di tanto dolore quanto questa di Giulietta e del suo Romeo…”  con queste parole finisce la famosa tragedia di Shakespeare.
Parole giuste, ma noi potremmo aggiungere: “Mai una storia è stata di tanto amore quanto questa di Romeo e Giulietta.”.
Amore e dolore insieme che fanno della tragica vicenda dei due infelici amanti di Verona la più incantevole e famosa storia d’amore di tutti i tempi, Shakespeare la compose dal 1594 al 1595, quand’era ancora giovane e pieno di sogni, di passione, di entusiasmo. Sono talmente belle e vere le scene d’amore di “Romeo and Juliet”, da farci pensare che Shakespeare in quegli anni fosse perdutamente innamorato di qualche giovane e graziosa ragazza di Londra, e forse egli poneva in bocca ai suoi due personaggi quelle stesse parole d’amore che diceva, o avrebbe voluto dire, alla fanciulla amata.
Ma ascoltiamolo dunque, questo Shakespeare-Romeo appassionato, mentre parla teneramente con la sua Giulietta nella stupenda scena dell’addio.

 

UNA PAGINA

(Nel giardino dei Capuleti: Romeo e Giulietta si affacciano al davanzale della finestra).

GIULIETTA: Te ne vuoi già andare? Non è ancora giorno: era il canto d’un usignolo e non di un’allodola a ferirti il trepido orecchio. Di notte l’usignolo canta su quel melograno; credi a me, amore, era l’usignolo.

ROMEO: No, era l’allodola, foriera del giorno; non era l’usignolo. Guarda, amore, come quelle strisce laggiù a oriente tagliano invidiose le nuvole. Le faci della notte si sono oramai consumate e in punta di piedi il giocondo mattino s’è levato sulle cime nebbiose delle montagne. Devo andarmene e vivere, o rimanere e morire.

GIULIETTA: Quella luce non è la luce del giorno, lo so; è una meteora irraggiata dal sole perché ti faccia da torcia e ti rischiari la strada che farai fino a Mantova. Rimani dunque, non devi andartene.

ROMEO: Lascia che mi prendano, lascia che m’uccidano: se tu vuoi che sia cosi, io ne sono contento.
E dico anch’io che quel lucore laggiù non è l’occhio del mattino ma un pallido riflesso del volto di Diana, che quelle note che risuonano tanto alte, sopra noi, nel firmamento, non sono dell’allodola. Ho più desiderio di rimanere che voglia d’andarmene. Vieni morte, e sii la benvenuta! Giulietta stessa vuole così. Va bene, anima mia? Discorriamo, non è ancora giorno.

GIULIETTA: Si, si, è giorno; corri via, vattene, subito! È l’allodola a cantare cosi stonata, sforzando aspre dissonanze e sgradevoli acuti.
Dicono che l’allodola canti dolci melodie, ma questa è amara perché divide te da me; dicono che l’allodola e il ripugnante rospo si sieno scambiati gli occhi; adesso mi sembra che si sieno scambiate anche le voci poiché è questa voce a staccarci, spauriti, l’una dalle braccia dell’altro, allontanando te e ridestando il giorno. Vattene, vattene! c’è sempre più luce.

ROMEO: Più e più luce è nel cielo, più e più buio è dentro noi. (Entra la Nutrice)

NUTRICE: Madonna!

GIULIETTA: Balia!

NUTRICE: Madonna, viene vostra madre: è giorno, state attenta.

GIULIETTA: Allora, finestra mia, fai entrare la luce e uscire la vita.

ROMEO: Addio, addio! Un bacio e scendo. (Scende)

GIULIETTA: Sei andato via così? Amore, signore, sì, marito e amico! Devo avere tue notizie in tutti i giorni dell’ora perché in ogni minuto vi saranno ormai tanti giorni.
(da: W. Shakespeare – Romeo e Giulietta – Traduzione di Paola Ojetti – Ed. Rizzoli)

Romeo e Giulietta, dipinto di Frank Bernard Dicksee

LA SEMPLICITÀ DEL GENIO

Lo stile di Shakespeare ha la naturalezza del genio. Il suo segreto è la grande semplicità. Usando un linguaggio piano, comprensibile a chiunque, egli riesce a esprimere in modo altamente poetico sentimenti e concetti profondi e veri. Le sue espressioni, le sue immagini sono limpide, armoniose, piene di poesia.
La delicatezza di questo famoso dialogo, il rapido susseguirsi di splendide immagini (“Di notte l’usignolo canta su quel melograno”; “le strisce che tagliano invidiose le nuvole”; “…quel lucore laggiù non è l’occhio del mattino… “) ne fanno una delle pagine più belle e commoventi del teatro di tutti i tempi. Osserviamo come sono vere le parole con cui Giulietta cerca disperatamente di ingannare se stessa e l’amante per trattenerlo ancora un poco presso di sé, e com’è comprensibile, com’è umano l’improvviso voltafaccia di Romeo: “E dico anch’io che quel lucore laggiù non è l’occhio del mattino…”. Due innamorati, in ogni tempo, non parlerebbero così, non si esprimerebbero con le stesse parole dei due candidi e trepidi giovinetti?

Shakespeare ha dato a parole vere, a sentimenti reali una stupenda forma poetica e questo senza ricorrere ad artifici o a parole “difficili”; noi possiamo capire tutto, sentire l’aria fresca della speranza, della gioia che uniscono Romeo e Giulietta, pronti all’amore e alla morte. Ci lasciamo convincere, trascinare, commuovere. Questi sono i miracoli del genio.

LA VICENDA

Siamo nel Cinquecento. Le due famiglie più potenti di Verona, i Montecchi e i Capuleti, sono ferocemente nemiche tra loro. Romeo, il figlio del vecchio capofamiglia Montecchi, partecipa mascherato a una festa in casa Capuleti; qui vede per la prima volta Giulietta, la giovane figlia del vecchio Capuleti, e se ne innamora perdutamente. Dopo la festa Romeo si nasconde sotto il balcone di Giulietta e sente la fanciulla che parla a voce alta con se stessa: sicura di non essere ascoltata da nessuno, essa confessa trepidamente di avere visto il giovane Montecchi e di essersi innamorata di lui; ma il suo amore è senza speranza perché Romeo porta il cognome degli odiati nemici. Romeo, pazzo di felicità, esce dal suo nascondiglio, le parla appassionatamente e in una bellissima scena d’amore convince Giulietta a sposarlo in segreto.
Il giorno seguente, infatti, i due giovinetti si sposano, con l’aiuto di frate Lorenzo.
Ma attorno ai due innamorati si va preparando la tragedia.
Tebaldo, cugino di Giulietta, furioso perché ha saputo che Romeo ha osato partecipare alla festa dei Capuleti, incontrando Mercuzio, un prode amico di Romeo, lo provoca per giungere alla lite. Romeo interviene per porre pace e Tebaldo insulta anche lui e lo invita a battersi. Ma Romeo, che non è più capace di odiare i Capuleti, rifiuta. Mercuzio non comprende la passività di Romeo (egli non sa che l’amico ha sposato segretamente Giulietta); raccoglie lui la sfida di Tebaldo, e i due si battono. Romeo tenta invano di dividerli; anzi, proprio in questo tentativo ostacola l’amico, così che Tebaldo può ucciderlo. Romeo, vedendo cadere l”amatissimo Mercuzio, non è più capace di trattenersi: estrae la spada, si avventa su Tebaldo e lo trafigge. La tragica macchina del destino si è mossa. Romeo viene condannato all’esilio. Trascorre una breve, struggente ed disperata notte con Giulietta e la mattina seguente lascia Verona.
Intanto il vecchio Capuleti, il quale non sa che la figlia è già sposata con Romeo, decide che Giulietta debba sposare immediatamente suo cugino Paride; le proteste e i pianti della fanciulla non servono a nulla.
Giulietta è disperata, ma frate Lorenzo le viene in aiuto suggerendole di prendere un potente narcotico, che la farà cadere per quaranta ore in un sonno simile alla morte; egli nel frattempo avviserà Romeo dello stratagemma perché il giovane possa trovarsi accanto a lei al suo risveglio nel sepolcro.
La vigilia delle nozze Giulietta, trepida ma coraggiosa, prende il narcotico e stramazza al suolo. Per la grande casa si diffonde un senso di orrore: Giulietta è morta! Piangendo amarissime lacrime, i familiari portano nel sepolcro il suo corpo apparentemente senza vita, vestito dell’abito di nozze.
Ma ancora una volta il destino è crudele con i due innamorati: il frate che avrebbe dovuto avvisare Romeo non riesce a raggiungere il giovane; a Romeo giunge invece la terribile notizia dell’improvvisa morte di Giulietta. Stroncato dal dolore, parte immediatamente per recarsi presso la giovane sposa e, morire vicino a lei.
Davanti al sepolcro, Romeo si incontra con il promesso sposo, Paride. I due uomini, entrambi disperati, si battono a duello: Romeo uccide Paride. Poi bacia per 1’ultima volta Giulietta che giace, fredda e bellissima, nella tomba aperta; osserva con struggente, disperato amore quel viso immobile che non gli sorriderà mai più. Perché continuare a vivere? Beve un veleno e muore, vicino alla donna che ama più della vita.
Poco dopo Giulietta si risveglia, vede presso di lei Romeo ormai cadavere con la coppa del veleno in mano. Anche lei quindi non ha più motivo di vivere: afferra un pugnale, e, dopo avere detto ancora una volta con straziante tenerezza il suo amore a Romeo, si immerge la lama nel petto. I due giovani sono vicini, finalmente uniti.
La tragedia finisce con il racconto di questa duplice, terribile morte, fatto dal frate e dal paggio di Paride alle famiglie riunite dei Capuleti e dei Montecchi.
La morte dei due innamorati servirà alla loro riconciliazione.

 

COMMENTO

Mai come ine Romeo e Giulietta l’amore, nel suo misterioso intrecciarsi di sogno e di passione, di speranze e di morte, è stato rappresentato con tanta suggestione.
Soltanto in qualche grande poesia è possibile ritrovare tanta dolce intensità. Shakespeare era anche poeta e in questa favola egli ha concentrato purezza lirica, originalità d’immagini, come in una lunghissima, splendente poesia.
Vi invito a fare questa osservazione: la storia narrata da Shakespeare è una vicenda artificiosa e melodrammatica: l’ambiente descrive la vita della nobiltà italiana del secolo XVI secondo le regole di un machiavellismo di maniera; il destino è crudele al di là di ogni misura con i due giovani, le uccisioni si susseguono a ritmo impressionante, il finale è a sorpresa. Eppure, leggendo “Romeo e Giulietta” noi non ci accorgiamo di tutto ciò e partecipiamo e ci commuoviamo alla vicenda dei due giovani sposi. Perché?
Perché c’è l’invenzione poetica; perché Shakespeare ha rivestito di stupenda poesia una trama macchinosa e ne ha fatto un’opera d’arte. Noi leggiamo commossi la storia dei due innamorati e sentiamo dentro di noi che “è così”, che “è tutto vero” perché è vero l’amore: tutto il resto non conta;
Dopo ” Romeo e Giulietta” Shakespeare creò opere fortemente drammatiche, opere storiche, opere comiche, la sua “esplorazione” dell’animo umano, con tutti i sentimenti e le passioni che lo agitano, non ha conosciuto limiti (e certe sue battute, alcuni suoi pensieri sono giunti sino a noi con la incisiva potenza dei proverbi), ma questa opera giovanile, anche di fronte alle grandi opere della maturità, resta poeticamente insuperata.

Romeo e Giulietta, dipinto di Ford Madox Brown

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