UN EPISODIO
Naufragato il tentativo di misurarsi con Staunton ed inappagato dalle relativamente facili vittorie riportate su Lowenthal ed Owen, Morphy cercò di coronare un altro grande sogno della sua vita, quello di incontrare Anderssen, l’anziano ma temibile professore di matematica tedesco. L’incontro si disputò a Parigi grazie all’intervento finanziario dello stesso Morphy, il quale si addossò per intero le spese di viaggio e di soggiorno dell’avversario che altrimenti non avrebbe mai potuto permettersi una simile impresa, e fu convenuto che si sarebbe concluso non appena uno dei contendenti avesse raggiunto la settima vittoria. Fu, nemmeno a dirlo, un autentico trionfo per il giovane americano ed un altrettanto inequivocabile massacro per l’anziano campione tedesco: Morphy vinse la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava e l’undicesima partita, pareggiò la seconda e cedette solo una volta a causa di un momentaneo calo di tensione. Nel congedarsi, Anderssen dimostrò di essere il gentiluomo di sempre e dette dell’avversario un giudizio che forse rimane ancora oggi il più esatto tra tutti quelli che sono stati dati su di lui: “Morphy”, ebbe a dire, “non gioca mai la mossa migliore: il suo cervello è infatti teso alla ricerca ed alla esecuzione della continuazione più brillante, dell’attacco più fulmineo: in una parola, egli si sforza continuamente di trovare la variante superba, quella splendida, cosi ingenerare ammirazione e rispetto in chiunque si incontri con lui.
VERSO LA FINE
Dopo l’incontro con Anderssen, Morphy mieté altri successi: batté Mongredien (sette vittore, una patta), Worall, creatore di una interessante variante della Spagnola (sette vittorie, due sconfitte), Perrin (cinque vittorie, una patta), Thompson (cinque vittorie, una patta, tre sconfitte), ma ormai il “male oscuro” lo stava divorando: affetto da una gravissima forma ansiogena, trascorse malamente i suoi ultimi anni, perseguitato dall’idea di essere oggetto di una congiura che tendeva ad avvelenarlo: rifiutava il cibo, rifuggiva completamente dai rapporti umani e quando qualcuno gli proponeva di tornare a giocare rispondeva che gli scacchi per lui erano morti: il disamore che lo aveva circondato per tanti anni e l’odio dei mediocri verso il suo genio alla fine avevano avuto la meglio.
Il 10 luglio 1884 il campione ammirato, ma non amato, fu stroncato da sincope.