IL CAVALIERE DELLA ROSA – Richard Strauss

Ernst Edler von Schuch dirige il Cavaliere della Rosa di Richard Strauss, 1912
Roberto Sterli (1867-1932)
Olio su tela cm 51 x 37,5
Vecchia Galleria Nazionale, Berlino

IL CAVALIERE DELLA ROSA

Titolo originale – Der Rosenkavalier
Lingua originale – Tedesco
Genere – Opera comica
Musica – Richard Strauss
Libretto – Hugo von Hofmannsthal
Atti tre
Epoca di composizione 1909 – 1910
Prima rappresentazione – 26 gennaio 1911
Teatro – Königliches Opernhaus, Dresda
Prima rappresentazione italiana – 1º marzo 1911
Teatro Teatro alla Scala di Milano

Personaggi

La marescialla, principessa di Werdenberg (soprano)
Il barone Ochs di Lerchenau (basso profondo)
Ottavio, detto Quin-quin, giovane di nobile casato (mezzosoprano)
Il signore di Faninal, un ricco nuovo nobile (baritono)
Sophie, sua figlia (soprano leggero)
La signorina Marianne Leitmetzerin, la Duenna (soprano leggero)
Valzacchi, un intrigante (tenore)
Annina, sua compagna (contralto)
Un commissario di polizia (basso)
Un notaio (basso)
Un oste (tenore)
Un cantante (tenore)
Un erudito, un flautista, un parrucchiere, l’aiuto del parrucchiere, una nobile vedova (mimi)
Tre nobili orfane (soprano, mezzosoprano, contralto)
Una modista (soprano)
Un venditore d’animali (tenore)
4 lacchè (2 tenori e 2 bassi)
4 camerieri (1 tenore, 3 bassi)
Un negretto, lacchè, corrieri, aiduchi, personale di cucina, avventori, musici, due guardie, quattro bambini, diversi tipi sospetti (coro e comparse)

Sembra che dopo la prima rappresentazione di Elektra a Dresda il 25 gennaio 1909, Strauss (Monaco 1864 Garmisch 1949) si sia lasciato andare a questa considerazione: “La prossima volta scriverò un’opera di carattere mozartiano”. Neanche due settimane dopo, Hofmannsthal, che dal 1906 aveva avviato con il musicista stretti rapporti di collaborazione, iniziata con Elektra appunto, fece presente a Strauss di aver abbozzato lo scenario di un’opera comica. Il progetto di Hofmannsthal entusiasmò Strauss sin da quando poté rendersi conto della raffinata qualità del testo poetico, che Romain Rolland qualificò in questo modo: “Anche senza la musica è una preziosità da assaporare. Che finezza di tocco, che grazia, che malizia!”.
La composizione fu veloce: così nel dicembre del 1909 era già ultimato il primo atto, il secondo atto il 3 aprile 1910 e tutta l’opera il 26 settembre dello stesso anno, dopo neanche diciassette mesi di lavoro. Il 26 gennaio 1911, con la direzione di Ernst von Schuch, con la regia di Max Reinhardt ed un’eletta schiera di cantanti, la prima assoluta del Cavaliere della rosa a Dresda fu salutata da un trionfale successo, cui seguirono cinquanta repliche nello stesso teatro con riprese immediate in tutto il mondo, diventando uno dei tre o quattro lavori di maggior nome nel Novecento. Cosa intendeva Strauss per “mozartismo” del Cavaliere della rosa? Non certo il contenuto brillante della vicenda, perché anche al di fuori di Mozart si potevano trovare tanti altri esempi e modelli. Non certo il ritorno a una forma teatrale di stampo settecentesco, come forse Hofmannsthal aveva divisato in un primo momento, perché anche nel Cavaliere della rosa i rapporti tra la parola e la musica, il comportamento sinfonico dell’orchestra, l’impiego dei motivi conduttori rispecchiano pur sempre la concezione wagneriana della drammaturgia. Nella commedia delineata da Hofmannsthal, Strauss verosimilmente rinvenne l’occasione di una nuova esperienza tecnica e compositiva: non per nulla, assieme a Wagner, Mozart era sempre stato il grande amore di Strauss e, come direttore d’orchestra e responsabile di grandi teatri, egli aveva contribuito in misura assai forte alla ripresa del repertorio e al raffinamento delle esecuzioni mozartiane sin dall’inizio del Novecento. Né è da dirsi che sia bastato a Strauss il mito del Settecento, la mondanità dell’ambiente entro cui si muovevano la Marescialla, il barone di Lerchenau, il conte Ottavio detto Quin-quin, il nuovo ricco Faninal, la piccola Sofia ecc., per ritenersi esorcizzato e redento dalla sua predilezione all’ipertrofia polifonica tardo-romantica. In realtà il ritorno a Mozart è sostanzialmente nel libretto, un mozartismo di situazioni psicologiche e specialmente di caratteri dei personaggi, un mozartismo che risente di una consapevole lettura psicoanalitica. La figura della Marescialla – bella donna matura sulla soglia del tramonto – si riallaccia alla Contessa de Le nozze di Figaro, caricata però di una licenziosa libertà di costumi che l’ingenuo cuore di Mozart difficilmente poteva attribuire a una donna. C’è poi un’aria de Le nozze di Figaro (“Dove sono i bei momenti…”) che è la diretta ascendenza del dramma della Marescialla per l’incombente vecchiaia (“Il tempo ha strane virtù…”), mentre il diciassettenne Ottavio è un personaggio che deriva in linea retta dal mozartiano Cherubino. Infine in una figura come il barone Ochs sembra atteggiarsi una versione riveduta e corretta del protagonista del verdiano Falstaff, nella prevalente tinta comica che esso riveste secondo la concezione teatrale germanica. Tutto quanto in realtà nel teatro mozartiano è intessuto di trasparenza, assume nella partitura del Cavaliere della rosa la consistenza di un grandioso alternarsi di addensamenti di tensione e di serenità, di oscurità e di illuminazioni. Ma l’efficacia spettacolare del Cavaliere della rosa sta proprio nella scaltrezza con cui è dosato il ritmo alterno di situazioni e che si risolve soltanto nel finale dell’opera quando è il canto a prendere il sopravvento sulla fitta tessitura orchestrale e viene esaltata tutta la malinconia sensuale del mondo indulgente alla graziosa debolezza della carne e prigioniero di questo limite.

Vedi Fonte video: YouTube – Samuele D

LA VICENDA

Atto primo

(Preludio). La principessa Werdenberg, consorte, del gran maresciallo di corte, ha dato convegno al suo ultimo spasimante, Ottavio, rampollo di un’aristocratica famiglia di Vienna. La sua maturità di donna, ormai prossima all’inarrestabile tramonto, la induce a comportarsi con lui con una tenerezza quasi materna; lo fa prudenzialmente allontanare allorché, preceduto da un crescente vocio e dopo aver superato lo sbarramento dei lacchè, penetra nella stanza suo cugino, il barone Ochs di Lerchenau (“Wie du warst! Wie du bist!…” … “Oh, qual’eri!… Oh, qual sei!… “).
Egli si è fidanzato con Sofia, una ricca borghese figlia del signore di Faninal, ed è venuto a chiedere alla parente il nome del cavaliere che, secondo l’uso delle famiglie nobili, dovrà consegnare alla fanciulla la simbolica rosa d’argento; la Marescialla gli mostra allora un medaglione su cui è effigiato il giovane Ottavio, del quale Ochs nota la strana rassomiglianza con una graziosa fantesca, da lui corteggiata goffamente, che si affaccenda nella stanza. Fanno intanto il loro ingresso i consueti postulanti di ogni mattina, un tenore che canta una romanza nello stile italiano (“Di rigori armato il seno…”), sinché il barone, prima di allontanarsi, porge alla cugina la rosa d’argento. La Marescialla è ora rimasta sola: inavvertitamente posa lo sguardo sulla specchiera e il riflesso della propria immagine suscita in lei ricordi amari ed il rimpianto per gli anni trascorsi, né vale a rasserenarla il ritorno di Ottavio in abiti virili. Anzi i suoi giovanili trasporti e le sue manifestazioni d’affetto la rendono ancor più malinconica: sente che l’illusione dell’amore dovrà presto dileguarsi per l’inesorabile legge del tempo. Ottavio cerca di rassicurarla, ma ella lo congeda affettuosamente. Rimarrà accanto al suo tavolo, in un atteggiamento di sognante e trepida rassegnazione.

Atto secondo

l cavaliere che consegnerà la tradizionale rosa d’argento sta per giungere al palazzo di Faninal, dove tutti si trovano in uno stato di grande eccitazione; Sofia, la promessa sposa, appare commossa e trepidante. Ad un tratto, preceduto dai lacchè e dagli arciduchi ungarici, ecco apparire dalla gran porta centrale Ottavio, che si avvicina a Sofia porgendole trasognato la rosa che tiene nella destra. Fra i due giovani si stabilisce immediatamente una corrente di irresistibile simpatia ed il colloquio assume ben presto un tono confidenziale: Sofia rivela di non essere affatto entusiasta di unirsi in matrimonio con il barone, ma di doversi arrendere alla volontà paterna. Ochs frattanto fa il suo ingresso, con un atteggiamento così rozzo e brutale da suscitare, soprattutto in Ottavio, sdegno e irritazione. Sicché, quando egli si allontana con Faninal per stendere dinanzi al notaio il contratto nuziale, Ottavio e Sofia, quasi inconsapevolmente, si ritrovano teneramente abbracciati. Ochs li sorprende, ma Ottavio lo provoca coprendolo di insulti e sfidandolo a duello: snudata la spada, si scaglia su di lui e lo ferisce lievemente al braccio. Ochs, adagiato su un divano, reclama a gran voce l’intervento di un medico ed i suoi seguaci si azzuffano con la servitù di Faninal, che a sua volta ha cacciato Ottavio.
Tornata la calma, Annina, un’intrigante levantina che con il suo compagno Valzacchi aveva inutilmente offerto i propri servizi al barone, porge a quest’ultimo, con fare misterioso e ammiccante, un messaggio: è della giovane cameriera della Marescialla che asserisce di non averlo dimenticato e gli fissa un appuntamento per la sera successiva. Ochs non crede alla fortuna che, malgrado tutto, continua a sorridergli; finge di non vedere Annina che insiste per ottenere la dovuta ricompensa, poi si allontana felice verso la stanza che gli è stata riservata.

Atto terzo

(Pantomima). Ad organizzare la trappola in cui far cadere l’arrogante barone è stato Ottavio che ora, travestito da giovane donna, completa il piano insieme ai due levantini. Il convegno è stato fissato in una saletta riservata di una locanda di periferia: la tranquillità dell’ambiente, la penombra dei pochi candelabri accesi, l’amabile compagnia, tutto contribuirà a conferire all’incontro la necessaria e desiderata intimità. Sono queste le riflessioni di Ochs quando entra nella stanza insieme ad Ottavio, che si appresta a recitare la parte di ragazza ritrosa; subito dopo cerca di avviare grossolani tentativi di seduzione verso la supposta fanciulla. Lo turba la rassomiglianza con quell’insolente giovanotto incontrato nel palazzo di Faninal, ma è un attimo. ché rimane subito conquistato dalla grazia della sua interlocutrice; talvolta gli sembra di scorgere strane apparizioni e fa di tutto per scacciare la sgradevole sensazione di essere spiato da occhi indiscreti (“Haben Eucr Gnaden noch wditre Befehle?…”… “E Vostra Grazia vuol altro?…Comanda?…Una stanza più grande?…”).
Ad un tratto però la porta si spalanca ed entra Annina, vestita in abiti neri; la donna, fingendo di aver riconosciuto nell‘uomo suo marito scomparso, reclama giustizia. La seguono di corsa quattro bambini che si slanciano verso Ochs, gridando come ossessi; la confusione è al colmo e solo il deciso intervento di un commissario di polizia riesce a ristabilire la calma.
Il barone non capisce più nulla, soprattutto non sa giustificare la sua presenza in quella locanda e in compagnia di una giovane donna all’esterrefatto Faninal e a Sofia, richiamati anch’essi dal gran baccano; sarà Ottavio, prima di indossare i suoi abiti, a rivelare al commissario la verità.
Improvvisamente, seguita da alcuni lacche, appare la Marescialla; anche lei conferma che si è trattato di una beffa, poi ingiunge ad Ochs di fare buon viso a cattivo gioco e di abbandonare per sempre la partita. Al barone non par vero di svignarsela in tutta fretta; prima però è obbligato a sentirsi reclamare il pagamento del salatissimo conto dall’oste, dai cocchieri, dai musicanti e, in ultimo. dai due intriganti levantini. Sono rimasti nella stanza Ottavio e Sofia e, poco distante, la Marescialla; la matura dama ha avvertito quale tenero legame unisca i due giovani e decide quindi di rassegnarsi al proprio destino e di piegarsi all’inev0eabile legge della vita. Si allontana in silenzio, mentre un sorriso dolente sfiora appena il suo volto, lasciando soli i due innamorati che, fissandosi intensamente, si ripetono il loro amore (“Marie Theres’!… Hab mir’s gelobt…”… “Maria Teresa!… Ben io giurai…”).

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