RICHARD WAGNER – Vita e opere

Ritratto di Richard Wagner (1882) – Pierre-Auguste Renoir
Olio su tela – Musée d’Orsay a Parigi

 

Richard Wagner tra socialismo e nazionalismo

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Wilhelm Richard Wagner (Lipsia, 22 maggio 1813 – Venezia, 13 febbraio 1883) è stato un compositore, poeta, librettista, regista teatrale, direttore d’orchestra e saggista tedesco.

Il 22 settembre 1869, nel Teatro Reale di Monaco, “L’Oro del Reno” di Richard Wagner aveva la sua prima rappresentazione. Il successo fu pieno anche se la novità della concezione musicale, la mancanza di ‘arie’ e l’ininterrotto fluire del recitativo, lasciarono perplessi gli spettatori. Il Re di Baviera – il mezzo pazzo Luigi II protettore di Wagner – gli scrisse una delle sue lettere deliranti, umili e passionali, da suddito a sovrano…

” I vostri ideali sono i miei; servirvi è la missione della mia vita”.

L’entusiasmo di questo infelice monarca, destinato alla follia e al suicidio, per i sovrumani ideali dell’opera wagneriana è più che simbolico. Come accadrà poi a molti tedeschi egli vedeva sé stesso nei panni di Sigfrido e, disprezzando l’uomo, tendeva alla realizzazione del superuomo. La nazione tedesca e il mondo pagheranno molto cari questi miti in cui s’incarnerà la brama megalomane del kaiser Guglielmo II e dell’imbianchino Hitler.

Ma questa è storia di poi.

Per il momento, nel 1869, il ciclo de “L’Anello dei Nibelunghi” non è ancora compiuto e Wagner comincia appena la Quarta Giornata: il “Crepuscolo degli Dei” che terminerà nel 1874. L’Anello viene così ad occupare un’intera epoca nella vita del musicista. La prima idea risale addirittura al 1845. Mentre lavora al “Lohengrin” Wagner ha la prima intuizione del personaggio di Sigfrido.

Tre anni dopo l’idea si sviluppa, e comincia a prendere forma il mito dei Nibelunghi: nel fondo del Reno giace l’oro sacro che dà il dominio del mondo. Alberico, il nibelungo, lo ruba seminando nell’universo la tragica avidità. Gli Dei ne sono contagiati. Wotan strappa a sua volta l’oro ad Alberico e se ne serve per pagare i giganti che gli hanno costruito la reggia, il Walhalla. Ma il mondo non avrà pace sino a quando l’oro non torni al Reno. Perciò Wotan crea una razza di eroi capaci di sottrarre l’oro ai giganti: i gemelli Sigmund e Sieglind generano Sigfrido, il semidio senza paura. Ma anche Sigfrido è travolto dalle passioni e, dopo aver ucciso il gigante-drago, viene spento a tradimento dal figlio di Alberico. L’oro, tuttavia, torna al fiume: Brunilde, la donna di Sigfrido, lo restituisce prima di immolarsi sul rogo dell’eroe morto. Le fiamme invadono il Walhalla. Il regno degli Dei s’inabissa. Comincia l’era dell’uomo redento dall’amore.

La costruzione letteraria di questa vera e propria cosmogonia occupa Richard Wagner dal 1848 al ’52. La data è significativa. Essa contiene la rivoluzione di Dresda cui Wagner partecipa esponendosi a fianco degli anarchici Roeckel e Bakunin che finiranno in carcere, mentre egli si salverà fortunosamente in Svizzera dove rimarrà esule per una dozzina d’anni. La concezione del ciclo nibelungico coincide perfettamente col periodo rivoluzionario e socialista di Wagner. I simboli sono trasparenti. L’oro è la fonte di ogni disastro, è la maledizione del mondo, la lebbra che lo corrompe. Chi possiede l’oro, per effetto di un furto, diventa oppressore e assassino. I nibelunghi, i giganti, gli dei e gli eroi, tutti sono corrotti dal suo mostruoso potere e l’umanità ritrova la pace solo quando l’oro torna nel fondo del fiume e gli dei vengono annientati.

L’oro, insomma, è la proprietà privata. E la proprietà è un furto, come insegna, prima ancora di Marx, Proudhon. La distruzione della proprietà è il primo passo per la liberazione dell’uomo. Il passo finale è la distruzione dello Stato (il Walhalla, il potere degli Dei).

La cosmogonia wagneriana è quindi un vero e proprio trattato politico di ispirazione socialista e bakuniniana. Il socialismo di Wagner è e resterà sempre anarchico con interpolazioni mistiche e autoritarie. La sua interpretazione autentica si trova in “Arte e Rivoluzione”, l’opuscolo redatto nel ’49, subito dopo il fallimento dei moti di Dresda.

In questo scritto breve e appassionato l’anarchico Wagner si confessa: il mondo, egli dice, è dominato dai furfanti e dagli imbroglioni devoti all’ideale del “cinque per cento”. Questa divinità ci rende schiavi cosicché la nostra liberazione deve essere in primo luogo una liberazione dalla proprietà privata grazie a un movimento operaio e rivoluzionario che vi sostituirà “il raziocinio sociale dell’umanità che si impadronisce della natura e delle sue ricchezze per il bene di tutti”. L’uomo non sarà più lo schiavo della macchina, ma al contrario la macchina servirà l’uomo che, finalmente libero, approderà alla superiore conoscenza dell’Arte. Apollo, il dio greco della bellezza, si unirà con Cristo in una universale armonia.

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Come diceva Marx, il socialismo germanico si distingue “più per la confusione che per la novità delle idee”. Wagner è lo specchio di questa confusione. Parte dalla maledizione della proprietà e approda a una concezione mistica in cui uomini e dei si uniscono nella liberazione e sono del pari liberati. Questa confusione che andrà accentuandosi con gli anni, col prevalere dell’elemento mistico culminante nel “Parsifal”, è già presente nel “Anello del Nibelungo”, rivoluzione senza rivoluzionari: Brunilde, Sigfrido, Wotan risolvono i problemi del mondo, aboliscono la proprietà, distruggono lo Stato mossi da un’intima necessità che, in effetti” non ha alcuna ragione esteriore. È una specie di atto di fede nel futuro del mondo. Ma è anche una soluzione autoritaria che permette all’autore di appendere la sua teoria sociale ai più disparati sostegni, sposando il socialismo all’antisemistismo prima e al nazionalismo poi.

La componente antisemita nel pensiero wagneriano è molto importante poiché rivela la deformazione del suo pensiero sociale. Wagner che, poco dopo “Arte e Rivoluzione”, scrive un opuscolo virulento per denunciare il “Giudaismo in Musica”, trasforma la lotta di classe in lotta di razza. L’ebreo, secondo la teoria wagneriana, è impotente a creare; perciò ruba il frutto del lavoro altrui; per combattere lo sfruttamento, bisogna perciò combattere la dominazione degli ebrei. Partendo da un postulato falso e indimostrabile (l’impotenza ebraica), il ragionamento di Wagner distorce il socialismo indirizzandolo ad un falso obiettivo: il nemico non è più il padrone, ma l’ebreo o il padrone in quanto ebreo.

Da qui basta allargare il ragionamento per arrivare alle forme più esasperate di nazionalismo. All’ebreo impuro si contrappone la razza pura. Quale? Quella tedesca, s’intende. Quindi le altre razze non sono pure: non gli italiani nella loro frivolezza rossiniana, non í francesi corrotti e decadenti, e così via.

“La teoria wagneriana – come nota Stravinsky – sembra costruita apposta per i bisogni del Terzo Reich”.

E, infatti, vi arriva per gradi.

Prima si fa nazionalista. Sigfrido il superuomo e Wotan il saggio reggitore sono destinati a spezzare le catene del mondo. Quando, con un passaggio razzistico, si elevano a simbolo del Popolo Tedesco (il mitico “Volk”), le guerre tedesche diventano guerre di liberazione. L’impero bismarkiano schiaccia i francesi decadenti e ristabilisce la giustizia in Europa.

Il filosofo Nietzsche, che pure ha la sua parte di responsabilità in questa costruzione come inventore del superuomo, si ritrae disgustato quando si avvede delle conseguenze e, dopo aver notato che Wagner “accetta tutto ciò che è disprezzabile, perfino l’antisemitismo”, conclude con estrema durezza…

“Che cosa non ho mai per donato a Wagner? Che egli sia venuto a compromesso con i tedeschi, che sia diventato un tedesco imperiale. Dove la Germania arriva, essa corrompe la cultura”.

Nietzsche non si avvede che la radice degli errori è molto più profonda di quanto non creda e che il ‘tedesco’ è già nel ‘socialista’, così come il ‘socialista’ sopravvive nel ‘tedesco’. La contraddizione di Wagner è qui e bisogna tenerla presente altrimenti non si capisce proprio il lato più importante di Wagner, quello musicale.

In arte, non vi è dubbio, Wagner è un ‘rivoluzionario’. Il ciclo nibelungico spezza definitivamente la forma del melodramma ottocentesco per sostituirvi qualcosa di interamente nuovo: un dramma di pensiero, imbevuto di ideologia, di politica, di mistica. E, a questo dramma, si accompagna una struttura musicale completamente diversa: rotte le forme chiuse dell’aria (come scoprirono non senza angoscia i primi ascoltatori de “L’Oro del Reno”), trasformata l’armonia, dissolti i rapporti tradizionali della costruzione musicale in un tessuto di sorprendente novità.

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Si realizza, in Wagner, quella evoluzione delle arti che porta alla pittura impressionistica e alla poesia di Baudelaire e di Mallarmé. Il disegno si perde nel colore e questo si arricchisce di luci inattese, di sorprendenti contrasti; la parola si carica di significati inediti e si muove liberamente in una libera e ardita sintassi.

Tutto ciò che oggi va sotto il nome generico di ‘avanguardia’ nasce da questo fenomeno generale di rottura delle convenzioni su cui l’arte si reggeva da secoli. Un fenomeno evidentemente legato alla contemporanea trasformazione della società, alla contemporanea rottura di tutti quei rapporti tra gli uomini e tra le classi che la rivoluzione francese aveva cominciato a sconvolgere.

Il legame tra arte e società non è mai automatico, lo sappiamo. L’arte riflette con un linguaggio proprio la natura del mondo in cui si sviluppa. Al sovvertimento dei valori e degli antichi equilibri in Europa corrisponde, con violenza anche più radicale, il rinnovamento del linguaggio artistico. In questo campo Wagner marcia all’avanguardia. E continua a marciare all’avanguardia, anche quando la confusione delle teoriche nel suo spirito si fa totale e il pessimismo schopenhaueriano, il misticismo cristiano e buddista, si mescolano nella redenzione del “Parsifal” così come nel suo pensiero politico il nazionalismo prende il sopravvento sul socialismo.

Da un lato, cioè, vi è il Wagner descritto da Nietzsche…

“Wagner, apparentemente il vittorioso, in realtà un disperato “décadent” putrefatto, piomba improvvisamente, come un derelitto e affranto, ai piedi della croce”.

Dall’altro lato vi è la musica del Parsifal che non è meno audace, meno rivoluzionaria di quella del “Tristano” o del “Crepuscolo” come riconosce lo stesso Nietzsche chiedendosi se “da un punto di vista meramente estetico, Wagner abbia mai fatto qualcosa di meglio”.

Da un punto di vista estetico – per dirla con Nietzsche – Wagner è l’uomo del suo tempo, aperto al rinnovamento: uno specchio fedele dell’Europa risorgimentale. E, poiché il punto di vista estetico è l’unico valido per un artista, Si potrebbero benissimo mettere nel dimenticatoio le elucubrazioni razzistiche o mistiche che accompagnano l’opera d’arte. Ma, in effetti, la separazione non è così netta e nel dramma, accanto alla spinta rivoluzionaria, si avverte il peso di certe angustie mentali. Tipico il personaggio di Sigfrido che non riesce mai a diventare – se non nel momento della morte – quel che l’autore vorrebbe: un personaggio simpatico oltre che eroico. E non è simpatico perché l’incarnazione del superuomo, la sua istintiva crudeltà ci impediscono di sentirlo umano. Salvo, appunto, quando muore e diventa anch’egli vittima dell’ingiustizia. Il suo saluto alla vita è tra le cose più toccanti che Wagner abbia scritto.

Ove si tengano presenti questi fatti, appare chiaro come Wagner sia un autore che si può leggere da opposti punti di vista.

George Bernard Shaw, laburista, vide in lui il rivoluzionario. Hitler lo considerò un precursore. Il veleno diffuso da Wagner nelle pagine del “Giudaismo” era destinato, come rileva Stravinski, a fruttificare largamente nella Germania nazista all’insegna equivoca (wagneriana si direbbe) del nazional-socialismo. Da qui una innumerevole fonte di equivoci. Ancora una volta bisogna fare attenzione: se Hitler si è riconosciuto in Wagner non è detto che Wagner si sarebbe riconosciuto in Hitler. O, più generalmente, non è detto che si sarebbe riconosciuto nei wagneriani tedeschi che, accentuando i caratteri dell’uomo d’ordine, falsano completamente il ritratto.

Per capire Wagner bisogna accettare il paradosso della sua bifronte personalità, la convivenza di due individui opposti: il rivoluzionario trionfante nell’artista, e il rivoluzionario fallito nell’ideologo e nel politico. Per quanto la radice sia la medesima, i risultati sono ben diversi. Al primo appartiene la Marcia Funebre di Sigfrido in cui Thomas Mann ritrova gli accenti tra i più alti della musica di tutti i tempi… “la visione mitica che abbraccia ciò che fu e sempre è, l’intero mondo della bellezza sacrificata dal rigore invernale”. Al secondo posso assegnare questa stupefacente massima annotata, con la massima serietà, nel tardo scritto “Arte e Rivoluzione”…

“Possiamo ritenere per forti motivi interiori che persino il socialismo odierno sarebbe degno di grande attenzione da parte della nostra società statale, se soltanto entrasse in una sincera e intima unione con le altre tre associazioni umanitarie: i vegetariani, gli zoofili e il movimento di temperanza”.

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Nella Marcia Funebre riconosciamo l’allievo di Bakunin, l’uomo che ha sconvolto il volto della musica e ha aperto nuove strade all’arte con una autentica potenza rivoluzionaria. Nell’appello ai vegetariani e agli astemi troviamo il melanconico tentativo di tenersi addosso l’ultimo frammento di un abito socialista ormai smesso da tempo. Tuttavia questa incapacità del Wagner bismarkiano a spogliarsi completamente dei vecchi abiti, non è priva di significato.

L’uomo della rivoluzione di Dresda (fallita, del resto) si sente a disagio nel nuovo impero e cerca di strizzare l’occhio al passato, rinnegato ma rimpianto. In fondo, non è proprio questo il segno di un’epoca?

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