CANTO D’AMORE

Squisite variazioni sul tema dell’amore nel canto umanissimo dei lirici greci

Di Manara Valgimigli (San Piero in Bagno, 9 luglio 1876 – Vilminore di Scalve, 28 agosto 1965,  filologo, grecista, poeta e scrittore italiano.), è uscita la ristampa di una famosa versione, Saffo e altri lirici greci.

I lirici greci qui presenti sono Saffo, Anacreonte, Archiloco, Ipponatte, Alcmane e Alceo, vissuti tra l’VIII e il VI secolo a.C.: poesia antichissima dunque, che testimonia di una civiltà, di una sensibilità e di un gusto raffinati e che succede alla grande poesia epica.
La poesia epica, l’epopea eroica era fiorita sul rigoglio di alcune forti e prosperose monarchie greche; tra cui quelle della Tessaglia, della Beozia, del Peloponneso (Argo e Micene), fino al 1000 a.C. e cioè fino alla discesa dei Dori.
Massimo poeta epico fu Omero, nei cui poemi Iliade e Odissea agiscono dei re ed eroi nazionali.
Due secoli dopo le condizioni politiche ed economiche della Grecia erano profondamente mutate: decadute le dinastie, sviluppate le industrie e i commerci, attiva la colonizzazione. Sul terreno sociale infuriano le lotte fra democrazia e aristocrazia, e appaiono le figure dei tiranni, governanti dispotici che peraltro incoraggiano l’arte e la cultura contro i quali ci restano testimonianze anche poetiche di odi violenti (tutta la vita di Alceo è una lotta politica contro i tiranni di Lesbo).
L’apparizione della poesia lirica in questo periodo della storia greca riflette appunto il decadere dei grandi miti eroici e solenni della poesia epica, e il sostituirsi di suggestioni individuali e interiori.  Particolare interessante è che la lirica greca non andava letta, ma cantata e accompagnata da strumenti musicali.
La tematica della poesia lirica è soprattutto quella amorosa, ora passionale e squisita come in Saffo, ora giocosa come in Anacreonte: le variazioni sul tema dell’amore vanno dalla preghiera a Venere, al festoso imeneo, al pulsare tormentoso del sangue; dal dolore per un distacco alle immagini malinconiche e composte della solitudine notturna o della riviera d’Acheronte.
Saffo ha il dono particolare di intuire pudori e abbandoni, di notare teneri paesaggi, oggetti raffinati.
“Portava nel cielo della poesia – osserva Valgimigli – illuminate e trasfigurate, anche queste minute cose di eleganza, di mollezza e di lusso del suo vivere quotidiano. E qui è, in questa effusione affettiva, in questa sottile e celere sensibilità, in questo abbandono gioioso alle cose belle, l’accento fondamentale e costante e coerente del suo poetare”.
Voglio ricordare una delle più celebri saffiche, che riecheggerà, molti secoli più tardi, in un’altra celebre lirica del poeta latino Catullo, e che è una stupefacente, aperta confessione e analisi d’amore:
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“Subito mi sobbalza, appena 
ti guardo, dentro nel petto il cuore  
e voce più non mi viene, 
e mi si spezza la lingua, e una fiamma sottile
mi corre sotto la pelle, 
con gli occhi più niente vedo,
rombo mi fanno gli orecchi, sudore mi bagna, 
e tremore tutta mi prende,
e più verde dell’erba divento, 
e quasi mi sento,
o Agàllide, vicina a morire”.
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Di Alcmane ritrovo. in questa bella traduzione italiana, la calda vena elegiaca; di Ipponatte il vigore popolaresco….
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Tenetemi il mantello: voglio dare 
un pugno a Bùpalo nell’occhio,  
Io sono bravo, i colpi non li sbaglio“… 
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Di Alceo la virile e incisiva poesia…
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Ora bisogna bere; 
ubriacarsi bisogna; 
ora che Mirsilo è morto“.
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Valgimigli ricorda che questi versi, ispirati alla morte di un tiranno, venivano ripetuti fra amici nel 1942, quando apparvero nella prima versione ed edizione, come un augurio.
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La traduzione di Manara Valgimigli, condotta sui testi filologicamente più attendibili, è essa stessa opera di poesia: basterebbe citare i versi bellissimi di “Cèrilo” (cèrilo è l’alcione vecchio):
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“…Oh, se cèrilo cèrilo fossi, 
che sopra il fiore dell’onda marina 
vola tra mezzo le alcioni,
cuore tranquillo, penne
cangianti al colore dell’acqua,
nunzio di primavera“.
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Dopo l’epopea omerica ed esiodea e prima dell’apparizione dei tragici, queste testimonianze poetiche, che derivano direttamente dalle canzoni popolari di antichissima tradizione, vanno considerate soprattutto come un discendere del canto nel cuore dell’uomo, per liberarne e rivelarne le vicende liete e tristi, pubbliche e private, i sentimenti, i voti: nuovo protagonista nella letteratura appare l’uomo, sullo sfondo ormai lontano di superuomini, dei, semidei, sovrani.
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