IL MONELLO (The kid) – Charlie Chaplin

IL MONELLO

Titolo originale – The Kid
Regia: Charlie Chaplin
Genere: commedia, drammatico
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Anno 1921
Durata 68 minuti
Dati tecnici: Bianco/nero

Interpreti e personaggi

Charlie Chaplin: Charlot, il vagabondo
Jackie Coogan: il monello
Edna Purviance: la ragazza madre
Henry Bergman: guardiano del dormitorio
Tom Wilson: il poliziotto
May Withe: moglie del poliziotto
Jack Coogan sr.: ladro al dormitorio / diavolo
Raymond Lee: il bambino del litigio
Charles Riesner: il bullo suo fratello
Lita Grey: l’angioletto tentatore
Edith Wilson: la donna con carrozzella
Jules Hanft: il medico condotto
Frank Campeau: funzionario dell’orfanotrofio
F. Blinn: l’assistente
John McKinnon: il comandante della polizia
Albert Austin: cliente del dormitorio

The Kid (Il monello) finisce per essere un’opera esemplare nella filmografia chapliniana, proprio perché gli elementi della ricerca sono ancora allo stato grezzo, contrapposti e facilmente individuabili; ma anche perché da essi traspare, anche se incompiuta, la vera intenzione di Chaplin. Egli non usa il “genere” per un discorso metalinguistico, bensì per attaccare quei valori sociali di cui esso è solitamente portatore: la carità, le istituzioni sociali, l’interclassismo falso del paternalismo borghese, la radicalizzazione dei privilegi, il cinismo, e via dicendo. Senza la mediazione dell’ironia, la polemica sfocia nel manicheismo astratto del sogno, con i suoi “angeli” e i suoi “diavoli”. Tutto viene ricondotto a scontro fra innocenza e corruzione, che sono poi, ancora una volta, parafrasi dell’individuo e della società.
In effetti il bambino non è un personaggio nel vero senso della parola, si limita ad essere un doppio di Charlot. Si pensi al loro primo incontro:

l. Il bambino è abbandonato per terra, vicino a un mucchio di rifiuti, in una strada di periferia.

2. Charlot lo vede, ma vede anche una donna che getta della spazzatura dalla finestra. Istintivamente alza gli occhi, per capire da dove può essere stato gettato il bambino.

3. Segue una lunga sequenza durante la quale Charlot cerca inutilmente di disfarsi del bambino.

È un incontro tra diseredati, basato sulla figura dell’accostamento: Charlot nel mondo della spazzatura – il bambino nella spazzatura – Charlot e il bambino come figure equivalenti. Saranno poi gli stessi meccanismi dell’espulsione che li hanno avvicinati a tentare la loro separazione: legge e ordine appaiono capricci di fronte alla logica dei sentimenti, il mondo del sociale non è a misura d’uomo. Il film si chiude con un improbabile lieto fine, cioè con un totale reinserimento nell’ambito del melodramma e del feuilleton. Tutto si ricompone, c’è sempre una speranza. Forse nessun film di Chaplin sembra tendere a un finale tragico come Il monello e forse per questo il finale appare tanto più bruscamente contraddittorio e stridente.
I momenti migliori, che lasciano intravedere la compiutezza d’una misura narrativa raggiunta, sono quelli basati su piccoli e quasi sommessi gag, sui rapporti tra i due protagonisti, tra i quali “non c’è traccia di sentimentalismo”. Ricordiamo una sequenza che è, insieme a quella del trucco per trovare vetri da riparare, una tra le più riuscite e significative:

1. Charlot seduto sul letto legge e fuma. Il monello sta preparando da mangiare.

2. Il monello continua a lavorare, poi assaggia una delle frittelle già pronte.

3. Charlot continua a leggere con aria di grande dignità.

4. Il monello prende il piatto delle frittelle e lo porta in tavola.
5. Chiama Charlot con aria spazientita, poi si muove verso di lui per tirarlo giù dal letto.

6. Salta sul letto e gli strappa il giornale di mano. Charlot si stropiccia le mani, sbadiglia, si stira, stende le gambe; un piede gli esce da un buco nella coperta.

7. Charlot si infila sotto la coperta, per uscirne dopo aver infilato la testa nel buco e con questa improvvisata vestaglia si alza.

8. I piedi di Charlot entrano nelle grandi scarpe slacciate.

9. Charlot dispone la propria sedia vicino alla stufa.

10. Si siede a tavola. Il monello gli dà uno scherzoso pizzicotto su una guancia e Charlot finge di rimproverarlo. Poi Charlot divide le frittelle, contandole come se fossero un mazzo di carte. Il monello è impaziente di cominciare, ma Charlot lo ferma ricordandogli che prima devono dire le preghiere. Poi gli spiega come si usano forchetta e coltello.
Dissolvenza in chiusura e dissolvenza in apertura.

11. I piatti sono vuoti. Il monello gioca con forchetta e coltello nel proprio piatto.

12. Charlot rutta e si batte il petto con un pugno. Il monello corre a prendere un cagnolino e lo alza verso il viso di Charlot, per poi riportarlo via. Charlot si gratta e rutta nuovamente.
Dissolvenza in chiusura.

Domina in questa sequenza la delicatezza dei toni, la leggerezza dei gag che si susseguono con un ritmo piano che sembra appiattirli in un tutto unico. La soffusa ironia sta anzitutto nel rovesciamento dei ruoli che la caratterizza: non è Charlot ad accudire al bambino, ma il contrario. Charlot recupera il proprio ruolo “paterno” solo quando gli insegna a mangiare e a pregare (il riemergere di tutti i caratteri di un’ideologia piccolo-borghese). Ma sono questi i pochi momenti in cui Chaplin prende le distanze dal personaggio, la cui connotazione predominante è quella del patetico.

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