ELEONORA DUSE – La grande tragica

ELEONORA DUSE

La grande tragica

Una frase di Eleonora Duse suscitò una volta un vespaio di polemiche. “Per salvare il teatro, essa aveva detto, bisogna distruggerlo; e gli attori e le attrici debbono essere sterminati. Sono essi che rendono impossibile l’arte”.
Essa, “figlia d’arte” (nata, cioè, da una famiglia di attori: e la leggenda, anzi, vuole che la mamma l’abbia partorita in una terza classe, durante un viaggio della povera compagnia paterna) voleva distruggere tutto ciò che, da secoli, il teatro aveva di artificioso, di convenzionale, di schematico; e ciò rese grande Eleonora Duse: la sua ribellione al modo di recitare, di gestire, di truccarsi tradizionali (disse una volta che essa si truccava l’anima non il volto): 1’aver rivoluzionato il mondo dell’attore. Essa non riconosceva altra legge che quella della verità; e perciò sovrappose a tutte le norme insegnate dai maestri di recitazione e tramandate di padre in figlio la sua personalità potente, la sua sensibilità vivissima, il suo modo di intendere la vera passione, la vera sofferenza del personaggio che incarnava.
Fra le dolorose vite di personaggi che questa grande tragica (la più grande, sostengono molti, di quante mai ve ne siano state) portò sulla scena la più dolorosa e la più sfortunata fu, forse la sua: e sfortuna sua massima fu quella di essere stata follemente innamorata di Gabriele D’Annunzio, che turpemente la sfruttò e l’offese.

La gloriosa e dolorosa vita

Nacque a Vigevano il 3 ottobre 1858. Il nonno, Luigi, era stato un grande attore: il padre Alessandro Vincenzo fu, invece, un attore molto mediocre. Cominciò a recitare all’età di quattro anni, a Zara, in una riduzione dei Miserabili, nella parte di Cosetta. Infanzia e adolescenza di nera miseria. Aveva quattordici anni quando, recitando una sera come protagonista della Trovatella di Santa Maria del Giacometti, le giunse la notizia che la mamma era morta nello squallido letto di un lontano ospedale.
A quindici anni ha un grande successo all’Arena di Verona, come Giulietta. Ma la barca della compagnia paterna fa acqua. Padre e figlia restano a spasso. Seguono anni di vagabondaggio, come scritturati passando da una ad altra compagnia, talvolta guitte e scalcinate come era stata la loro vecchia compagnia. Eleonora, per giunta non ha fortuna: il pubblico non intende quel modo di recitare contro tutte le regole. Ma la nota, e ne resta colpito, il celebre attore Giovanni Emmanuel. Nel 1879, a 21 anni, entra nella sua compagnia. dove era prima attrice la grandissima Giacinta Pezzana. La conquista del pubblico è lenta: ma, infine, Eleonora vince strapotentemente in Teresa Raquin; Da allora comincia la favolosa carriera dei successi che diventano presto clamorosi trionfi. Quelli che erano stati i vagabondaggi di un tempo fra città e paesetti di provincia saranno, ora, le grandi tournées condotte da grandi impresari, attraverso i maggiori teatri del mondo; a trent’anni è celebre in Russia, ha conquistato le platee di Berlino, Vienna, Londra. Madrid, dell’America del Sud: ha ricevuto l’omaggio di sovrani e di uomini di governo, ha stretto rapporti di simpatia e di amicizia con ì massimi esponenti della cultura del tempo.
A trentacinque anni, ricchissima, ritorna per la seconda volta nell’America del Nord e, dopo un anno di nuovi successi, torna in Italia a riposarsi a Venezia. Qui incontra la sua sfortuna – sfortuna duplice, della donna e dell’artista – Gabriele D’Annunzio.

Sfortuna della donna, che si rovinò moralmente ed economicamente per lui; sfortuna dell’artista che subì l’influsso del dannunzianesimo, allontanandosi dall’indirizzo e dal repertorio che l’avevano resa grande.

“Ho quarant’anni, ed amo”

Prossima ai quarant`anni, essa amò D’Annunzio, che ne aveva cinque meno di lei, donnaiolo e cinico, con tutto l’ardore disperato della donna che si accosta ai tramonto. Lo creò, lo impose, come autore drammatico; formò, per rappresentare i suoi lavori un’apposita spettacolosa compagnia.

“Il progetto, scrive Nardo Leonelli (Attori tragici e attori comici), di un teatro proprio, tutto di marmo, ove poter rappresentare unicamente i lavori dell’Unico poeta, la possiede, la ossessiona. Ma non basta volere per potere, giacché ogni grande sogno si arresta dinnanzi alla cruda realtà della mancanza di mezzi. Perciò quando Schurmann le propone un altro vantaggioso giro in America, ella non esita: lascia la patria, lascia il suo Poeta e, nel 1895, sbarca a Nuova York proseguendo lo stesso giorno per Washington. Fin dalla prima sera il successo si delineò fantastico”.

La Duse scrittura perfino Ermete Zacconi e fa spese folli di messa in scena. Debutta a Parigi nel Teatro della Réjane con un incasso di 800 mila franchi e trionfa in tutto il repertorio, eccetto che nel Sogno di un mattino di primavera che D’Annunzio ha scritto per l’occasione in dieci giorni, Comincia l’infelice carriera drammatica di D’Annunzio con Città morta.., Gioconda.., Gloria, Francesca da Rimini; opere che il pubblico disapprova; e l’insuccesso della costosissima impresa riduce Eleonora Duse alla miseria.
Il Poeta la ricompensa non solo tradendola spudoratamente con altri amori ed amorazzi, ma scrivendo Il fuoco che è la narrazione dei suoi rapporti con la Duse. presentando se stesso nel personaggio di Stelio e lei in quello di Foscarina. In questo romanzo, narra un suo biografo, la Duse appariva come una donna vecchia e insaziata che cerca di allettare e attirare a sé il giovane amante; in esso il ridicolo spesso vela e offusca tutta la vita gloriosa della grande artista. Molte pagine di questo romanzo sono copia fedele di alcune lettere di lei all’amato.
Racconta lo stesso biografo:
“Ad Atene, dove si trovavano per un paio di recite, il poeta aveva dato a leggere lo stesso manoscritto a Schurmann, il fedele impresario della Duse e gli aveva chiesto il suo giudizio.
“Subito dopo la lettura, l’impresario si recò dall’artista e le disse:
“Signora, ho letto il Fuoco. Non è possibile che questo libro sia pubblicato. Se me lo consentite vado da D’Annunzio per dirglielo, risoluto a tutto pur di impedirgli di commettere un’azione poco bella.
“La Duse lo ringraziò dell’avvertimento e non disse altro. Ma come si fu allontanato, gli giunse questo biglietto d’Eleonora:
“Poco fa io non vi ho detto la verità. Conosco il romanzo, e ne ho autorizzata la stampa, perchè la mia sofferenza, qualunque sia, non conta, quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana. E poi, ho quarant’anni… e amo!”.
Ed ancora:
“… Allo scrittore inglese Arthur Lymons che, dopo aver tradotto il romanzo, era preso dallo scrupolo di pubblicarlo poiché era “la cagione di tanta sofferenza per un nobile cuore come il suo”, Eleonora rispondeva: “Pubblicate il romanzo. Un’opera d’arte vale più della sofferenza d’una creatura umana” (Oreste Comoni, Eleonora Duse, Garzanti, pag. 166)”.

Come D’Annunzio risponde a tanta nobiltà, a tanta dedizione?
Spinto, ispirato da lei, egli ha scritto, finalmente, la sua prima opera importante (forse l’unica che abbia lasciata), La figlia di Iorio.
Ma… l’affida alla Compagna Talli-Gramatica-Calabresi, di cui è prima donna Irma Gramatica. Alla Duse si propone un ripiego: essa interpreterebbe la parte della protagonista solo nelle prime recite, lasciandola, poi, alla Grammatica. La Duse accetta, “Avrò, scrive a D’Annunzio, TUTTO donato per la tua bella sorte – e il core -mi si rompe – ora, quest’ultima volta… e. così sia!”.
Ma, poco prima del debutto, essa si ammala. Il poeta dichiara che non può attendere; e interprete unica e definitiva resta la Gramatica.
Mentre il 3 marzo 1904, l’opera da lei voluta ed ispirata trionfa, Eleonora Duse, che è a Cannes, recita fra le braccia dell’amica Matilde Serao, nel delirio della febbre, i versi di Mila di Codro.
Risanata, scoprì delle forcine da capelli biondi nel suo letto alla Capponcina, la famosa villa di D’Annunzio.
Vinta. stanca, umiliata, nel 1907 Eleonora Duse abbandona il teatro.
Deve tornarvi quindici anni dopo, a 62 anni, per bisogno.
Il ritorno ebbe luogo al Balbo di Torino il 5 maggio del 1921, con la Donna del mare di Ibsen, Ebbe un trionfo. .

I tre periodi artistici

Si divide, abitualmente – ed è “giusto, – l’arte della grande tragica in tre periodi.
Il primo, quello che la rivelò al mondo, fu quello realistico. Non “verismo”, con riferimento alla scuola letteraria dominante (errore nel quale caddero altri grandi, e, primo di esso, Zacconi); ma studio, approfondimento, trasfigurazione artistica del reale, come vero ed umano.
Il secondo fu quello della sovrapposizione letteraria e decadente, quello dell’artificio dannunziano che avvelenò le pure fonti di bellezza a cui essa aveva attinto.
Il terzo fu quello della sua religiosità, e cioè una specie di vago misticismo che circondò, come un alone, la primitiva purezza ritornante, Ma questo misticismo non è evasione spiritualistica; è, invece, scrisse Gobetti “vitale e fecondo”; esso “infrange gli schemi intellettualistici”. La Duse “non conosce leggi ferme, non interpreta, ma dice vibrazioni sue ed opera per esse”.
Riprese le vie del mondo ed ebbe nuovi successi, anche se non la stessa fortuna economica di un tempo.
Morì povera a Pittsburgh, tre anni dopo, il 20 aprile 1924. Il “Duilio” ne trasporto in Italia la spoglia che fu tumulata ad Asolo. come ella aveva desiderato.

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