ANTOLOGIA DI SPOON RIVER – EDGAR LEE MASTER

EDGAR LEE MASTER

Edgar Lee Masters nacque nel Kansas, uno degli stati siti nel cuore dell’immensa Unione nordamericana, nel1869. Ricevette una accurata educazione e seguì gli studi di legge; divenne infatti avvocato ed esercitò per lunghi anni la professione, a Chicago. La sua prima raccolta di versi apparve nel 1898; nel 1915 pubblicò l’Antologia di Spoon River, che doveva renderlo celebre. Di fronte a questo suo capolavoro perdono di importanza le numerose altre opere che egli doveva pubblicare in seguito, poesie, romanzi ed opere di teatro. Masters è morto nel 1950., dopo essere stato messo un po’ in disparte dalla nuova generazione di scrittori americani, di cui pure egli aveva, in un certo modo, preparato l’ascesa.

L’opera di Lee Masters si condensa come si è detto in un unico libro; ma il messaggio poetico di quest’opera è cosi importante che si comprende facilmente l’influenza che essa era destinata ad esercitare. Con la sua poesia dalle forme scabre, che ricordano spesso quelle della semplice prosa, egli ha saputo dare al momento giusto, alla letteratura del suo paese, una virile lezione di sincerità: ha saputo mostrare l’aspetto profondamente serio della nostra avventura umana, proiettandola sullo sfondo crudo e senza indulgenze del tempo e della morte; ha saputo ergersi a giudice dell’umanità, temperando opportunamente la severità del suo verdetto con le sue naturali doti di psicologo e di filosofo.

Spoon River è una citta immaginaria, scelta dall’autore a caso tra le mille piccole città tutte uguali sparse nell’immenso continente americano. Masters immagina di aver visitato il cimitero di questa città che non conosciamo e di aver trascritto alcune delle lapidi che ornano le tombe. Queste lapidi contengono tutte una sorta di profilo del defunto, ci raccontano in poche righe la sua vita o l’avvenimento capitale di essa, si che il ritratto del morto balza vivo ed efficacissimo dinnanzi ai nostri occhi. Apprendiamo cosi che a Spoon River, come in qualsiasi altra città d’America o del mondo, in questo o in qualsiasi altro tempo, gli uomini sono stati essenzialmente infelici; che vi hanno atteso con terrore e disgusto l’ora della morte anche se, oppressi dalle miserie della loro carne, vi hanno a volte guardato come ad una liberazione; che come tutti gli uomini hanno sperato, amato, gioito e pianto; e che ora giacciono inquieti nella loro tomba, solo a mezzo addormentati, pronti a risvegliarsi per raccontarci ancora e sempre la loro unica ed eterna storia, la storia della vita che non conosce varianti, pur modulandosi su di una infinità di toni, gravi o dolci, nostalgici o tragici. Negli uomini di Spoon River, nei loro peccati e nelle loro grandezze, scopriamo presto una dimensione fraterna: essi costituiscono una vasta galleria, di buoni e malvagi, di forti e di deboli, di audaci e di timidi, ma sono tutti dei falliti, degli uomini che per una ragione o per un’altra hanno mancato la loro vita. Solo un gruppo, limitatissimo, si salva: sono i puri di cuore, come vuole la parabola evangelica…. Ad essi, sta scritto, e serbato il Regno dei Cieli: essi soli non si volgono con rimpianto verso la vita perduta, essi soli hanno trovato nella morte il principio di una nuova e più duratura vita. .

George Gray

È la lapide di un neghittoso: i parenti l’hanno ornata di un bassorilievo raffigurante una barca al riparo dai venti nel chiuso di una rada, senza dubbio a significare che la morte l’aveva messo al riparo dalle intemperie e dai pericoli della vita terrena, onde possiamo facilmente figurarci il temperamento timido e riservato dell’uomo, la sua incapacità ad affrontare la vita nel suo aspetto eroico, con vitalità e spirito di avventura. Ma nella morte si scopre che l’uomo era tutto diverso, nel fondo dell’animo suo, da quanto si pensava che egli fosse, si scopre che in segreto egli anelava ai vasti orizzonti che non ebbe, aspirava al mare aperto e ai forti venti del largo: solo, si limitò a desiderare, e non fece nulla, visse lacerato tra una realtà scialba ed aspirazioni impossibili, fu insomma uno dei tanti inetti, che sognano di vivere e dimenticano di farlo veramente…. Onde la sottile malinconia che sgorga da questi versi, ed il virile insegnamento che, di riflesso, è possibile trarne.

Ho osservato tante volte
la lapide che mi hanno scolpito-
una nave alla fonda con la vela ammainata. 
In realtà non è questa la mia destinazione ma la mia vita.
Perché l’amore mi fu offerto ma fuggii le sue lusinghe;
il dolore bussò alla mia porta ma ebbi paura; 
l’ambizione mi chiamò, ma paventai i rischi. 
Eppure bramavo sempre di dare un senso alla vita. 
Ora so che bisogna alzare le vele
e farsi portare dai venti della sorte 
dovunque spingano la nave. 
Dare un senso alla vita può sfociare in follia 
ma una vita senza senso è la tortura 
dell’inquietudine e del vago desiderio:
è una nave che desidera il mare ardentemente ma ha paura.

 * * *

Harold Arnett

È la lapide di un suicida, un altro fallito nella vita, che ha coscienza del suo insuccesso. Il tono angoscioso del racconto della sua ultima ora ha una grande efficacia poetica: il quadro é rapidamente disegnato, i tratti sono incisivi e indimenticabili, la stanza chiusa, il disgusto delle cose di ogni giorno su cui pesa la coscienza di una grande sconfitta, il senso di morte che dà la malattia di una persona cara, fino alla sensazione fisico-luminosa dell’istante della sparo, con cui si è tolta la vita. Ancora una volta un significato amaro, agevolmente trasformabile in  profonda lezione morale: non si sfugge alla vita, non ci si può sottrarre alla responsabilità che portiamo con la nostra esistenza, la morte è un espediente, i nostri atti ci seguono e sono più forti della nostra stessa volontà.

Mi appoggiai alla cappa del camino, nauseato,
pensavo al mio fallimento, guardavo nell’abisso, 
spossato dal caldo del meriggio.
La campana d’una chiesa suonò lugubre lontana, 
udii il pianto d’un bimbo, 
e la tosse di John Yarnell, 
nel letto, con la febbre, con la febbre, morente.
Poi la voce rabbiosa di mia moglie:
«Attento, le patate bruciano!». 
Sentivo l’odore.., poi mi venne un disgusto irresistibile.
Tirai il grilletto…. buio… luce…
rimorso indicibile… annaspai per tornare nel mondo. 
Troppo tardi! Così venni qui, 
con polmoni per respirare… ma qui i polmoni non servono,
anche se bisogna respirare… A che serve 
sbarazzarsi del mondo, 
quando nessun’anima mai sfugge al destino eterno della vita?

 * * *

Faith Matheny

La vita non é sempre e solamente una sorda e cieca avventura: essa racchiude anche degli attimi purissimi, in cui l’eterno spirito che vive in noi ed attorno a noi si fa quasi sensibile e si afferma dinanzi alla nostra coscienza con la vividezza di una rivelazione. Sono i momenti in cui il nostro spirito si illumina della certezza che un ideale in cui credere e per cui sperare esiste, che ci innalzano al di sopra del nostro quotidiano soffrire e della nostra stessa natura: i soli attimi che giustifichino il nostro esistere su questa terra, appunto perché ci parlano di un’altra realtà che questo mondo solo imperfettamente annuncia….

Dapprima non potrai sapere che cosa significano,
e forse non lo saprai mai,
e forse non te lo diremo mai:
questi bagliori improvvisi dell’anima,
come folgori guizzanti su candide nubi
a mezzanotte quando c’è la luna piena.
Arrivano in momenti di solitudine, o forse
sei con un amico, e all’improvviso
cade un silenzio nel discorso, e i suoi occhi
senza un fremito vi guardano ardenti:
avete visto insieme il segreto,
egli lo vede in te, e tu in lui.
E restate là trepidanti nel timore che il mistero
vi si pari davanti e vi fulmini
con un fulgore simile al sole.
Siate coraggiose, anime che avete simili visioni!
Mentre il vostro corpo è vivo e il mio è morto,
voi catturate un piccolo alito dell’etere
riservato a Dio stesso.

(Da Antologia di Spoon River)

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