MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE – Arthur Miller

MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE

Arthur Miller

Personaggi

Willy Loman
Linda
Biff
Happy
Bernard
La donna
Charley
Zio Ben
Howard Wagner
Jenny
Stanley
Signorina Forsythe
Letta

Willy Loman è un viaggiatore di commercio che per tutta la vita è andato per le strade d’America, girando le varie città, parlando con migliaia di persona. Ha sempre lavorato con entusiasmo, si considera imbattibile nel suo mestiere. Ha ormai una certa età, è stanco e logoro, ma non se ne accorge e si illude di essere sempre come un tempo. Finché una sera, mentre guida la sua auto, perde il controllo, sbanda improvvisamente e per poco non cappotta.
Questo fatto, di per sé insignificante, è come un campanello d’allarme per Willy, e lo induce a riflettere sulla sua vita, ad aprire gli occhi alla realtà. La situazione è poco allegra: purtroppo gli affari vanno male, la salute peggiora, ma quello che lo preoccupa di più è Biff, il suo figliolo prediletto; il ragazzo da qualche tempo è inquieto, cupo, non riesce a trovare un lavoro, a sistemarsi definitivamente. Willy non sa spiegarsi il perché di questo improvviso sbandamento del figlio, che è sempre stato un ragazzo a posto. Ma Biff non si confida, resta chiuso in un torvo mutismo: sembra quasi che abbia qualche motivo di rancore verso il padre.

Giunto a casa, dopo l’incidente, Willy ripensa ai momenti felici della sua vita passata: l’uomo stanco, sfiancato, si ritrova, come se tornasse indietro nel tempo, ai suoi anni migliori, quando era un “fuoriclasse” conosciuto in tutta la zona fra New York e Boston; allora tornava a casa soddisfatto di sé, con ottimi guadagni, allora era il capofamiglia, amato e rispettato, dalla moglie Linda e dai figli.

Ma oggi è tutto diverso: Willy Loman, commesso viaggiatore, dopo trentasei anni di viaggi su e giù per l’America, è stanco, non ce la fa più. I superiori gli danno lavoro alla giornata, i guadagni sono sempre più scarsi, i figli lo disprezzano e lo ritengono un fallito.
Solo Linda, la buona moglie, si rende conto della tragedia del suo uomo, lo capisce profondamente e non cessa di volergli bene, di incoraggiarlo, di difenderlo contro i figli. “Non dico che sia un grand’uomo. Willy Loman non ha fatto fortuna. Il suo nome non è mai stato sul giornale. Non è un santo. Ma è un essere umano che si trova in una situazione tremenda. Un po’ di riguardo! Non lo lasciamo morire in un angolo come un vecchio cane”.

La sera di quello stesso giorno la famiglia dei Loman, riunita, fa un ultimo tentativo per reagire alla sfortuna, al disfacimento: Willy decide di presentarsi la mattina dopo al principale per chiedergli di ritirarlo dal personale viaggiante e sistemarlo in ufficio; Biff andrà da un vecchio compagno di scuola, il quale gli aveva fatto anni prima vaghe promesse, per domandargli un prestito: servirà a lui e al fratello Happy per comperare un “ranch” e iniziare un lavoro nuovo, una nuova vita, finalmente ben sistemata.

Padre e figlio si esaltano, si illudono a vicenda, si sentono già vincitori, fanno progetti assurdi e patetici. La mattina dopo, il padre e Biff vanno, ma il loro tentativo di ribellarsi al destino fallisce. Willy trova il principale seccato e distratto, che non solo rifiuta di trasferirlo, ma gli dice di prendersi un periodo di riposo, poi vedrà: in altre parole, lo licenzia. Biff, dopo qualche ora di anticamera, non viene nemmeno ricevuto dal vecchio amico e anche i suoi sogni crollano.

Loman torna a casa, sconfitto. E lì incontra Bernard, il figlio del suo migliore amico Charley, un brav’uomo che ha del danaro e continua a prestargliene. Bernard è stato compagno di scuola di Biff, ma, a differenza del giovane Leman, è riuscito nella vita, si è fatto un’ottima posizione di avvocato. E questo è il tormento di Loman:

– Come… Come hai fatto tu? Perché lui non ci è riuscito?
– Ma, non so, zio William.
– Eravate amici, siete cresciuti assieme. È una cosa che mi sfugge. Compiuti i diciassette anni non ha fatto più niente… Perché si è lasciato andare così? Qual è la ragione?…
– Zio William, io so solo una cosa. Era giugno. Uscirono gli scrutini. E lui era… stato bocciato in matematica… Si arrabbiò molto e voleva subito prendere ripetizioni… Non si lasciò andare. Poi, a un bel momento, sparì dalla circolazione per oltre un mese. Io allora pensai che fosse venuto a Boston da te…
– Venne a Boston. Ma questo che c’entra?
– C’entra. Da quando tornò, non ho mai saputo perché, capii che Biff aveva rinunciato alla sua vita. Che successe a Boston, zio William?

Willy sa benissimo che cosa successe a Boston, una sera di qualche anno prima. Suo figlio lo aveva raggiunto improvvisamente in un alberghetto della città, e lo aveva trovato con una donna…
In quel momento, qualcosa si era spezzato in Biff. Il padre, l’uomo retto e forte che egli ammirava, il suo eroe, si faceva trovare invischiato in quella squallida e banale avventura, balbettava miserevoli scuse, privo ormai di ogni dignità…
Biff era tornato a casa disgustato, stroncato in tutte le sue illusioni e, da quel giorno, come dice Bernard, “aveva rinunciato alla sua vita”.
Loman ora ha tutto chiaro davanti a sé: egli è un vecchio uomo stanco e inutile: dei figli, Happy è un donnaiolo vanesio, Biff un ragazzo amareggiato, pieno di rancore verso la vita, incapace ormai di ritrovare la sua strada.
Che fare? Il commesso viaggiatore non ha più fede e nemmeno speranza. Egli possiede un’assicurazione sulla vita di 20 000 dollari: l’unica cosa che può fare è morire e lasciare tutto quel danaro alla sua famiglia.
È sera: Willy Loman dà il suo silenzioso addio alla famiglia, bacia teneramente Linda, la sua brava,  coraggiosa Linda, e le dice di salire in camera; fra un minuto la raggiungerà. Quando finalmente rimane solo, esce, sale in auto e parte, consapevole, verso la morte.

COMMENTO

Mi piace moltissimo la scena finale dell’opera: la madre, i figli, l’amico di Willy, riuniti attorno alla sua tomba, parlano fra loro pianamente, e parlano con il morto. Osserviamo la semplice poesia di questo dialogo: facendo parlare i personaggi con il linguaggio di tutti e “di ogni giorno”, con le nostre frasi banali e talvolta persino scorrette, l’autore riesce a rappresentare e a farci capire quella che è la vita interiore di un uomo: “Lo stipendio non è mica tutto”; “gli davi un cartoccio di calce edera felice”; “l’unico sogno che l’uomo può avere: diventare il primo in quello che fa”. Tutto è detto così, con questo linguaggio semplice e reale, senza voler creare a tutti i costi un dramma esteriore. Nel loro tormento, nella loro angoscia, Willy Leman, i figli, Linda sono uomini comuni, né più né meno come noi; e non c’è nessun motivo per cui si esprimano in modo diverso.

Morte di un commesso viaggiatore, il capolavoro di Miller, è diventato un classico del teatro contemporaneo americano. In esso, come negli altri quattro drammi teatrali: Erano tutti miei figli, Il crogiolo, Ricordo di due lunedì, Uno sguardo dal ponte, Arthur Miller affronta i problemi più drammatici e inquietanti della vita dell’uomo contemporaneo: le illusioni: che tramontano; il desiderio disperato di “essere qualcuno”, di lasciare “impronta in qualche luogo sulla Terra”, e il capire che questo desiderio non si realizzerà, che resterà solo un sogno per migliaia di uomini che vivono i loro drammi restando nell’ombra; ” l’immagine dell’invecchiare, gran parte dei vostri amici già scomparsi, e sulle sedie di comando degli sconosciuti che non conoscono né voi né i vostri trionfi né il vostro incredibile valore”;  “l’immagine del duro, distaccato sguardo di vostro figlio su di voi, non più rapito dal vostro mito, non più richiamabile dal suo distacco, non più consapevole che avete vissuto per lui, avete pianto per lui”; “l’immagine della ferocia quando l’amore si è mutata in qualche altra cosa…” ; “l’immagine di persone che diventano estranee l’una all’altra…”; “l’intolleranza, la sopraffazione” .
I personaggi delle opere di Miller sono tormentati, anche quando non ne sono consapevoli, da questi problemi; ma l’autore non si compiace mai di questa angoscia, di questa miseria, e considera gli uomini con grande pietà, con compassione e comprensione. E infatti, anche quando la tragedia, come nel caso di Willy Loman, si abbatte sull’uomo, c’è sempre una speranza, un poco di luce nel buio. Certo, questa speranza non sta nella Fede, perché i personaggi di Miller quasi sempre non credono, essi sono puramente terreni, senza religione, ma sono uomini tormentati, che cercano la verità, magari sulla via sbagliata, ma la cercano: e a loro non si può negare la speranza.

UNA VITA TRANQUILLA

Arthur Asher Miller (New York, 17 ottobre 1915 – Roxbury, 10 febbraio 2005) è stato un drammaturgo, scrittore, giornalista e sceneggiatore statunitense. La sua vita si è svolta secondo le buone tradizioni dell’uomo arrivato americano. È figlio di un sarto e, da giovane, naturalmente, ha fatto i più umili mestieri (ragazzo in un’autorimessa, lavapiatti, ecc.). Si fece conoscere – a 29 anni – esordendo con un libro sull’esercito americano. Nel 1947 fu pubblicato il suo primo dramma Erano tutti miei figli che, con quelli che seguirono, gli diede celebrità mondiale. Nonostante la sua fama, Miller, uomo schivo e riservato, è vissuto sempre fra i suoi libri, ben lontano dai clamori pubblicitari. Solo il matrimonio con l’attrice cinematografica Marylin Monroe sembrò per un momento trasformare quell’uomo serio e chiuso in un personaggio da rotocalco. Ma dopo il divorzio dall’attrice, Arthur Miller ha ripreso la sua metodica vita di lavoro, evitando ogni pubblicità., Nel 1961 si risposò con una giornalista.

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