IL DUECENTO – Origine della letteratura

IL DUECENTO

Il consolidamento della borghesia nella sua lotta contro il regime feudale e la formazione in Europa di Stati nazionali costituiscono l‘asse attorno al quale ruotano gli avvenimenti storici del XIII secolo.

La borghesia (da burgenses, abitanti dei “borghi” e delle città) era sorta, come classe, nel seno stesso della società feudale, assolvendo per lungo tempo una funzione complementare, anche se necessaria, alla economia rurale del regime.

Nei “borghi”, lontani dal feudo ma pur sempre ad esso vincolati, vivevano le comunità artigiane produttrici di beni di consumo e strumentali (beni strumentali che servono a produrne altri: ad esempio arnesi da lavoro). L’ancòra ristretta rete degli scambi commerciali aveva nei “borghi” i propri punti nodali.

Tuttavia queste comunità rappresentano il nucleo di una entità politica e sociale destinata a crescere. A partire dal Mille la Borghesia, per lo sviluppo della produzione (che l’economia chiusa del feudo non è più in grado di controllare né di assorbire) e per l’estendersi dei traffici, entra in profonda contraddizione con il regime feudale.

I Comuni e la nascita degli Stati nazionali

Il sistema feudale è ormai di ostacolo alla espansione della nuova classe. La borghesia crea nelle città, per emanciparle dalla soggezione al feudo, forme autonome di governo. I Comuni sono espressione concreta di questo nuovo potere politico. Nell’Italia settentrionale, in Germania, in Francia, le città autonome svolgono un ruolo decisivo nelle vicende del secolo.

Dal disfacimento del mondo feudale – anche se nel ‘200 non si è che all’inizio di questo processo – nascono le nazioni: Inghilterra, Francia, Navarra, Portogallo, Castiglia, Aragona e Sicilia sono i primi Stati sovrani. L’evoluzione dei tempi investe la Chiesa che deve rinunciare ad ogni pretesa egemonica sugli altri Stati.

Una nuova cultura

Dalle modificazioni politiche, economiche e sociali di cui è testimone il XIII secolo, emergono orientamenti ideali nuovi.

La cultura feudale segue, decadendo, il lento disgregarsi della società che l’ha espressa. Si delinea una nuova cultura. Vari fattori vi concorrono.

a) Lo sviluppo della produzione e del commercio, il perfezionamento tecnico della manifattura e dei trasporti e la conseguente evoluzione verso una economia essenzialmente mercantile e monetaria (1) creano complessi problemi che la vecchia cultura non appare in grado di risolvere.

b) La fondazione di università in molte città d’Europa. Vi contribuisce la Chiesa, preoccupata di salvaguardare – contro i movimenti ereticali (2) e di riforma che ne contestano l’autorità – il monopolio dell’insegnamento e i propri diritti temporali e spirituali.

Dopo le Università di Bologna (1158) e di Parigi (1160) sorgono, nel Duecento, quelle di Cambridge, Oxford, Padova, Napoli, Salamanca e Alcalà. Queste università, nonostante l’insegnamento sia limitato e i libri siano scarsi (il pensiero della Chiesa si riflette nelle opere di San Tommaso d’Aquino, rigido difensore dell’ordine costituito), divengono centri di vita culturale (3).

c) La trasformazione delle lingue dialettali, o “volgari”, in lingue nazionali è un potente fattore di diffusione del sapere.

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(1) economia basata sull’assunzione della moneta a principale o esclusivo mezzo di scambio dei beni.
(2) ereticali: da eresia, negazione, da parte di un cristiano, di un dogma (verità, rivelata da Dio e “proposta dalla Chiesa, cui bisogna credere per fede).
(3) è di questa epoca il movimento della goliardia o dei clerici vagantes, giovani_religiosi che, abbandonato l’abito talare, girano per l’Europa da una città universitaria all’altra, in cerca di conoscenze e cultura.

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Origine dei “volgari” e primi documenti in volgare “italiano”

Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d. C.) il latino, una volta parlato e compreso in tutta l’Europa romana, si evolve e si trasforma in dialetti diversi da regione a regione, che di comune mantengono soltanto l’originaria matrice. Sono i linguaggi neolatini (cioè in una nuova forma di latino) da cui deriveranno le lingue che ancora oggi vengono definite con eguale espressione. Nei documenti del tempo questi dialetti sono chiamati “volgari” (da vulgus, parola latina che indicava gli strati plebei della popolazione) perché parlati da tutti. Il latino, tuttavia, resterà ancora a lungo (in Italia fino agli inizi del XIII secolo) la lingua colta e ufficiale, adoperata nella scrittura di atti e documenti pubblici oltre che, naturalmente, nelle opere letterarie e filosofiche.
L’area entro cui i “volgari” si diffondono corrisponde all’antica estensione dell’Impero in Europa che viene chiamata Romània. Essa comprende:
– la Penisola Iberica, con le lingue portoghese, catalana e castigliana (o spagnolo);
– la Francia (e parte della Svizzera e del Piemonte) con il francese, il provenzale ed il franco-provenzale;
– la Penisola Italiana e le isole, con dialetti assai differenziati, e conia lingua autonoma della Sardegna.
Nel Friuli, nel Trentino e nel Canton dei Grigioni si parlerà il ladino;
– la Rumenia (l’antica Dacia, divenuta colonia romana dopo la conquista dell’imperatore Traiano) con il rumeno.

Il primo documento che si conosca scritto in ”volgare” italiano, o meglio in antico dialetto campano, è costituito dalle Carte capuane, e risale al 960 d. C.
È una sorta di atto notarile che riporta la formula pronunciata dai testimoni in una lite di confine tra il Monastero di Montecassino e un certo Rodelgrino d’Aquino (l). Formule più o meno simili si incontrano in altre “carte” di epoca successiva.

(l) la formula era: “Sao ke kelle terre, per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti” il cui significato è: so che quelle terre nei confini che le limitano appartengono da trenta anni alla Abazia di San Benedetto.

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Origine della letteratura italiana 
Francesco d’Assisi

Dovranno trascorrere più di due secoli da queste iniziali tracce perché appaia la prima vera opera letteraria in “volgare”, una composizione religiosa in versi, come molte altre dell’epoca, ma che dalle altre si distacca per l’impronta che reca di una personalità fortissima e originale: è il Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi (1182-1226), un invito sereno e gioioso a tutte le creature dell‘Universo; dal Solealla Terra, al fuoco, all’acqua, alla Luna, al vento – ad innalzare un inno di lode al Signore. Serenità e gioia che sono, tuttavia, espressione più di una conquista ottenuta a prezzo di un doloroso travaglio che di un sentimento ottimistico e superficiale.
Francesco fu interprete, nella predicazione cui s’era votato fondando l’Ordine dei frati minori, della ribellione dei poveri della città contro il lusso, la ricchezza e la degradazione dei costumi che avevano contaminato anche la Chiesa. Il moto francescano rasentò, per questo, i confini dell‘eresia.

Al filone religioso appartiene l’opera, di poco posteriore a quella francescana, di Jacopo Benedetti (1236-1306) anch’esso umbro, più noto col nome di Jacopone da Todi.

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L’influenza francese — La poesia siciliana e toscana

Una forte influenza esercitò su molti scrittori italiani del Duecento la letteratura francese, anzi le due distinte letterature che in Francia s’erano andate formando attorno alle lingue che vi coesistevano: il francese (o lingua d’oil) e il provenzale (o lingua d’oc) (sia “oil” che “oc” indicano la particella affermativa: sì). Diversi erano contenuti e motivi di ispirazione. La francese prediligeva argomenti eroico-cavallereschi, che si è soliti raggruppare in tre cicli: il carolingio (poemi epici sulle gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini contro i Mori di Spagna); il brettone (che esaltava le imprese, assolutamente fantastiche, di re Artù e dei cavalieri della Tavola rotonda); il ciclo dei cavalieri antichi (singolare trasfigurazione dei grandi eroi del passato, come Alessandro, Cesare e altri, nelle vesti di cavalieri cristiani).

La letteratura provenzale, detta anche cortese (cioè letteratura di Corte) o trovadorica (da trobar, ricercare la rima, poetare) aveva eletto a suo tema preferito l’amore per la donna, cui poesie e canzoni erano dirette in segno di devoto omaggio. Ricercatezza ed eleganza formali sono i tratti distintivi di queste poesie, preziose ma fredde, nelle quali ben si rispecchia l’ambiente raffinato ed intellettualistico delle Corti feudali di Provenza.

Altri scrittori provenzali, molti dei quali erano scesi in Italia per sfuggire alle terribili persecuzioni della Crociata contro gli Albigesi (da Albi; cittadina della Francia meridionale, e quindi della Provenza, costituivano una setta religiosa bollata come eretica dalla Chiesa. Contro di essi il papa Innocenzo III bandì una Crociata (1209-1229) che si concluse col loro sterminio) va il merito d’aver aperto la strada alla poesia siciliana e toscana prima, e al Dolce stil novo poi.

Attorno alla prima metà del Duecento fiorisce, in Sicilia, alle Corti di Federico II e di “Manfredi (1), una scuola poetica che, seppure fortemente ispirata alla letteratura provenzale, costituisce il primo serio tentativo di costruzione di una lingua letteraria italiana che superi l’angustia regionalistica dei dialetti. Rinaldo d‘Aquino, Jacopo da Lentini, Oddo delle Colonne ne sono significativi esponenti. Al modello siciliano si rifanno, con più cospicua validità artistica, i poeti cosiddetti siculo-toscani, tra i quali ha particolare rilievo Guittone d’Arezzo (1225-1294) autore oltre che di numerose liriche d’amore anche di poesie a carattere politico.

(1) Federico II (1194-1250): figlio di Enrico VI di Hohenstaufen, fu re di Sicilia dal 1198. Creò nell’Italia meridionale una moderna ed efficiente struttura statale. Favorì e protesse le arti. Manfredi, suo figlio (1236-1266) fu proclamato re di Sicilia nel 1258.

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Il Dolce stil novo – La poesia realistico-borghese

Il secondo, importante momento della formazione del gusto e di una lingua letteraria italiana è rappresentato dalla corrente poetica del Dolce stil novo. Come per i provenzali ed i siculo-toscani, l’amore è al centro dell’interesse degli stilnovisti, ma con un significato morale profondamente diverso.

L’amore, per lo “stil novo”, è un sentimento che alberga soltanto in un “cuore gentile”, e gentilezza e nobiltà non sono doti innate, ma qualità che si acquistano con opere di bene. Perché l’uomo possa compierle è necessario l’amore della donna: una donna raffigurata come un angelo (“angelicata”), tramite ideale per avvicinare l‘uomo a Dio.

Guido Guinizelli, bolognese (1240-1276),fu l’iniziatore di questa corrente e la canzone Al cor gentil ripara sempre amore il suo manifesto poetico.

Più famoso di lui è Guido Cavalcanti (1255-1300), amico intimo di Dante e da questi assai stimato, autore di un Canzoniere di oltre cinquanta liriche, quasi tutte d’amore. La sua migliore composizione è la ballata detta dell’esilio, rivolta all’amata lontana, che ormai dispera di rivedere.

Cavalcanti porta, nella poetica stilnovista, una concezione certamente più drammatica dell’amore.

Un accenno merita la poesia cosiddetta realistico-borghese, che si diffonde in Toscana tra il XIII ed il XIV secolo. Alla lingua elegante degli stilnovisti essa contrappone, in maniera polemica, una espressione volutamente rozza. L’immagine della donna – assai meno “angelica“ che nello stil novo – è, nei realisti, carica di sensualità.
È un poetare irridente e giocoso ma che rivela, a ben intendere, un fondo di malinconica amarezza. Maggior rappresentante di questa tendenza è Cecco Angiolieri (1260-1313).

VEDI ANCHE . . .

IL DUECENTO – Feudalesimo e borghesia

1 – DANTE ALIGHIERI

2 – DANTE ALIGHIERI

LA DIVINA COMMEDIA

PAOLO E FRANCESCA – V Canto dell’ Inferno – La Divina Commedia – Dante Alighieri

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