DANTE ALIGHIERI

DANTE ALIGHIERI

L’ascesa del “volgare”

Precise cause storiche e politiche spiegano il tardo avvento, in Italia, di una lingua e di una letteratura a carattere nazionale.   Dalla discesa dei Longobardi (568 d. C.) in poi, la penisola fu frazionata e soggetta a dominazioni straniere eterogenee per linguaggi e cultura. Bizantini, Arabi e Normanni si erano succeduti nel Mezzogiorno; al centro si estende-va l’autorità ecclesiastica; il Nord era aperto alla influenza francese: in questa situazione i dialetti tendevano ad accentuare il loro carattere regionale in una sorta di dispersione linguistica che ostacolava un processo di unificazione.

Ma quando, dopo il tentativo della scuola siciliana, a questa unificazione si pervenne col “volgare” toscano – il più vicino, per struttura, alla lingua latina – la letteratura italiana recuperò di colpo il ritardo, attingendo ad altissimi livelli d’arte ed informando di sé l’intera cultura europea.

Grande fu il contributo delle “scuole” poetiche al compiersi di questa prodigiosa ascesa, ma il merito di essa va ascritto, essenzialmente, a tre personalità del tutto eccezionali, che forgiarono l‘idioma che oggi parliamo: Dante, PetrarcaBoccaccio.

Il genio di Dante

Generazioni di studiosi hanno contribuito a tenere vivo, nei secoli, il “culto di Dante“. Non vi è aspetto, letterario o politico o filosofico, dell‘opera del grande fiorentino che non sia stato oggetto di studi minuziosi, di accurate analisi. Sarebbe impresa ardua ripercorrere puntualmente il lungo cammino della critica e della saggistica su Dante. Ci limiteremo qui ad estrarre, dalla vastissima tematica che da questi studi è emersa, tre argomenti che aiutano a definire l‘àmbito generale entro cui si collocano la figura e l’opera dell’Alighieri.

Dante, padre della lingua italiana – Quando, dopo lunga maturazione. poetica e intellettuale, dopo una sofferta esperienza di vita, Dante si accinse alla sua opera più grande, sentì che per erigere una costruzione letteraria complessa come la Commedia, aveva bisogno di una lingua “viva”, diversa da quella della tradizione letteraria e che giungesse ad un pubblico assai più vasto della élite abituata a leggere in latino. Il volgare toscano, parlato dalla gente, fu la sua scelta: ma perché potesse rispondere alle esigenze della sua fantasia e visione poetica, Dante lo “reinventò”, lo arricchì enormemente di nuovi modi e forme, trasformandolo da dialetto in lingua compiuta, capace di esprimere, senza difficoltà di lessico, una estesa varietà tanto di suggestioni poetiche come di temi filosofici e scientifici.

Universalità di Dante – Per erudizione, cultura, educazione Dante appartiene al Medioevo, ma l’opera sua rappresenta il punto d’arrivo e, insieme, il vertice della cultura medioevale italiana ed europea.
La Commedia – che due secoli più tardi i critici chiameranno “Divina” – affonda le sue radici poetiche, le sue motivazioni ideali e morali in un preciso momento della storia, un momento di lenta e travagliata transizione. Tuttavia, per la prodigiosa capacità di interpretarne tutte le inquietudini, le passioni e le ansie, essa si distacca dal suo tempo per divenire testimonianza di una condizione umana nella quale uomini d’ogni epoca possono riconoscersi; dove anche noi, figli del XXI secolo, ci riconosciamo.
E quando materia di tale testimonianza è altissima poesia, allora essa rimane messaggio universale e senza tempo, diretto all’intelligenza e alla riflessione di tutti gli uomini.

Dante e l’unità nazionale – Dante fu uomo impegnato nelle passioni e nelle lotte politiche del suo tempo. Per questo impegno soffrì e pagò duramente. Il suo ideale – una monarchia universale che, nella netta separazione tra potere temporale (politico) e spirituale (ecclesiastico), si ponesse al disopra delle fazioni che dilaniavano Firenze e le città d’Italia, “nave senza nocchiero in gran tempesta…” – fu senz’altro, rispetto alle concrete condizioni e possibilità del momento, un’utopia (dal romanzo omonimo dell’inglese Thomas More, dove Utopia era un’isola sede di una società perfetta. In seguito il termine è servito ad indicare tutto ciò che nella vita è tanto perfetto quanto irrealizzabile), destinata a rimanere tale. Ma pure non è difficile scorgere, .in questa concezione politica confusa e priva di prospettive, il segno di una profonda aspirazione non “soltanto al superamento della discordia, come fatto necessario eppure contingente, ma ad un processo” di unificazione dell‘intera nazione italiana.

Giustamente, a distanza di cinque secoli, Giuseppe Mazzini, che dell’unità nazionale fu uno dei grandi artefici, ebbe a scrivere:

“Dante fu tale uomo che a nessun italiano, comunque sfornito di educazione, dovrebbe esser concesso, senza rimprovero, di ignorarne il nome, i meriti, i patimenti, i pensieri. Dante ha fatto più per l’Italia, per la gloria e l’avvenire del nostro popolo, che non dieci generazioni d’altri scrittori o di uomini di Stato“ (da uno scritto del 1841, diretto agli operai italiani che lavoravano in Inghilterra).

La vita

Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265, da famiglia di parte guelfa, di piccola nobiltà e di non florida condizione economica; nonostante questo, ebbe educazione da gentiluomo, apprese l’esercizio delle armi e si dedicò agli studi. A diciotto anni già componeva poesie apprezzate dai contemporanei.

I suoi primi scritti di rilievo sono rime d’amore, soprattutto per Beatrice (Bice di Folco Portinari, andata sposa a Simone de’ Bardi), dipinta alla maniera degli “stilnovisti”,‘ come un angelo, mandato da Dio sulla terra per la salvezza dell’anima sua. Morta Beatrice nel 1290, Dante raccolse le poesie, scritte per lei, nella Vita Nova. Si dedicò quindi, dopo un periodo di vita dissipata (la “selva oscura” della Commedia), agli studi filosofici e teologici, componendo anche “rime” di carattere allegorico. e morale.

Partecipava intanto alla vita pubblica della città; nel 1289 fu alla battaglia di Campaldino, nel 1290 all’assedio del castello di Caprona; nel 1295 si iscrisse all’arte (nel ‘Medioevo “arte” veniva chiamata ogni corporazione professionale) dei medici e degli speziali (in qualità di cultore degli studi filosofici) ed ebbe vari incarichi politici. Si era sposato, nel frattempo, con Gemma di Manetto Donati, da cui ebbe tre figli (Jacopo, Pietro e Antonia).

Nel 1300 fu uno dei “priori” (che era la più alta carica pubblica della città) e, coi suoi colleghi, si adoperò a riportare la pace in Firenze condannando al “bando” (esilio) i capi delle opposte fazioni dei “guelfi bianchi” e dei “guelfi neri”: fra gli altri fu bandito anche l’amico di Dante, Guido Cavalcanti.

I “bianchi”, facenti capo alla famiglia dei Cerchi, volevano salvaguardare l’indipendenza di Firenze dall’ingerenza del papa, Bonifacio VIII; i “neri”, seguaci della famiglia dei Donati, si appoggiavano invece alla forza del pontefice, con cui erano disposti ad allearsi senza condizioni. Dante venne accostandosi sempre di più alla “parte bianca”, per contrastare la scalata al potere dei “neri”.

Nel 1301 venne mandato dal Comune come ambasciatore presso Bonifacio VIII. L’intenzione era quella di scongiurare la mossa del pontefice che aveva deciso di inviare a Firenze, formalmente come paciere ma in realtà per facilitare la vittoria dei “neri”, Carlo di Valois. La missione non ebbe successo: Dante fu sorpreso dagli avvenimenti mentre era presso la Corte romana. Carlo di Valois era entrato in Firenze, favorendo il ritorno dall’esilio dei capi della fazione “nera” e consentendo loro di impadronirsi della città.

Dante fu messo al bando, insieme ad altri esponenti “bianchi”. Seppe della condanna mentre stava per rientrare a Firenze. Non avrebbe più rivisto la sua città. Inizia così il periodo dell’esilio. Dopo avere partecipato a vari tentativi dei “bianchi” fuoriusciti (alleati con gli esuli “ghibellini”) di riprendere il sopravvento politico e militare in Firenze, il poeta si separa ben presto dalla “compagnia malvagia e scempia”. Si rifugia a Verona (1304), poi in Lunigiana presso i Malaspina (1306); scrive in questo periodo i trattati De vulgari eloquentia e Convivio.

Nel 1310 l’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo scende in Italia: Dante spera che la sua venuta rechi all‘Italia, “giardino dell’Impero”, pace e concordia, consentendogli anche di rientrare finalmente in patria. Ma numerosi Comuni guelfi, con a capo Firenze, si coalizzano contro Arrigo, e l’improvvisa morte di quest’ultimo (1313) stronca definitivamente le speranze del poeta. In questo frattempo egli scrive, a sostegno delle sue dottrine politiche, il trattato Monarchia.

Nel 1315 l’esule è a Lucca; rifiuta, sempre nello stesso anno, una amnistia concessagli a condizioni che egli ritiene infamanti. Si reca ancora a Verona, ospite fino al 1319 di Cangrande della Scala; poi a Ravenna, presso Guido Novello da Polenta, ed è qui raggiunto dai figli. Dedica gli ultimi anni della vita a terminare la Commedia, che aveva iniziato, pare, nel 1307; a Ravenna muore nel 1321, di ritorno da una ambasceria a Venezia dove era stato inviato da Guido Novello.

 Opere minori

Oltre la Commedia, Dante ha scritto numerose altre opere, di cui ci limiteremo a fornire qualche breve notizia.

1) In volgare

La Vita Nova, opera giovanile mista di versi e di prosa; a carattere autobiografico, contiene il racconto idealizzato, secondo i dettami dello “stil novo”, dell’amore per Beatrice, la “donna angelo”, “venuta / da cielo in terra a miracol mostrare“.
Comprende 25 sonetti, 4 canzoni, una stanza e una ballata. Le prose servono di collegamento tra le diverse poesie.

Il Canzoniere, composto dalle rime che il poeta escluse dalla “Vita Nova”, da alcune canzoni che avrebbero dovuto far parte del “Convivio”, da “sonetti di corrispondenza” (con Guido Cavalcanti ed altri) e dalle cosiddette “rime pietrose”, di intonazione realistica, rivolte a una donna, detta “Pietra”, amata probabilmente da Dante prima dell’esilio.
Offrono, nell’insieme, una interessante testimonianza della ricca e varia formazione spirituale dell’Alighieri.

Il Convivio, un trattato concepito come una vasta enciclopedia di divulgazione scientifica. Dante lo scrisse in volgare perché intendeva “imbandire un convivio (banchetto) di scienza a coloro che non avevano avuto il tempo e la possibilità di studiare e quindi non conoscevano il latino.

2) In latino

Il De vulgari eloquentia, opera non finita, contemporanea o di poco anteriore al Convivio, in cui Dante espone il suo concetto di “volgare illustre”, cioè di una lingua letteraria italiana.

Il Monarchia, trattato politico, scritto probabilmente attorno al 1313-1144, all’epoca della discesa in Italia di Arrigo VII o poco dopo. In quest’opera l’Alighieri espone l’ideale di una “monarchia universale”, la dottrina della “separazione” e della “armonia” fra il potere “temporale” (Impero) e quello “spirituale” (Papato); condanna la corruzione e l’immoralità della Chiesa. .

Le Epistole – La Quaestio de aqua et terra – Egloghe

 La Divina Commedia

Concepita da principio come un poema per esaltare Beatrice e dire “di lei quello che mai non fu detto d‘alcuna” (come si legge nella Vita Nova), la Commedia, fu però concretamente cominciata dopo l’esilio, probabilmente attorno al 1307. E il proposito iniziale si era nel frattempo allargato – di pari passo – con l’ampliarsi dell’orizzonte intellettuale, politico ed artistico del poeta – fino alla vasta concezione che sta alla base dell’opera. Dante volle con essa “denunciare” la depravazione dell’età sua (causata dal contrasto tra le due “guide” che la Provvidenza ha assegnato al genere umano – Papato e Impero – e, in particolare, dalla corruzione della Chiesa e dalla sua ansia di ricchezza e di potenza terrena) ed “ammaestrare” gli uomini sulla via da battere per salvare la società umana dall‘imminente rovina. Egli immagina quindi un viaggio nell‘oltretomba, viaggio che è il simbolo della purificazione dell‘uomo peccatore e dell’umanità nel suo complesso: la “Commedia”, perciò, ha il valore di un “messaggio”, che il poeta rivolge alla società del suo tempo e all’umanità, affinché ritorni sul giusto cammino. Il “punto di vista” da cui si pone Dante nell’inviare il suo “messaggio”, è quello di chi contempla e giudica i mali dell‘umanità “dall’al di là”, e cioè dal punto di vista di Dio stesso.

Il “viaggio” si concretizza in una folla di personaggi, che il poeta incontra nei tre regni ultraterreni: Inferno, Purgatorio, Paradiso; in un quadro dove la società umana è osservata e giudicata con occhio implacabile e nel quale trovano posto l’aspra rampogna e l’invettiva, come l’espress’ione degli ideali, delle speranze e della fede del poeta.

Smarritosi in una “selva oscura”, Dante ne esce finalmente, in vista di un colle, su cui però non può salire perché ostacolato da tre fiere: la “lince” (simbolo della lussuria), il “leone” (superbia) e la “lupa” (avarizia). Gli appare allora Virgilio, che lo guiderà nel mondo dei morti: Virgilio rappresenta la ragione umana.

Inizia così il viaggio, nella voragine infernale che Dante immagina come un grande cono, la cui punta coincide col centro della Terra. I due poeti la percorrono tutta, incontrando man mano i peccatori suddivisi nei nove “cerchi” infernali. Quindi, dal fondo del cono, risalgono verso l’emisfero opposto a quello abitato: lì è l’isola su cui sorge il Purgatorio, agli antipodi di Gerusalemme.

Nel Purgatorio i peccatori sono collocati nelle sette “Cornici” scavate lungo la parete del monte; in esse le anime scontano la pena assegnata, per purificarsi e poter salire al cielo. Tanto nel Purgatorio che nell’Inferno le pene sono fissate secondo la “legge del contrappasso”, che consiste nel collocare il peccatore in condizioni “simili” oppure “opposte” a quelle del suo peccato.

In cima alla montagna del Purgatorio, è il Paradiso terrestre: qui Virgilio scompare, e a lui si sostituisce, come guida, Beatrice. Scortato da lei Dante sale in Paradiso, e per i “nove cieli”, giunge fino all’ “Empireo”. Durante la salita, gli si fanno incontro le schiere dei beati, che risiedono tutti nell’Empireo, ma si distribuiscono nei primi sette dei nove cieli per dare al poeta una immagine sensibile del diverso grado di beatitudine di cui godono. Nell’otavo cielo Dante subisce un esame, sulle tre virtù teologali; nel nono ha una prima visione di Dio. Nell’Empireo, infine, per intercessione di Maria, ha per un istante la visione dell’Eterno, e con questa chiude il suo poema.

VEDI ANCHE . . .

IL DUECENTO – Feudalesimo e borghesia

1 – DANTE ALIGHIERI

2 – DANTE ALIGHIERI

LA DIVINA COMMEDIA

PAOLO E FRANCESCA – V Canto dell’ Inferno – La Divina Commedia – Dante Alighieri

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