FESTE TRADIZIONALI IN FRIULI (Fiestis tradisionâlis in Friûl)

COLEDA

Cicigolis (Pulfero), mattina del 31 dicembre 1977
Dal pajù (poggiolo) le padrone versano i loro doni
In tutto il Friuli i bambini facevano il giro augurale di questua al mattino di Capodanno: vedere in quel giorno per primo un bambino o un uomo era di buon auspicio; non altrettanto vedere una donna, sempre intendendo di persone estranee alla famiglia ed allo stretto vicinato.

“Buona mano” era detta l’offerta e ciò è già molto significativo (anche sul piano magico).
Nella nostra Slavia, tutto l’arco dei Dodici Giorni era utile per le questue (naturalmente anche i Ss. Innocenti).
Ad esempio, a Masarolis, a Natale questuavano i bambini, a Capodanno i giovani, all’Epifania … i vedovi!
Nelle Valli del Natisone è detta coleda o coledo questa questua: questua appunto, delle Calende di gennaio.
Sempre si chiedeva con formule tradizionali e cantando dolcissime nenie.
La padrona sale sui piani alti, dove è riposta la riserva della frutta e la versa dall’alto del pajù, divertendosi allo scompiglio che si crea tra i bambini: lei “semina” ed essi raccolgono.
Così mimano auguralmente le prossime opere del nuovo ciclo.
.
.

MERCOLEDÌ DELLE CENERI

Erto – Trascinamento dello scopetòn con ostentata fatica
Mercoledì era il giorno delle Ceneri, un tempo, e del mangiare di magro, perché iniziava il lungo di «purga”, che ormai non è più rispettato, giacché sono i medici oggi a dettare le diete e no Chiesa.
Era dunque il giorno dell’aringa.
Questo pesce povero (renghe, sardelòn, cospetòn, capitòn a Forni) a Erto è detto scopetòn ed è fatto oggetto di una curiosa usanza: caricato su una pala collegata con una corda, è “trainato” lungo la via principale del paese, anzi è trascinato con finta fatica da un piccolo corteo di persone buffamente vestite, che formano una catena come nelle cordate di montagna.
Taluni si mimetizzano con pelli e campanacci, ma i più sembrano montanari e boscaioli e di questi hanno tutti gli strumenti.
Il trascinamento vuole mimare gli sforzi che si fanno per trascinare i tronchi, dopo averli abbattuti.
E, come i boscaioli gridano: “Uca la taia” (Ecco il tronco!).
Ciò allude ad un mestiere, ad una pesante attività che era abituale in questi paesi.
.
.

LA MORTE

Classico mascheramento da Morte – Mersino, 1986

Per molti studiosi la maschera evoca i defunti (del resto larvatus è il termine antico per «mascherato”), ma talvolta la Morte stessa passa dall’astrazione ad una figura concreta, magari in unione, per contiguità simbolica, alla maschera-diavolo.

Ma la sua presenza non è estranea alla nozione stessa della fertilità.
Se il grano non muore, non ci sarà una nuova pianta…
.
.

ENTRARE NELLA GIOVENTÙ

Udine – La naja
L’importanza della festa della coscrizione si spiega con il fatto che in essa si sono convogliate usanze e riti molto radicati fin da ere molto lontane e comprensibili soprattutto per il tipico di società agricolo-pastorale, che è stata la nostra base fino alla rivoluzione industriale del secondo dopoguerra.
Nella nostra comunità contadina era infatti molto decisa la distinzione delle classi interne, vale a dire distinzioni per sesso e distinzioni per classe d’età.
In queste demarcazioni, entro il tessuto comunitario, la compagnia dei giovani rappresentava un tipico esempio di gruppo primario.
Nella società contadina per essere ammessi nel consorzio degli adulti, per poter andare alla “casa degli uomini”; cioè all’osteria o in altri luoghi dove si svolgevano riti comunitari, inoltre per poter girare di notte e frequentare le veglie, aspirare ad avvicinare le ragazze e così via; bisognava essere “riconosciuti” pubblicamente dagli adulti.
Innanzitutto bisognava pagare da bere e da fumare, con i primi guadagni, al padrino ed agli altri uomini del piccolo universo paesano, sottomettendosi così alla loro autorità.
Poi questi formalizzavano il rito di accoglimento, non senza averli ben spesso sottoposti a varie prove, come quella di bere o mangiare cose ripugnanti, sostenere sforzi, e simili.
Chi non accettava questo tipo di “battesimo” (chiamato proprio così, ma anche altrimenti, a seconda delle località) subiva punizioni, come quella di essere gettato in una vasca d’acqua, o peggio.
Del resto anche nella coscrizione militare erano in uso varie vessazioni contro il gamèl, il novizio di caserma, da parte degli anziani.
E nelle stesse università la trafila era simile per le matricole.
Ormai sono cessate le forme più antiche e crudeli del rito di passaggio, anche perché oggi i giovani hanno un livello di scolarizzazione superiore a quello degli anziani, per cui è caduta in buona parte l’antica soggezione, inoltre c’è una ben maggiore precocità, sia psicologica che fisica.
Sono rimaste però emergenti le manifestazioni festose, i movimenti pubblici in cui la “classe” o compagnia dei giovani (stavo per dire “corporazione”) agisce in seno alla comunità e conclama la propria aggregazione.
La scaglionatura delle visite di leva ha solo in parte incrinato la compattezza della classe, ma ciò può avvenire solo dove non ha sufficiente spessore il quadro folclorico, legato al ciclo dell’anno agrario.
Ma ora il servizio di leva obbligatorio non c’è più….
.
.

IL MOSTRUARIO CARNEVALESCO

Scelta di base del mascherato è quella di apparire-diventare altro da sé e la forma animalesca è quella che ha più patenti diversità, specialmente se ibrida o addirittura animata da più persone per rendere la figura di quadrupedi, draghi, serpi…
L’animale ha oltre alla carica ferina, anche valenze diaboliche e del resto, quasi sempre, gli stessi esseri mitici avevano qualcosa di animalesco nel loro aspetto (corna, piedi…).
Per queste implicazioni, i guerrieri primitivi assumevano pure qualche elemento animalesco: pensiamo ai “guerrieri dalla pelle d’orso” seguaci di Odino, pensiamo ai cornuti elmi delle orde barbariche…
.
.

LAVORO COME SPETTACOLO

La festa è senz’altro anche volontà di liberarsi, una volta tanto, dal peso del quotidiano, voglia di correre ad una specie di Sabba collettivo e di arraffare quanto possibile dalle scorte accumulate.
Eppure non c’è effettiva contraddizione nelle forme inscenate sulla vita quotidiana e sul lavoro.
Intanto, secondo una credenza tradizionale, per propiziarsi l’anno nuovo, era uso che a Capodanno si facesse un po’ di tutto quello che si voleva-doveva fare lungo l’anno.
Nei tempi poveri, per mascherarsi si assumevano vecchie vesti della nonna e stracci d’ogni genere.
E già in ciò c’era una riassunzione del passato.
Ora tornano sempre più di moda le maschere “rievocative”, che rappresentano la vita di un tempo ed il lavoro compiuto con gli attrezzi dell’era preindustriale: come m un museo vivente.
E ciò non solo per una forma di esorcismo o in chiave autoironica, ma anche per una sorta di nostalgico affetto e con la volontà di indicare le radici della propria cultura materiale.
.
.

SATIRA DELLA SUPERSTIZIONE

Quando la satira è rivolta a fenomeni ancora vivi ed attuali, mostra un sua carica morale che non è invece affatto presente in queste scene, le quali denunciano un quadro di credenze ormai inesistenti, morte in forza dei profondi mutamenti sociali e della scolarizzazione.
Le maschere che rappresentano streghe, maghi, fantasmi e simili, riproducono infatti stereotipi ripescati non dalle credenze ataviche, ma da una tipologia standardizzata, ricavata da film e dalla stampa in genere.
.
.

SATIRA SOCIALE

Più colorita, e pertanto più risentita, è la satira sociale, rivolta a fatti politici dell’attualità, a personaggi della cronaca; a fenomeni più o meno contestati, e persino a concetti astratti personificati e visualizzati, come vizi ed errori dell’uomo o della società.
Fra i personaggi che hanno lunga tradizione, satirica, sono i soldati ed i preti.
Ne possiamo avere conferma da vecchie ordinanze che riguardano il fenomeno, oppure dai processi inquisitoriali, inoltre dal testo di Valentino Ostermann (La vita in Friuli, 1894).
.
.

LA FERTILITÀ

Quando la fertilità non è solo allusa, ma rappresentata con tutta evidenza, essa è generalmente emblematizzata con una donna incinta, con scene di parto, di allattamento, con falli variamente simboleggiati, o con l’enfatizzazione di quegli attributi che sono poi gli stessi sia per il sesso che per la maternità, ed in forza dei quali la donna tiene le fila della continuità della vita.
Il sesso, nella sua materialità liberata, non è qui neppure osceno, ma ha la naturalezza che hanno il cibarsi ed il compiere ogni altro atto elementare della vita.
.
.

TIRÀ LA TAE

Nella Val Canale, e fino a Pontebba, si pratica il rito del “trascinamento” del tronco (tirà la tae}, ben sramato e lisciato.
Un tempo il tronco si trascinava con la forza delle giovani braccia, poi con animali al traino, o su slittone in caso di suolo innevato.
Oggi il tronco viene caricato su carro o su trattore, naturalmente tutto infiorato e “travestito”, per essere esibito lungo le vie del paese.
Per questo si è finito col perdere il primitivo senso di quello strisciare-arare che faceva il tronco (tae) sul suolo delle vie.
Era un arare la strada, anzichè il campo, per sottolineare il senso di “aridità” da condannare, con una sottintesa sollecitazione alla “fertilità”.
Il trascinamento, ed oggi il trasporto, è accompagnato da rumori, canti e lazzi.
.
.

IL RITO DELLA DEVETIZA

Ogni ciclo festivo ha un periodo di preparazione: Natale è preparato dall’Avvento.
Il rito della Devetiza è un bell’esempio di trasposizione in àmbito popolare di contenuti squisitamente chiesastici.
Ovunque prima di Natale si fa un periodo di preghiere preparatorie, detto Novena di Natale (talvolta friulanizzato in Novele), ma nei paesi dell’alta Valle del Natisone ciò si trasforma in azione paraliturgica recitata.
Ogni sera, e per nove sere avanti il Natale, le donne, sensibili al sentimento di maternità, riproducono in forme processionali l’affannosa ricerca da parte di Maria e Giuseppe di un luogo dove sostare per il santo evento.
Per nove sere di seguito, dunque, si ripete un percorso precessionale a lume di candela: un piccolo presepe itinerante (anche un semplice quadro con la Sacra Famiglia) viene portato in una casa, dove la padrona lo riceve inginocchiata e con opportune parole di accoglimento; quindi viene deposto su un tavolo addobbato come altarolo, quindi le donne recitano il Rosario e cantano canti di circostanza.
La sera successiva il presepe viene trasferito in altra casa, sempre negli stessi modi, in un’atmosfera sacro-magica.
Dopo nove anni, altre nove famiglie avranno diritto di ospitare la Madonna, secondo un principio turnario.
.
.

PRESEPE A CIVIDALE

Il presepe più antico, più bello e prestigioso, che il Friuli possa vantare, è proprietà del Monastero Maggiore di Cividale, dove ogni anno le Madri Orsoline ne curano l’allestimento, usando le figurine antiche; ma sarebbe auspicabile che esso fosse attuato in modo permanente, ed in una apposita sala-museo.
Le figurine, infatti, modellate egregiamente in cera, alte da cm: 60 a 70 (salvo quattro più piccole e forse più antiche), portano vesti che sono la fedele miniaturizzazione di costumi popolari e borghesi del periodo tra ‘700-‘800.
Ogni esemplare è curato nei particolari, negli accessori, nelle bellissime stoffe.
Particolarmente pregevoli i fazzoletti bianchi, ricamati.
Sia le figure maschili che quelle femminili riproducono una gamma molto varia di tipi, con un ricco corredo oggettuale.
Pensiamo con ammirazione a quelle pazienti, ignote mani che lungo gli anni hanno preparato questo autentico patrimonio, nato da amore ed intelligenza osservatrice.