LA LUPA (Il tormento di un amore impossibile) – Gabriele Lavia (Trama e commento della novella di Giovanni Verga)

SHE WOLF a film by Gabriele Lavia - FILMEXPORT

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LA LUPA

GENERE: Drammatico
REGIA: Gabriele Lavia
SCENEGGIATURA: Gabriele Lavia
SOGGETTO: Liberamente tratto dalla novella di Giovanni Verga
FOTOGRAFIA: Mario Vulpiani
MONTAGGIO: Daniele Alabiso
MUSICHE: Ennio Morricone
PRODUZIONE: PIETRO INNOCENZI E ROBERTO DI GIROLAMO PER GLOBE FILMS S.R.L., PRODUCTION GROUP S.R.L.
DISTRIBUZIONE: 20TH CENTURY FOX – 20TH CENTURY FOX HOME ENTERTAINMENT
PAESE: Italia 1996
DURATA: 105 Minuti
FORMATO: Colore NORMALE A COLORI

ATTORI

Monica Guerritore, Raoul Bova, Alessia Fugardi, Giancarlo Giannini, Michele Placido, Lorenzo Lavia, Sebastiano Jacobello, Maurizio Nicolosi, Margherita Patti, Adelaide Alessi, Cinzia Marcoccio, Antonio Bellomo, Roberto Fuzio, Francesco Guzzo, Carlo Valli, Filippo Arriva

PREMESSA

In Italia, contemporaneamente al Naturalismo francese, si sviluppò sul finire del secolo un analogo movimento letterario e artistico che prese il nome di Verismo.
Se ne fa risalire concordemente l’inizio a una novella dello scrittore catanese Giovanni Verga, un bozzetto di vita siciliana intitolato “Nedda” (la vicenda di una povera raccoglitrice di olive, narrata secondo i canoni dell’impersonalità, cioè senza alcun intervento diretto da parte dell’autore, quasi che la vicenda si raccontasse da sé).
Al bozzetto, apparso nel 1874, seguirono le raccolte di “Vita dei campi” (1880) e di “Novelle rusticane” (1883), che coronano, con esiti di eccezionale validità poetica, il grande romanzo verghiano “I Malavoglia” (1881) e anticipano alcuni temi del secondo grande romanzo “Mastro don Gesualdo” (1888).
Il Verismo del Verga e quello dei numerosi altri scrittori che vi si cimentarono in quegli anni, come Luigi Capuana, Federico De Roberto, i napoletani Salvatore Di Giacomo e Matilde Serao, la sarda Grazia Deledda, ebbe una impronta decisamente meridionalista, aprendo il romanzo, e particolarmente il racconto breve, alla commossa e polemica disanima dei gravi problemi del nostro “profondo sud”, delle plebi meridionali abbandonate a se stesse, alla miseria, all’ignoranza, all’arretratezza sociale.
La novella non fu quindi soltanto una “fetta di vita”, un “documento” impersonale come una fotografia scattata sul mondo, o una generica satira d’ambiente.
Fu anche denuncia rivelatrice delle condizioni infelici di tanta parte del nostro paese; anche se poi, negli autori minori, cadde spesso nel bozzettistico, nel pittoresco, e se, nella lotta sociale che in quegli anni iniziava anche nel nostro paese (la fondazione del partito socialista italiano è del 1892), non seppe o non volle prendere posizione o indicare vie di riscatto, chiusa nel cupo fatalismo di una situazione che a questi scrittori, compreso il Verga, appariva in genere senza speranze.

Di Giovanni Verga, quale maggiore esponente della corrente del Verismo, ho scelto questo racconto: “La Lupa” da “Vita dei campi”, la più memorabile delle raccolte verghiane, pubblicata a Milano nel 1880 e alla quale appartengono altri pezzi famosi, come “Rosso Malpelo”…, “Cavalleria rusticana” (da cui l’autore trasse un dramma fortunatissimo, che diede inizio al teatro verista e fece il giro del mondo con la musica di Pietro Mascagni)…, “Jeli il pastore”…, “L’amante di Gramigna”.

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Monica Guerritore

 

TRAMA DEL FILM “LA LUPA”

In un villaggio sperduto dell’entroterra siciliano, il giovane Nanni, di ritorno dal servizio militare, si innamora dell’adolescente Maricchia e sogna di formare con lei una famiglia e avere della terra da coltivare. Maricchia, però, vive come emarginata perché figlia di Pina, una quarantenne ancora piacente, soprannominata “La Lupa” per la sue vorace e insaziabile passione sessuale: seduce tutti gli uomini del paese e, in particolare, non si fa scrupolo di stregare sia il rosso Malerba sia lo stesso parroco, Padre Angiolino. Pina inizia a corteggiare il giovane Nanni senza dargli tregua: lo segue per i campi sotto il sole durante la mietitura e gli si avvinghia addosso freneticamente per possederlo ad ogni costo, nonostante il giovane le resista, desiderando sposare Maricchia. Pina arriva a consentire alle nozze pur di non perdere il ragazzo e dona alla figlia il proprio abito nuziale e tutti i suoi averi, compreso il letto matrimoniale. Ma anche a nozze avvenute non smette di tentare di sedurre Nanni. Tutto il paese deplora il suo comportamento e l’innocente Maricchia, che nel frattempo ha avuto un figlio, viene coinvolta nello scandalo. Finché, colpito fortuitamente dal calcio di una mula, Nanni viene ridotto in fin di vita. Grazie alle cure amorose di Maricchia il giovane si riprende e, pentito, fa pubblica ammenda delle proprie colpe. Proprio in occasione della tradizionale processione di Santa Rosalìa, mentre Nanni corre affascinato a cercare qualcosa d’indispensabile che ha dimenticato e gli è necessario per la processione, ricompare Pina che lo travolge in un amplesso di inaudita violenza. Stravolto e fuori di sé, Nanni afferra una mannaia e uccide la donna.

Raul Bova

 

LA NOVELLA

*** Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna – e pure non era più giovane – era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.
Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai – di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all’altare di Santa Agrippina. Per fortuna la Lupa non veniva mai in chiesa, né a Pasqua, né a Natale, né per ascoltar messa, né per confessarsi. Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l’anima per lei.
Maricchia, poveretta, buona e brava ragazza, piangeva di nascosto, perché era figlia della Lupa, e nessuno l’avrebbe tolta in moglie, sebbene ci avesse la sua bella roba nel cassettone, e la sua buona terra al sole, come ogni altra ragazza del villaggio.
Una volta la Lupa si innamorò di un bel giovane che era tornato da soldato, e mieteva il fieno con lei nelle chiuse del notaro; ma proprio quello che si dice innamorarsi, sentirsene ardere le carni sotto al fustagno del corpetto, e provare, fissandolo negli occhi, la sete che si ha nelle ore calde di giugno, in fondo alla pianura. Ma lui seguitava a mietere tranquillamente col naso sui manipoli , e le diceva: – O che avete, gnà Pina? – Nei campi immensi, dove scoppiettava soltanto il volo dei grilli, quando il sole batteva a piombo, la Lupa affastellava manipoli su manipoli, e covoni su covoni, senza stancarsi mai, senza rizzarsi un momento sulla vita, senza accostare le labbra al fiasco, pur di stare sempre alle calcagna di Nanni, che mieteva e mieteva, e le domandava di quando in quando:
– Che volete, gnà Pina?
Una sera ella glielo disse, mentre gli uomini sonnecchiavano nell’aia, stanchi dalla lunga giornata, ed i cani uggiolavano per la vasta campagna nera: – Te voglio! Te che sei bello come il sole, e dolce come il miele. Voglio te!
– Ed io invece voglio vostra figlia, che è zitella – rispose Nanni ridendo.
La Lupa si cacciò le mani nei capelli, grattandosi le tempie senza dir parola, e se ne andò, né più comparve nell’aia. Ma in ottobre rivide Nanni, al tempo che cavavano l’olio, perché egli lavorava accanto alla sua casa, e lo scricchiolio del torchio non la faceva dormire tutta notte
– Prendi il sacco delle olive, – disse alla figliuola – e vieni con me.
Nanni spingeva con la pala le olive sotto la macina, e gridava «Ohi!» alla mula perché non si arrestasse. – La vuoi mia figlia Maricchia? – gli domandò la gnà Pina. – Cosa gli date a vostra figlia Maricchia? – rispose Nanni. – Essa ha la roba di suo padre, e dippiù io le do la mia casa; a me mi basterà che mi lasciate un cantuccio nella cucina, per stendervi un po’ di pagliericcio.
– Se è così se ne può parlare a Natale – disse Nanni.
Nanni era tutto unto e sudicio dell’olio e delle olive messe a fermentare, e Maricchia non lo voleva a nessun patto; ma sua madre l’afferrò pe’ capelli, davanti al focolare, e le disse co’ denti stretti:
– Se non lo pigli, ti ammazzo!

La Lupa era quasi malata, e la gente andava dicendo che il diavolo quando invecchia si fa eremita. Non andava più di qua e di là; non si metteva più sull’uscio, con quegli occhi da spiritata. Suo genero, quando ella glieli piantava in faccia, quegli occhi, si metteva a ridere, e cavava fuori l’abitino della Madonna per segnarsi. Maricchia stava in casa ad allattare i figliuoli, e sua madre andava nei campi, a lavorare cogli uomini, proprio come un uomo, a sarchiare, a zappare, a governare le bestie, a potare le viti, fosse stato greco e levante di gennaio, oppure scirocco di agosto, allorquando i muli lasciavano cader la testa penzoloni, e gli uomini dormivano bocconi a ridosso del muro a tramontana. In quell’ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona, la gnà Pina era là, sola anima viva che si vedesse errare per la campagna, sui sassi infuocati delle viottole, fra le stoppie riarse dei campi immensi, che si perdevano nell’afa, lontan lontano, verso l’Etna nebbioso, dove il cielo si aggravava sull’orizzonte.
– Svègliati! – disse la Lupa a Nanni che dormiva nel fosso, accanto alla siepe polverosa, col capo fra le braccia. – Svègliati, che ti ho portato il vino per rinfrescarti la gola.
Nanni spalancò gli occhi imbambolati, tra veglia e sonno, trovandosela dinanzi ritta, pallida, col petto prepotente, e gli occhi neri come il carbone, e stese brancolando le mani.
– No! non ne va in volta femmina buona nell’ora fra vespero e nona! – singhiozzava Nanni, ricacciando la faccia contro l’erba secca del fossato, in fondo in fondo, colle unghie nei capelli. – Andatevene! andatevene! non ci venite più nell’aia!
Ella se ne andava infatti, la Lupa, riannodando le trecce superbe, guardando fisso dinanzi ai suoi passi nelle stoppie calde, cogli occhi neri come il carbone. Ma nell’aia ci tornò delle altre volte, e Nanni non le disse nulla. Quando tardava a venire anzi, nell’ora fra vespero e nona, egli andava ad aspettarla in cima alla viottola bianca e deserta, col sudore sulla fronte; e dopo si cacciava le mani nei capelli, e le ripeteva ogni volta:
– Andatevene! andatevene! Non ci tornate più nell’aia!
Maricchia piangeva notte e giorno; e alla madre le piantava in faccia gli occhi ardenti di lagrime e di gelosia, come una lupacchiotta anch’essa, allorché la vedeva tornare da’ campi pallida e muta ogni volta.
– Scellerata! – le diceva. – Mamma scellerata! – Taci!
– Ladra! ladra! – Taci!
– Andrò dal brigadiere, andrò! – Vacci!
E ci andò davvero, coi figli in collo, senza temere di nulla, e senza versare una lagrima, come una pazza, perché adesso l’amava anche lei quel marito che le avevano dato per forza, unto e sudicio delle olive messe a fermentare.
Il brigadiere fece chiamare Nanni; lo minacciò sin della galera e della forca. Nanni si diede a singhiozzare ed a strapparsi i capelli; non negò nulla, non tentò di scolparsi.
– È la tentazione! – diceva – è la tentazione dell’inferno!
Si buttò ai piedi del brigadiere supplicandolo di mandarlo in galera.
– Per carità, signor brigadiere, levatemi da questo inferno! fatemi ammazzare, mandatemi in prigione; non me la lasciate veder più, mai! mai!
– No! – rispose invece la Lupa al brigadiere – io mi son riserbato un cantuccio della cucina per dormirvi, quando gli ho data la mia casa in dote. La casa è mia. Non voglio andarmene.
Poco dopo, Nanni s’ebbe nel petto un calcio del mulo, e fu per morire, ma il parroco ricusò di portargli il Signore se la Lupa non usciva di casa. La Lupa se ne andò, e suo genero allora si poté preparare ad andarsene anche lui da buon cristiano; si confessò e cominciò con tali segni di pentimento e di contrizione che tutti i vicini e i curiosi piangevano davanti al letto del moribondo. E meglio sarebbe stato per lui che fosse morto in quel giorno, prima che il diavolo tornasse a tentarlo e a ficcarglisi nell’anima e nel cuore quando fu guarito.
– Lasciatemi stare! – diceva alla Lupa – per carità, lasciatemi in pace! Io ho visto la morte cogli occhi! La povera Maricchia non fa che disperarsi. Ora tutto il paese lo sa! Quando non vi vedo è meglio per voi e per me…
Ed avrebbe voluto strapparsi gli occhi per non vedere quelli della Lupa, che quando gli si ficcavano ne’ suoi gli facevano perdere l’anima ed il corpo. Non sapeva più che fare per svincolarsi dall’incantesimo. Pagò delle messe alle anime del Purgatorio, e andò a chiedere aiuto al parroco e al brigadiere. A Pasqua andò a confessarsi, e fece pubblicamente sei palmi di lingua a strasciconi sui ciottoli del sacrato innanzi alla chiesa, in penitenza – e poi, come la Lupa tornava a tentarlo:
– Sentite! – le disse – non ci venite più nell’aia, perché se tornate a cercarmi, com’è vero Iddio, vi ammazzo!
– Ammazzami, – rispose la Lupa – ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci.
Ei come la scorse da lontano, in mezzo a’ seminati verdi, lasciò di zappare la vigna, e andò a staccare le scure dall’olmo. La Lupa lo vide venire, pallido e stralunato, colla scure che luccicava al sole, e non si arretrò di un sol passo, non chinò gli occhi, seguitò ad andargli incontro, con le mani piene di manipoli di papaveri rossi, e mangiandoselo con gli occhi neri. – Ah! malanno all’anima vostra! – balbettò Nanni.

COMMENTO

“La Lupa” mostra in modo impressionante l’evoluzione compiuta, nel genere letterario della novella, dal tema dell’amore, della passione, che era sempre stato congeniale a Giovanni Verga, il più delle volte affrontato con taglio di farsa maliziosa, talvolta con taglio tragico; o, come, dai romantici, con tono sentimentale, lacrimevole.
Qui, nel Verga, il tema è ricondotto a una sensualità primitiva, sullo sfondo di una natura spietata – i campi aridi, bruciati dal sole, affogati nella calura – dove le passioni si esercitano – con irreprimibile violenza, fatali come nella tragedia antica.
Si noti come l’ambiente, scartata ogni determinazione di luogo e di tempo, sia posto in evidenza, fin dalle prime righe, dal linguaggio, dall’impasto verbale: “era pallida come se avesse sempre addosso la malaria” (il malanno tipico allora delle pianure siciliane)…, “due occhi grandi così”…, “delle labbra… che vi mangiavano”…, e più oltre: “le donne si facevano la croce”…, “si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio”…, “quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all’altare di Santa Agrippina”…, ecc.
Un italiano, insomma, antiletterario, desunto da locuzioni e costrutti dialettali, mentre la narrazione, secondo il canone verista della “impersonalità”, è condotta come da un popolano del luogo che si rivolga a compaesani, senza compiacenze di alcun genere, con una partecipazione che nasce dai fatti, dalle cose…, e il finale precipita rapidamente nella tragedia con appena pochi tratti di colore.

Nella raccolta di novelle “Vita dei campi” (1880), si ha la prima realizzazione piena del verismo. In esse vi è la scelta degli uomini come protagonisti, il paesaggio duro e assolato della campagna siciliana, la ricerca di un linguaggio vicino alla parlata popolare e di uno stile rapido e incisivo, fatto di frasi brevi che scandiscono i fatti in modo netto e drammatico. Quello che Verga rappresenta è un mondo primitivo, dai bisogni elementari, in cui i personaggi provano passioni violente e hanno caratteri forti e ruvidi come la terra in cui vivono, quasi fossero essi stessi parte della natura che li circonda e avessero caratteristiche vicine a quelle degli animali. È un’umanità che vive secondo natura, seguendo ritmi primordiali e perenni in cui, come nella natura, tutto si ripete sempre uguale ed è legato ad un destino immutabile. Come la natura, anche l’umanità soggiace a leggi naturali e questa condizione non ha nulla di idillico, ma comporta fatica, sofferenza, lotta quotidiana. Queste caratteristiche sono tutte presenti ne La Lupa, uno dei primi di questi racconti.
Ne è protagonista un’insolita figura di donna una contadina forte, rude e nello stesso tempo sensuale, che presa dalla passione per un uomo più giovane di lei, gli dà in sposa sua figlia pur di stargli vicino.
Egli è quasi costretto dalla forza diabolica della donna; così, nonostante i violenti rimorsi nei confronti della moglie e il proposito di liberarsi della Lupa uccidendola, continua ad essere perseguitato e soggiogato dalla terribile seduzione che ella esercita.
Come spesso in Verga, la protagonista è un’esclusa, un’emarginata dalla comunità degli uomini per la violenza quasi animalesca con cui vive le sue passioni (caratteristiche ferine sono presenti nel suo nome, nei particolari fisici della sua persona, nei suoi gesti forti e rudi). I suoi sentimenti si traducono In sensazioni fisiche, che si sentono nella carne, e ciò è anche sottolineato dalla durezza del paesaggio circostante, arso dal sole come l’animo della donna è bruciato dal desiderio. La Lupa non può sottrarsi alla forza dell’istinto, così come l’uomo non può vincere la tentazione infernale che lei rappresenta. Come sempre avviene nel mondo verghiano, i personaggi sono ineluttabilmente soggetti ad un destino a cui non possono ribellarsi.
Dal punto di vista stilistico, nella novella si alternano elementi descrittivi molto scarni e rapidi con battute di dialogo brevi e lapidarie, nelle quali si sente l’influenza del dialetto e che hanno anch’esse l’essenzialità dei gesti elementari.

* La Lupa: dietro la parola, sta forse anche la reminiscenza latina di lupa, che significa la bestia, ma anche la donna di malaffare (col suo derivato lupanare, che è rimasto a indicare la casa di tolleranza).

* La forza sensuale della donna è vista con la superstiziosa paura del contadino, che dietro la femmina scorge satana: una potenza contro la quale non c’è nulla che valga.

* Molto suggestiva l’immagine finale della donna con in mano un fascio di papaveri rossi, forse simbolo della sua perversità (il papavero è un fiore velenoso), forse del sangue che di lì a poco ella avrebbe versato colpita dalla scure di Nanni.
Ma Verga lascia nell’ambiguità il finale della novella.

COSÌ LA CRITICA AL FILM

“Al suo quarto lungometraggio, l’attore-regista punta su uno spettacolo a forti tinte, scandito dalle sonorità colorite di un dialetto un po’ addomesticato, illuminato da una fotografia quasi western, eroticamente esplicito. Gli interpreti, da questo punto di vista, si intonano decorosamente al registro realistico scelto da Lavia: Giancarlo Giannini è l’indifeso prete peccatore, Michele Placido il sanguinoso Malerba con sigaro e bombetta, Alessia Fugardi l’infelice figlia, Raoul Bova il gagliardo Nanni mangiato con gli occhi dalla donna.” (Michele Anselmi, ‘L’Unità’, 26 settembre 1996)

NOTE:

Consulente per i dialoghi in siciliano: Filippo Arriva.
Gli esterni del film sono stati girati a Vizzini, in provincia di Catania.
Revisione Ministero dicembre 1995.
Questo film ha ottenuto il riconoscimento di “film di interesse culturale nazionale” dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento dello Spettacolo. (fonte “RdC Cinematografo.it”)

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VEDI ANCHE . . .

GIOVANNI VERGA – Vita e opere

I MALAVOGLIA – Giovanni Verga

LA LUPA – Gabriele Lavia (Trama e commento della novella di Giovanni Verga)

LIBERTÀ – Giovanni Verga

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 Blog Cinetramando trasferito in Blog pociopocio.altervista

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