RIVOLUZIONE FRANCESE – LA FRANCIA DI LUIGI XVI

LA FRANCIA DI LUIGI XVI

All’inizio della seconda metà del secolo XVIII venne a mancare in Francia una guida politica sicura. Infatti, negli ultimi anni del suo regno, Luigi XV prese sempre meno parte all’attività di governo, lasciando che se ne occupasse il figlio. Questi, dal 1757, presenziò ai Consigli e avrebbe probabilmente assicurato alla Francia una guida politicamente capace e attiva, ma nel 1765 morì. Pertanto, nel 1774, toccò al suo giovane figlio di succedere al nonno. Quando fu incoronato, Luigi XVI aveva vent’anni ed era privo di qualsiasi esperienza di governo.
Non era pertanto nelle condizioni di poter garantire alla Francia una guida politica sicura e autorevole. Il Paese si trovava inoltre in gravissime difficoltà finanziarie. La gravità stava non tanto nell’ammontare del debito pubblico, quanto nell’incapacità di risolvere il problema del crescente disavanzo.
Nei decenni precedenti le spese del governo erano andate aumentando e le fonti abituali del reddito non erano più in grado di sostenere lo sforzo bellico.
Nel 1787, alla fine della guerra di indipendenza americana (la partecipazione alla guerra aveva causato alla Francia ingenti perdite finanziarie) il deficit era sempre più ingente. La Francia rimaneva tuttavia uno Stato ricco e potente, che contava circa 26 milioni di abitanti, sostenuto da un’economia piuttosto florida.
Negli ultimi decenni si era avuto un notevole sviluppo industriale e commerciale: la borghesia mercantile e imprenditoriale era prospera e anche la classe contadina godeva in genere di maggior floridezza che in qualsiasi altro Paese d’Europa (i contadini possedevano i due quinti della terra e la sfruttavano interamente). Ma, a partire dagli anni Settanta, l’asprezza della crisi finanziaria, accompagnata dal crescente malcontento delle masse rurali, colpite da una politica favorevole ai ceti urbani, alimentarono i fermenti di rivolta che dovevano poi sfociare in aperta rivoluzione. Se le imposte fossero state proporzionali al reddito, il maggiore onere fiscale sarebbe ricaduto sulla classe privilegiata. Invece le imposte dirette e indirette colpivano soprattutto i contadini-proprietari e le classi urbane meno abbienti, mentre i nobili, il clero e i detentori di cariche erano esenti da imposte. Pertanto, in un Paese in cui circa mezzo milione di persone, che costituivano la minoranza privilegiata dei detentori del potere politico, erano esentate dal pagamento delle tasse, lo sviluppo economico non poteva non risultare squilibrato e il clima sociale e politico generale del Paese non poteva non essere potenzialmente esplosivo.

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Ritratto di Luigi XVI, re di Francia e Navarra, con indosso gli abiti dell’incoronazione (olio su tela dipinto da Joseph-Siffred Duplessis, molto probabilmente intorno al 1777).

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Sopravviveva la tradizionale struttura giuridica basata sulla divisione in tre classi o “stati”: clero, nobiltà, terzo stato, che riconosceva ai primi due (circa mezzo milione di persone) particolari privilegi. Inoltre, la composizione sociale dei due “stati” che costituivano la classe dominante era resa omogenea dal fatto che pressoché tutte le più alte cariche della gerarchia ecclesiastica erano detenute da aristocratici. All’epoca di Luigi XVI tutti i vescovi appartenevano alla nobiltà, mentre altri membri delle stesse famiglie detenevano il monopolio delle più importanti cariche dell’amministrazione pubblica e dell’esercito. Nonostante il permanere degli antichi privilegi, grandi ricchezze si erano andate accumulando nelle mani di un nuovo ceto composto da mercanti, imprenditori, armatori, funzionari e professionisti, principali protagonisti di quel nuovo fenomeno di mobilità sociale, che cominciava a incrinare il tradizionale immobilismo delle caste. Mentre l’alto clero, espresso dalla nobiltà di corte, si era ulteriormente arricchito grazie ai vasti possedimenti terrieri di cui disponeva (un sesto dell’intera superficie coltivata), il basso clero si era invece impoverito. Altrettanto era avvenuto nell’ambito della classe nobiliare: all’alta nobiltà, che in certe zone possedeva oltre la metà delle terre, e che si era ulteriormente arricchita in seguito a legami stipulati con grandi finanzieri, si contrapponeva la condizione dei nobilotti di provincia, gli “hoberaux”, molti dei quali risultavano più poveri degli stessi contadini, per cui l’unica loro ricchezza consisteva nell’orgoglio di appartenere a una casta chiusa. Più considerevoli erano i mutamenti avvenuti nell’ambito del “terzo stato”, di cui facevano parte tutti coloro che non appartenevano né al clero né alla nobiltà. Esso costituiva una grande piramide, al cui vertice stavano i ricchi mercanti, industriali e finanzieri e alla base il proletariato industriale e agricolo. Date le esenzioni fiscali di cui godevano clero e nobili, l’onere di provvedere alle spese dello Stato ricadeva, come ho già sottolineato, sulla borghesia urbana e sugli agricoltori più agiati, ossia sulla classe esclusa dalla gestione del potere politico.

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Luigi XVI re di Francia e Navarra (1754-1793)
indossando il grande costume reale nel 1779
Antoine-François Callet (1741–1823)
Reggia di Versailles, Parigi
Olio su tela cm 278 x 196

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