ILLUMINATIONS – Arthur Rimbaud

ILLUMINATIONS

Le Illuminations vengono a costituire un episodio indubbiamente diverso dalla Saison en enfer. Si tratta dell’autentico capolavoro del poeta di Charleville, Arthur Rimbaud; l’opera nella quale trova un punto di piena continuità, di sviluppo verso un senso di ineffabile visionarietà, la sua più importante e innovatrice produzione di versi. Un’opera certamente meno drammatica, violenta, complessa e tormentata della Saison, un’opera nella quale prevale un senso di libera, calma contemplazione, nel quasi totale abbandono della poesia in versi (del resto già registrato nella Saison), ormai inadeguata nelle sue strutture fisse all’esigenza di libertà stilistica di Rimbaud, proteso verso un’assoluta autonomia e scioltezza d’associazioni nelle immagini. Le Illuminations approfondiscono e continuano in questo senso il lavoro già compiuto dal poeta nelle poesie del 1872, segnate appunto da un gioco di liberi accostamenti d’immagini, di effetto ermetico. E del resto l’esigenza stessa del contenuto, in questi testi, a determinare in modo assolutamente necessario la scelta della prosa poetica, della breve prosa poetica, dell’illuminazione. Va ricordato che Paul Verlaine avanzò l’interpretazione che Illuminations fosse in effetti termine inglese, avente il significato di “stampe a colori”, o di miniature; insomma di coloured plates. In francese,
però, l’equivalente sarebbe enluminures, per cui, tra le diverse possibilità che si possono avanzare a questa ennesima necessità di chiarimento, é quella di un gioco di ambiguità, voluto evidentemente dall’autore, tra il senso francese di illuminations e il diverso senso della stessa parola nella lingua inglese. Al di là di questi problemi, che comunque sia rimangono decisamente marginali – cosi come non decisiva appare la collocazione. dell’opera nel periodo posteriore o anteriore la Saison (un certo accavallamento, peraltro, dovette indubbiamente esserci nella stesura dei due diversi testi), dato anche il carattere più decisamente e volutamente frammentario delle Illuminations, rispetto alla maggiore omogeneità o unitarietà di progetto della Saison – questi poemetti in prosa si presentano come una vertiginosa serie di osservazioni, in cui predomina il carattere visivo, secondo uno schema che varia dalla visione puramente fantastica, alla narrazione di tipo allegorico-allusivo, alla riflessione (sempre in grado di comunicare una notevole tensione emotiva) sul concetto di veggente e sulle sue possibilità di realizzarsi. Predomina quindi un’atmosfera di allucinazione, di magica evocazione, di superamento netto e spontaneo del dato reale, nell’utilizzazione quasi sistematica dei procedimenti analogici e sinestetici.
Importante, per dissipare ogni sorta di equivoci attorno alla lettura delle Illuminations, è non cercare ovunque significati riposti dietro le immagini, messaggi camuffati dalle visioni che si susseguono secondo un’impressione fasulla (o ammissibile solo a una primissima lettura) di gratuità. Il procedimento, insomma, é assolutamente necessario, ancorché spontaneo (almeno in apparenza) e le possibilità di significazione pressoché infinite che si intravedono dietro la sua capacità di catturare immagini affascinanti e spesso misteriose (che intendono opporsi alla chiarezza insufficiente di una realtà oramai rifiutata, per giungere alla frequentazione di un mondo ignoto e manifestantesi attraverso l’evidenza delle immagini, delle visioni, delle allucinazioni o dello stravolgimento totale della realtà operato da Rimbaud) che possono colpire, sorprendendolo e disorientandolo, il lettore, costituiscono uno dei pregi evidenti delle Illuminations. Si potrebbe anzi aggiungere, precisando, che il maggior pregio di questi poemetti in prosa (quanto meno per quelli contraddistinti da una più evidente, assoluta purezza e anche da un procedere più ardito e libero) consiste proprio nel rifiuto dell’abituale stratificazione di significati .tipica della poesia e anche della più grande; del suo presentarsi più tradizionale, insomma, in un intrico di messaggi impliciti comunque propensi ad una necessaria, per quanto sempre parziale decifrazione. Tutto ciò per il proporsi di questi testi nella loro piena autonomia, nella loro disarmante bellezza naturale che rifiuta, per paradosso, la molteplicità d’interpretazioni cui molti, volonterosamente, si sono dedicati. Rivelazioni, quindi, che tendono ad oltrepassare l’ordine logico dei nessi e i caratteri consueti di una cultura, per offrirsi, tali e quali, nella loro presenza ineffabile e affascinante. Ne deriva, pertanto, l’inutilità del commento, la vacuità, l’ingenuità o viceversa la presunzione di ogni interpretazione critica. Quanto meno per le composizioni contraddistinte da una maggiore o integrale radicalità del procedimento. Altrove é invece l’autore stesso che fornisce ampi spunti alla lettura: “La vision s’est rencontrée à tous les airs”, o ancora: “Je suis un inventeur bien autrement méritant que tous ceux qui m’ont précedé; un musicien même, qui ai trouvé quelque chose comme la clef de l’amour”. Oppure, tornando all’evidenza di dati biografici imprescindibili: “Dans un grenier où je fus enfermé a douze ans j’ai connu le monde, j’ai illustré la comédie humaine”.Insomma, si conferma nel modo più pieno la netta superiorità della poesia rispetto all’operazione critica che, qui, soprattutto, rischia lo smacco a ogni tentativo. Ciò che comunque torna ad affiorare e che spiega pienamente il successo e il profondo interesse suscitato da Rimbaud nel pubblico e anche e non di meno, a volte, nel pubblico più vasto e quindi non già corrotto da un’abituale frequentazione delle cose letterarie, é certamente, ricordando una frase di uno dei critici più acuti e attenti di Rimbaud, Yves Bonnefoy, ciò che rende questa poesia non già “una fantasticheria in più nella storia dell’Occidente, ma (…) un’esperienza morale”. E qui si prepone pienamente l’immagine di un Rimbaud sicuramente, intimamente, convinto della superiorità della vita sulla letteratura e quindi della necessita, per la sopravvivenza della seconda, di un magico momento in cui si attui un ideale coincidere delle due esperienze. Poi, é inevitabile, viene il quasi ormai banale discorso dell’abbandono della letteratura, avvenuto quando Rimbaud non aveva che vent’anni e si preparava ormai, certo più trascinato dalle cose che da una precisa, drastica volontà, a un’esistenza avventurosa e terribile, durata ancora diciassette anni e conclusasi tragicamente. Ma, va ricordato, Rimbaud aveva forse in animo un ritorno allo scrivere e alla letteratura. Ritorno che, anche come possibile intenzione latente, rientra del tutto nel campo delle ipotesi e che fu appunto reso impossibile dalla prematura morte del poeta, preceduta, nel suo momento di maggiore sofferenza, da un’ulteriore dimostrazione di rigida e ottusa severità da parte della madre. Si ricordi, a questo proposito, una lettera di Isabella (Rimbaud alla madre, scritta il 22 settembre del 1891, neppure due mesi prima della morte e pochi mesi dopo l’amputazione subita dal poeta, cui la madre prestò assai fredda e rapida assistenza, lasciandolo solo dopo pochi giorni: “Ti siamo forse diventati antipatici, al punto che tu non voglia più scrivermi, né rispondere alle mie domande? Oppure sei malata? (…) Benché la cosa mi sembri lasciarti alquanto indifferente, sono costretta a dirti che Arthur è molto malato”. L’ennesima conferma, insomma, dell’importanza fondamentale, nella vita e quindi nell’opera del grande poeta francese, dei propri difficili, dolorosissimi rapporti con la madre. Resta evidente, comunque, che la leggenda o la realtà del periodo africano di Rimbaud e del suo abbandono dell’attività letteraria costituiscono qualcosa che nulla può dirci di più, in fondo, circa la sua opera poetica, ma che inevitabilmente finiscono col condizionarne il giudizio, col rendere più inquietanti certi interrogativi. Ciò che resta, comunque, è di fatto la straordinaria, radicale novità della proposta di Rimbaud, pervenuta, nella fulmineità del suo svolgersi, al superamento e al rifiuto di un concetto troppo spesso vano o convenzionale di letteratura, proprio attraverso la poesia (e oltre la poesia), recuperata e intesa come ideale, impareggiabile ma non di meno assai fragile strumento e non agevole percorso di liberazione e conoscenza.

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