HOOK – CAPITAN UNCINO – Steven Spielberg

HOOK – CAPITAN UNCINO

Titolo originale – Hook
Genere – Commedia, fantastico, avventura, drammatico
Regia – Steven Spielberg
Soggetto –  James V. Hart, Nick Castle, tratto da opere e libri di James Matthew Barrie
Sceneggiatura – James V. Hart, Malia Scotch Marmo
Produttore – Kathleen Kennedy, Frank Marshall, Gerald R. Molen
Produttore esecutivo – Dodi Fayed, James V. Hart
Casa di produzione – Amblin Entertainment, TriStar Pictures
Distribuzione in italiano – Columbia TriStar Films
Fotografia – Dean Cundey
Montaggio – Michael Kahn
Effetti speciali – Eric Brevig, Harley Jessup, Mark Sullivan, Michael Lantieri
Musiche – John Williams
Scenografia Norman Garwood, Thomas E. Sanders, Garrett Lewis
Costumi – Anthony Powell
Trucco – Christina Smith, Greg Cannom, Monty Westmore
Paese di produzione – Stati Uniti d’America
Anno 1991
Durata 142 minuti

Interpreti e personaggi

Robin Williams: Peter Banning / Peter Pan
Dustin Hoffman: Capitan Uncino
Julia Roberts: Trilli
Bob Hoskins: Spugna, spazzino
Maggie Smith: Wendy Darling
Charlie Korsmo: Jack Banning
Caroline Goodall: Moira Banning
Dante Basco: Rufio
Amber Scott: Maggie Banning
Jasen Fisher: Ace
Arthur Malet: Tootles
Gwyneth Paltrow: Wendy Darling da giovane

Doppiatori italiani

Marco Mete: Peter Banning / Peter Pan
Ferruccio Amendola: Capitan Uncino; capitano dell’aereo
Cristina Boraschi: Trilli
Michele Gammino: Spugna, spazzino
Maria Pia Di Meo: Wendy Darling
Simone Crisari: Jack Banning
Stefanella Marrama: Moira Darling~Banning
Corrado Conforti: Rufio
Perla Liberatori: Maggie Banning
Francesco Pezzulli: Peter Pan da giovane
Vittorio Stagni: Tootles

Peter Banning è un avvocato americano di mezza età, sposato e con due figli piccoli. È orfano e fu raccolto a suo tempo da Wendy Darling, nonna di sua moglie, che vive ormai vecchissima a Londra. E proprio lì l’intera famiglia sta per recarsi dopo dieci anni. Peter ha paura dell’aereo, non ha molto tempo per i figli ed è succube del suo lavoro, ma si mette in viaggio. Una volta a Londra, i suoi figli vengono rapiti durante la notte da Capitan Uncino, entrato dalla finestra, che gli lascia un minaccioso messaggio di sfida. La vecchia Wendy allora deve rivelargli la verità: Banning é Peter Pan. Stanco di rimanere solo mentre tutte le persone amate – a cominciare da Wendy – invecchiano, Peter un giorno decise di legarsi alla nipote di questa (la donna che oggi é sua moglie) e di rinunciare alla propria eterna fanciullezza. L’avvocato non crede alle proprie orecchie, ma dal cielo arriva Campanellino, la celebre farina sua amica, a convincerlo di seguirla in cielo, nell’isola-che-non-c’è: i suoi figli sono là prigionieri del perfido Uncino, il quale lo attende per la battaglia decisiva.

Giunto all’isola, Peter affronta il pirata, ma, ben poco convinto di essere Peter Pan, viene liquidato come un impostore. Lo salva Campanellino, che strappa a Uncino tre giorni per riportare Peter alla forma di sempre. Ma anche presso il gruppo dei Bambini Perduti le cose non vanno meglio:  Peter non assomiglia certo al Peter Pan che loro ricordano e soltanto dopo molte beffe e umiliazioni viene riconosciuto. Dopo una serie di esercizi per ritornare in forma, Peter comprende finalmente il segreto per poter volare ancora: avere un pensiero felice, e quel pensiero non possono essere altro che i suoi figli. Ma nel frattempo Uncino ha divisato con il nostromo Spugna un perfido piano: accaparrarsi l’affetto dei figli di Peter per umiliarlo in modo definitivo. La bambina capisce subito la trama e rifiuta, ma il piccolo Jack si lascia irretire dal pirata che gli dice quanto i figli siano in fondo un peso per i genitori, che non a caso spesso li trascurano.

Peter ha ormai imparato a usare la propria fantasia e con i Bambini Perduti va all’artacco di Uncino e della sua ciurma. La battaglia infuria sul ponte della nave e un fido aiutante di Peter morirà per mano del bucaniere. Peter allora, dopo aver messo in salvo i suoi figli, affronta in duello il pirata che, dopo una serie di colpi mancini, cadrà vittima dell’enorme statua del coccodrillo che un tempo gli aveva mangiato la mano. Peter e i ragazzi ritornano volando a casa, dove la moglie e la nonna li aspettano.

Fonte video: YouTube – ciaocato

COMMENTO

La pellicola è probabilmente la più accorata dichiarazione cinematografica mai fatta da Spielberg sul dolore e la tristezza dell’invecchiare (di qui, fra l’altro, la confessata idiosincrasia per gli orologi in tutto il film). Non è tuttavia, un’opera triste, ma molto pensosa e accorata nella quale il regista riflette su come sia facile dimenticare tutta l’innocenza e lo stupore che ci appartenevano in anni migliori e spensierati, su come e inevitabile perdere il senso del magico che e prerogativa dei primi anni della nostra vita. E per questo che fintantoché Peter Banning non rientra nel personaggio di Peter Pan la pellicola regge bene. Il passato vi affiora lentamente, come con microscopici segni di dejà vu, suggestioni inafferrabili che premono alla porta di un’età del tutto dimentica e prosaica. L’incanto, sia dolce che pauroso, del tempo dimenticato si sposa a quel penchant per la serialità che pare ormai proprio una caratteristica di Spielberg e degli amici che fanno cinema con lui (Lucas, in primo luogo).
Esclama nonna Wendy dopo il rapimento dei bambini: “Uncino è tornato!”, e noi cogliamo in quelle parole il senso di un ciclo perpetuo, l’entrata in scena di una vecchia conoscenza, un passato che si ripropone e che, almeno implicitamente, minaccia di essere senza sosta, di incombere per sempre. Lo spaesamento di Banning è anche il nostro, le beffe alla sua maturità colpiscono anche noi: il film insomma coglie nel segno. È la metafora del volo che non si riesce a recuperare e bella e importante perché non solo rientra perfettamente nella logica della storia, ma contribuisce a chiarire la centralità e forse persino il significato del tema nell’intero cinema di Spielberg.
Quando pero l’avvocaro si fa bambino, quando scherza scioccamente con Campanellino (che invece é molto preoccupata della situazione), quando volteggia e schizza di dolci variopinti i Bambini Perduri fingendo con loro che la tavola sia veramente imbandita, allora qualcosa non funziona. Spielberg ha scelto di proposito l’attore più folletto del cinema americano, Robin Williams, e Williams si prodiga nel giocare (e il verbo giusto) un ruolo a lui da sempre congeniale. Ma qui non e questione di capacità artoriali, il problema è che il mondo dell’infanzia può attrarre davvero soltanto dei bambini, e perchè esso possa parlare anche agli adulti é necessario provare l’opporruna traduzione di quello stato e di quell’idea in termini che anche questi ultimi possano sentire e soffrire.
Tutti soffriamo della nostra riduzione (o mancanza) di fantasia, ma nessuno di noi si sente in perdita se non ha voglia di imbrattare di gelato e di crema i propri amici. Il mondo di Spielberg diventa dunque un kindergarten senza maestre e assistenti, cioé a dire il regno del caos. Ma, ahimè, la fantasia, quella vera (cioé quella infantile), è molto più di questo: é invenzione, è creatività,  è genialità. Nelle frasi scimmiottate e strampalate, nei balzi e nelle urla del gruppo dei Bambini Perduti con Peter in prima fila, tutto questo non emerge affatto, e l’infanzia sembra proprio quell’età alla quale gli adulti guardano giustamente con fastidio o, al meglio, con un sorrisetto di compatimento. Forse è per questo che più d’una volta Spielberg sente la necessita d’irreggimentare il riottoso gruppo attraverso delle vere e proprie puntate nel genere del musical, un ambito, del resto, col quale aveva occasionalmente flirtato sia all’inizio di Indiana Jones e il tempio maledetto sia nell’intero straniato e quasi onirico impianto di colore viola.

Eppure, quanta nostalgia vera, sentita, genuina in questo film che procede inesorabilmente verso una direzione sbagliata. Spielberg vi dispiega la sua solita visione dello spettacolo come “parco dei divertimenti”: i pirati obbediscono alla nozione oleografica dispiegata nella famosa attraction di Disneyland, il covo dei Bambini Perduti ha qualcosa dell’archeologia selvaggia della saga di Indiana Jones, l’intera isola rimanda al theme park del mago di Burbank, alle sue false giungle, alle sue acque fantasiose, alla sua dettagliata realizzazione delle più romanzesche pulsioni oniriche.

Ma Spielberg non resiste e strizza l’occhio al contemporaneo: i suoi Bambini Perduti rispecchiano un’impeccabile political correctness, non sono solo wasp, ma anche asiatici, neri, persino ispanici (o comunque di chiara origine latina), e li vediamo correre e volteggiare sui loro skateboards come consumati spiaggiaioli di Venice, Los Angeles, o ballare dimenandosi nel più aggiornato stile hip-hop. Che peccato! Peccato che nel mito, per definizione senza età, Spielberg abbia infilato elementi così effimeri e caduchi, peccato che abbia ridotto la storia di Peter Pan, la sua gloria e il suo fascino, a tale pesante, marcata epocalità, a tale vuoto omaggio a mode e costumi del tutto trascurabili. Peccato che l’allenamento di Peter Banning per tornare ad essere Peter Pan assomigli pin a uno stage di trekking che a un’avventura per riguadagnare la propria infanzia. Peccato che nel finale il regista non ci risparmi il “messaggio dell’autore”, quando in risposta alla quieta tristezza della nonna sulla fine delle sue avventure, Peter risponde: “Oh no, vivere può essere un’avventura straordinaria!”.
Ecco, avevamo proprio bisogno di questa chiarificazione per poter tornarcene contenti a fare gli adulti. In realtà il vero bambino qui è l’eroe titolare, quel Capitan Uncino che, come gli ripete la figlia di Peter, sarà anche un poveraccio perché non ha la mamma, ma almeno ha la dignità di non fingere una purezza cosi scioccherella che di essa si può tranquillamente fare a meno. Lo dice qualcuno nel film stesso: che cosa sarebbe un mondo senza Uncino? Vero, e c’è anche da chiedersi che cosa sarebbe stato Hook senza Hook.

Il soggetto che in tutta la sua carriera Spielberg ha più d’ogni altro sognato di girare e quello che in filigrana (e talvolta in modo evidente) percorre l’intero suo cinema, quello di Peter Pan. Vale a dire quello dell’eterna giovinezza, dell’adolescenza trattenuta e nutrita, della fantasia infantile che non rinuncia a se stessa e che non accetta alcun compromesso con l’eta che incalza e con ciò che questa si porta dietro obbligandoci a diventare diversi da quelle che sappiamo essere le nostre origini, le nostre radici, la nostra vocazione di esseri liberi, spensierati e felici: questo è il tema di Barrie e questo è il tema di Spielberg.

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