LA PACE – Aristofane

LA PACE 

Aristofane

Personaggi

Trigeo
Ermes
Ierocle
Due servi di Trigeo
Due figlie di Trige
Polemos, dio della guerra
Il dio della mischia
Un fabbricante di falci
Un mercante d’armi
Due ragazzi
Opora, dea del raccolto
Teoria, dea della festa
Un fabbricante di anfore
Un fabbricante di elmi
Un fabbricante di lance
Coro di contadini

La pace (greco: Εἰρήνη Eirḗnē) è un’antica commedia ateniese scritta e prodotta dal drammaturgo greco Aristofane. Ha vinto il secondo premio alle Dionisie Cittadine dove è stato messo in scena pochi giorni prima della convalida della Pace di Nicia, che prometteva di porre fine alla decennale guerra del Peloponneso, nel 421 a.C. L’opera è degna di nota per la sua gioiosa anticipazione della pace e per la celebrazione del ritorno a una vita idilliaca in campagna. Ma suona anche una nota di cautela, c’è amarezza nel riconoscimento delle occasioni perdute e il finale non è felice per tutti. Come in tutte le opere di Aristofane, gli scherzi sono numerosi, l’azione è selvaggiamente assurda e la satira è feroce. Cleone , il leader populista pro-guerra di Atene, è ancora una volta un bersaglio per l’arguzia dell’autore, anche se era morto nella battaglia di Anfipoli solo pochi mesi prima.

Nove anni dopo la prima rappresentazione dell’Edipo re di Sofocle, nel 421 a.C., mentre era grande in Atene l’aspettativa per un accordo di pace che finalmente ponesse fine al conflitto ormai decennale contro Sparta (la prima guerra peloponnesiaca), proprio alla vigilia della cosiddetta “pace di Nicia”, il poeta ateniese Aristofane mandò in scena una commedia nuova dal titolo beneaugurante: La pace. È un’opera estrosa, scanzonata, piena di forza comica
quanto di amena satira politica.

Trigeo, un ateniese arruffone e geniale, stufo della guerra che si trascina da dieci anni e manda in rovina i suoi affari, decide di risolvere lui la contesa salendo in cielo, fino alle case di Giove, per strappare di lassù la dea Pace e ricondurla finalmente in terra. Per tanto viaggio, alleva uno scarabeo stercorario, lo fa ingrassare dai suoi servi con abbondanti porzioni di stereo e quando l’insetto è divenuto forte abbastanza per sostenerlo, spicca il volo, sale fino ai celesti e s’impadronisce della povera dea, che riporta in terra in mezzo al tripudio generale. In premio avrà una sposa celeste, Opora, simbolo dell’abbondanza ritornata nel mondo. .

Nel prologo, dove, a parte l’amenità del dialogo tra i due servi intenti a nutrire lo scarabeo, si può già notare la libertà, la disinvoltura con cui la realtà è stravolta al servizio della più sfrenata fantasia. Nella realizzazione scenica, macchine apposite innalzavano il protagonista e il suo gigantesco insetto. Pochi elementi bastavano al pubblico di allora per immaginare come realistica la scena, e la sua eventuale goffaggine doveva essere ulteriore elemento di ilarità tra gli spettatori. In polemica con gli autori che si conquistavano il favore del pubblico regalando leccornie prima delle rappresentazioni, Aristofane arrivò a distribuire agli spettatori presenti alla prima della commedia un chicco di grano.

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