BRIDGE

Chi non sa giocare a bridge non s’illuda di essere una persona moderna. E ciò vale sia per gli uomini sia per le donne. Questo giuoco, che da noi è ormai diventato popolarissimo grazie a talune affermazioni della squadra italiana in campo internazionale e alle foto di attori famosi sui rotocalchi, mentre tengono le carte in mano, offre, tra l’altro, il vantaggio di tenere occupata tanta gente che non ha niente da fare e che non ha bisogno di lavorare per vivere.

Il bridge calamita tutta questa gente, uomini e donne, più donne che uomini, e la inchioda a un tavolo, coperto solitamente da un panno verde, per ore e ore, anzi per intere giornate, quando non sono nottate. Si tratta d’un giuoco che, di norma, diverte e appassiona, incuriosisce e preoccupa, e, talvolta, concentra e affligge: basta guardare in faccia i giocatori: pare che assistano alla lettura del telegiornale o a quella di un discorso della Meloni.
Stanno austeri, seri, ieratici e ansiosi di vedere come andrà a finire. Il bridge, tra l’altro, è un’attività tipicamente intellettuale: colui che lo pratica ha in testa soltanto questo giuoco, ci pensa giorno e notte, come a un romanzo a puntate di Alberto Moravia, e trova che la vita senza il bridge non sarebbe vita. Durante le partite non si fiata, non vola una mosca né un moccolo. Guai se qualcuno osasse parlare, confabulare, sussurrare: romperebbe non già le scatole, ma, come si dice, “l’incantesimo mistico del giuoco”. E tale rottura, normalmente, viene sempre evitata in partenza: “Lei gioca alle bocce? Peccato, altrimenti l’avrei fatta entrare nel C.A.B., cioè nel Circolo Amici del Bridge”. Oppure: “La porterei con me volentieri, commendatore, ma le sue, purtroppo, sono tonsille da stadio. Eccetera.

Il bridge, tuttavia, è un giuoco non solo impegnativo ma anche faticoso. Ci sono parecchie giocatrici, per esempio, che dopo un bridge-party durato a lungo, si lamentano: “Sono stanchissima: ho fatto nove ore di bridge senza un attimo di riposo, è davvero un’attività snervante!”. Vengono definite, quasi giocatrici, “le nuove vittime del tempo libero”, dato che altro tempo, in questo caso, non ce n’è proprio.

Bisogna riconoscere, però, che le donne con le carte in mano sono resistentissime ai sacrifici. Se qualcuno ordinasse loro di restare nove ore inchiodate a un altro tavolo, magari di cucina o di un ufficio, esse protesterebbero, potete giurarci; ma siccome il bridge è un sacrificio volontario, oltre al fatto che è molto di moda, vi si adattano con la massima applicazione, perfino con entusiasmo. Quasi un miracolo, se teniamo presente che, durante il giuoco, non si deve parlare, è di rigore il silenzio. Anzi, obbligare le donne a star zitte per tante ore di seguito, loro che sono abituate a parlare, o sparlare, se preferite, continuamente, è più d’un miracolo, per giunta assai raro. Le signore che intendono spettegolare, perciò, faranno bene a tenersi lontane dai tavoli di bridge, anche se attraenti, giovani e ricche, dato che il giuoco, praticato com’è con estremo silenzio, non consente nemmeno il più trattenuto degli “Ahi”, provocato dal noto calcetto d’intesa mollato sotto il tavolo negli stinchi del giocatore meno attento ma più “disponibile”.

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