VAN GOGH – Pazzo da morire

VAN GOGH – Pazzo da morire

Quel ragazzo di sedici anni che si chiamava Vincent ed apparteneva all’antica ed onorata famiglia fiamminga dei Van Gogh, faceva il mercante d’arte di contraggenio. L’avevano spinto a questo mestiere il padre, un pastore calvinista, e gli zii, tutti mercanti d’arte importanti. Uno dei tre lo aveva messo a lavorare nella sua galleria dell’Aja e poi nella sede di Londra. Vincent per sei anni prese conoscenza della pittura antica e contemporanea, ma senza scoprirsi la vocazione di pittore. Qualche volta disegnava e più spesso copiava opere di maestri illustri.

Era un tipo strano Vincent. Scontroso, insoddisfatto, estraneo alla società conservatrice e conformista nella quale si trovava a vivere a metà dell’Ottocento. Ad aggravare il suo stato d’animo contribuì anche una pena d’amore: si era perdutamente innamorato di una ragazza già promessa sposa a un altro, si era dichiarato ugualmente e aveva ricevuto uno sprezzante rifiuto.

Lasciò il lavoro in galleria, si mise a insegnare lingue e nei sobborghi di Londra entrò in contatto con la miseria dei quartieri più poveri. Fu allora che si sentì spinto a una missione evangelica: avrebbe aiutato la povera gente. Con i poveri divise il suo stipendio, divise il cibo. Si trasferì nella zona mineraria del Borinage perchè li maggiori erano i disagi e i bisogni. Poiché era uno spirito religioso a guidarlo, chiese ed ottenne l’incarico di predicatore libero, non immaginando che l’autorità ecclesiastica gli avrebbe revocato ritenendo troppo audaci certe sue prese di posizione. Intanto così poco si curava delle sue stesse necessità neurali che non sentiva neanche più il bisogno di mangiare, e così deperiva paurosamente.

Vincent van Gogh, Ritratto di père Tanguy (Parigi, autunno 1887); olio su tela, 92×57 cm, musée Rodin, Parigi

Dovette venir in soccorso il fratello Theo, minore di lui di quattro anni il solo congiunto col quale era rimasto in stretti rapporti effettivi Theo lo convinse a ripartire con lui alla volta dell’Olanda. Vincent tornava a casa.
Finiva la passione religiosa che aveva rischiato di consumarlo, cominciava quella artistica. Vincent Van Gogh scoprì la sua vera vocazione. All’Aja, prima, poi ad Anversa e infine a Parigi, nacque ed esplose uno dei più grandi maestri della pittura moderna. A Parigi Vincent Van Gogh entrò in contatto con i gruppi impressionistici, anche se non aderì totalmente ai loro orientamenti. Il suo cromatismo esasperato e talvolta ossessivo, la sua pennellata secca ed essenziale, lo introdussero nei grandi cenacoli d’arte parigini. In questi cenacoli si discuteva molto ed anche aspramente. Vincent era fragile di nervi, era già probabilmente malato. Ebbe una nuova disavventura sentimentale, stavolta con una lavandaia già madre di cinque figli che per vivere s’era data alla prostituzione….
Vincent l’aveva incontrata in un bar e aveva provato per lei un’immensa pietà: la prese con sè facendone la modella, l’amante, la donna di casa. La donna, che si chiamava Christine, era però di carattere violento: litigi erano frequenti e furiosi. Abbandonato dagli amici, conservò l’aiuto del solo Theo, che lo convinse a lasciare Christine e a cambiar aria.

Vincent scelse la Provenza, cercava luce e sole: ad Arles, dove si trasferì, sbocciò quel che viene considerato come il “grande periodo” dell’arte di Van Gogh. I colori della campagna meridionale affascinarono il maestro. Col rosso e col verde pensò di esprimere le passioni, col giallo l’amoree la fede. I suoi “girasoli” della Provenza sarebbero diventati capolavori.

Autoritratto con orecchio bendato, 1889, Vincent van Gogh

Non certo per nostalgia di Parigi ma per riavvicinarsi a qualcuno degli amici del passato, Van Gogh pregò Gauguin, al quale si era legato di sincera amicizia, di raggiungerlo ad Arles. Lavorarono entrambi fecondamente per un paio di mesi. Ma erano di opposto carattere e non potevano convivere. Vincent aveva i nervi a pezzi. In un attacco di follia tentò di aggredire con un rasoio l’amico, poi preso dal rimorso si punì tagliandosi un orecchio. Il drammatico episodio rivisse in uno stupendo autoritratto. Accorse il fratello Theo ad ammansirlo, a curarlo. Il maestro era davvero pazzo. Lo dovettero ricoverare in ospedale e poi in un manicomio.

Van Gogh in tredici mesi aveva vissuto come “una macchina per dipingere”: ben duecento i quadri realizzati. Era a pezzi. Poiché aveva anche momenti di lucidità, si rese conto della malattia che lo aveva colpito, delle crisi periodiche che lo attendevano: e fu riconoscente a Theo che, sconvolto dall’ambiente allucinante del manicomio, decise dopo un anno di portarlo nella casa di cura del dottor Gachet, amico dei pittori e pittore egli stesso. In due mesi di lavoro, nell’intervallo tra una crisi e l’altra, Vincent mise insieme altri sessanta quadri, fra i quali il famoso ritratto del dottor Gachet.

Un giorno, Vincent Van Gogh, preso dalla disperazione, andò nei campi e in quella natura che aveva tanto amato e dipinto si sparò al petto un colpo di rivoltella. Spirò dopo due giorni, a soli 37 anni. Le ultime parole che disse furono, rivolte al dottore e al fratello: “È inutile, sarei stato sempre un infelice!”.

Vincent van Gogh, La casa gialla (Arles, settembre 1888); olio su tela, 72×91,5 cm, Van Gogh Museum, Amsterdam

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