IL POSTO DELL’UOMO NELLA NATURA – Thomas Huxley

   

Il posto dell’uomo nella natura

Nell’opera del 1859 L’ORIGINE DELLA SPECIE,  Charles Darwin non faceva che rapidi accenni al problema dell’uomo in rapporto alla selezione naturale, ma risultò subito evidente a tutti che la nuova teoria portava con sé anche un modo radicalmente nuova di pensare la storia dell’uomo.
Già nel giugno 1850, nel corso di una affollata conferenza ad Oxford, il vescovo anglicano Wilberforce si era scagliato contro le tesi di Darwin, rivolgendo a Thomas Huxley – intelligente e battagliero sostenitore della teoria darwiniana – lo famosa domanda:

Di grazia, è per parte di nonno o per parte di nonna che Ella vanta la sua discendenza dalla scimmia?“.
Huxley aveva risposto che era preferibile avere per antenato una scimmia piuttosto che un uomo che utilizzava la sua cultura e la sua autorità per combattere la verità scientifica.
Questa risposta ottenne molti applausi, ma non di più della domanda del vescovo.
L’affinità dell’uomo con gli animali superiori era già da tempo un tema dibattuto con grande interesse in tutta Europa; con l’affermarsi delle idee evoluzionistiche esso venne esaminato in una luce nuova.
Lo stesso Huxley, nel 1863, pubblicò un’opera, Il posto dell’uomo nella natura, nella quale, sulla base di precise considerazioni anatomiche ed embriologiche, mirava decisamente a mostrare l’origine animale dell’uomo e la sua discendenza da animali simili alle scimmie antropoidi, giungendo alla conclusione che “le differenze strutturali che separano I’uomo dal Gorilla e lo Scimpanzé non sono così grandi come quelle che separano il Gorilla dalle scimmie inferiori“.
Huxley si sforzava anche di mettere in risalto la straordinaria grandezza raggiunta dall’uomo nel corso della sua evoluzione e la sua superiorità su tutti gli altri esseri, ma questo tentativo non ebbe molto successo.
Gli uomini – osserva il biologo Montalenti – preferiscono considerarsi come discendenti caduti in disgrazia di esseri più nobili, anziché di creature più umili e più semplici“.
Nel 1871 Darwin intervenne nel dibattito, pubblicando L’origine dell’ uomo. Molti scienziati, pur riconoscendo la validità dell’ipotesi evoluzionistica, non ne ammettevano l’estensione agli aspetti intellettuali e morali dell’uomo. Darwin, nella sua nuova opera, applicava con rigore la sua teoria, arrivando a concepire nel quadro della selezione naturale anche le caratteristiche da sempre considerate proprie dell’eccezionalità dell’uomo: l’intelligenza, il linguaggio, la tendenza alla vita associata.
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*** Qualsiasi sistema di organi sia studiato, quando si comparino le loro modificazioni nella serie delle scimmie, si arriva ad una sola conclusione: che le differenze strutturali che separano l’Uomo dal Gorilla e lo Scimpanzé non sono così grandi come quelle che separano il Gorilla dalle scimmie inferiori.
Le differenze di struttura tra l’Uomo e le scimmie Antropomorfe ci permettono di considerarlo come il rappresentante di una famiglia da esse separata; ma, poi che l’Uomo differisce meno dagli Antropoidi  che non essi dalle altre famiglie dello stesso ordine, non sarebbe giustificato collocarlo in un ordine a sé stante.
Ma se veramente l’Uomo è separato dai bruti da una barriera strutturale non più ampia di quelle che separano i bruti stessi tra loro, ne segue allora che se si riesce a scoprire un processo di causalità fisica per il quale siano derivati i generi e le famiglie dei comuni animali, questo processo di causalità è anche ampiamente sufficiente a spiegare l’origine dell’Uomo.
In altre parole, se si potesse dimostrare che gli Arctopiteci, per esempio, hanno avuto origine da modifiche graduali delle scimmie Platirine, o che gli Arctopiteci, per esempio, hanno avuto origine da modifiche graduali delle scimmie Platirine, o che la base razionale per dubitare che l’uomo può essere originato o da modifiche graduali di una scimmia antropomorfa, o da un ramo derivato dalle medesime forme primitive dalle quali hanno preso origine gli antropoidi stessi.
Per il momento, l’evidenza favorisce una sola spiegazione scientifica generale dell’origine delle specie animali, ed è quella proposta da Mr. Darwin.
La Scienza adempie alla sua funzione quando accerta ed enuncia la verità; e se queste pagine si rivolgessero solo agli uomini di scienza, potrei chiudere a questo punto il mio saggio, sapendo che i miei colleghi hanno imparato a rispettare la sola evidenza, ed a credere che il loro più alto dovere sia la sottomissione incondizionata ad essa, per quanto possa urtare contro le loro inclinazioni.
Ma poi che il mio desiderio è di raggiungere una più vasta cerchia di pubblico intelligente, sarebbe spregevole viltà, se facessi conto di ignorare quel senso di ripugnanza col quale la maggior parte dei miei lettori probabilmente accoglierà le conclusioni, alle quali io sono arrivato dopo uno studio il più accurato e coscienzioso che sapessi fare.
Da ogni parte sentirò gridarmi: “Noi siamo uomini e donne, e non una specie semplicemente migliorata di scimmie, un po’ più lunga di gambe, col piede a dita non opponibili, col cervello più grande dei vostri brutali scimpanzé e gorilla. Il potere della conoscenza, la coscienza del bene e del male, la tenerezza e la pietà degli affetti umani ci innalzano al disopra di ogni reale consorteria coi bruti, per quanto essi ci possano sembrare strettamente affini”.
Nessuno maggiormente di me è convinto dell’ampiezza del golfo a tra l’uomo civilizzato ed i bruti; e nessuno più certo che l’Uomo, derivi dai bruti o no, certamente non è uno di loro. Nessuno meno disposto di me a sottovalutare la dignità attuale, od a perdere la speranza per il futuro di Colui che è l’unico coscientemente intelligente cittadino del mondo.
In verità, ci dicono coloro che pretendono all’autorità in questi argomenti, le due opinioni sono incompatibili, e il credere nella unità di origine dell’uomo e dei bruti porta come necessaria conseguenza anche la brutalizzazione e la degradazione dell’uomo stesso.
Ma è veramente così?
L’amor materno è vile perché anche la gallina dimostra di averlo, e la fedeltà bassa perché la possiede anche il cane?
Il senso comune della grande massa degli uomini risponderà a tali questioni senza un istante di esitazione. La parte sana dell’Umanità, cui strenuamente urge di sfuggire a quello che è vero peccato e degradazione, lascerà insieme i cinici e i fanatici del perbenismo a rammaricarsi su quello che secondo le loro idee dovrebbe significare degradazione; lascerà cioè coloro che, in disaccordo su tutto il resto, si trovano però uniti nella loro cieca insensibilità alla nobiltà del mondo visibile, e nell’incapacità di apprezzare la grandezza e nobiltà del posto che l’Uomo vi occupa.
Ancor di più, gli uomini che riflettono, una volta sfuggiti alle influenze accecanti del pregiudizio tradizionale, riconosceranno nelle umili forme donde l’uomo è sortito, la miglior prova dello splendore delle sue capacità; e troveranno, nel suo lungo progredire attraverso le epoche passate, la giustificazione razionale per aver fede nel raggiungimento di un più nobile Futuro.
*** da Thomas Huxley, Il posto dell’uomo nella natura e altri scritti
°°° Chi non si accontenta di pensare (come un selvaggio) che i fenomeni naturali non sono collegati, non può credere che l’uomo sia I’opera di un atto separato di creazione. Egli sarà costretto ad ammettere che l’intima rassomiglianza dell’embrione umano con quello, ad esempio, di un cane, la struttura del cranio, delle membra, dell’intera forma somatica dell’uomo ripete lo stesso modello di quello degli altri mammiferi (indipendentemente dall’uso a cui le singole parti sono destinate), la ricomparsa occasionale di varie strutture, per esempio, di parecchi muscoli che normalmente non sono presenti nell’uomo, ma che sono normali nei quadrumani, ed una quantità di fatti analoghi, tutti portano nella maniera più evidente alla conclusione che l’uomo discende da un progenitore comune agli altri mammiferi.
Se consideriamo la struttura embriologica dell’uomo, le analogie con gli animali inferiori, i rudimenti che conserva, e la reversione cui è soggetto, possiamo in parte immaginare la condizione primitiva dei nostri progenitori e possiamo approssimativamente collocarli in un posto appropriato nella serie zoologica.
Impariamo così che l’uomo è disceso da un quadrupede peloso, provvisto di coda, probabilmente con la abitudine di vivere sugli alberi e che abitava il vecchio continente.
Se un naturalista avesse esaminato l’intera struttura di questo essere, l’avrebbe classificato tra i quadrumani, con la stessa sicurezza con cui avrebbe classificato l’ancora più antico progenitore delle scimmie del vecchio e del nuovo continente.
I quadrumani e tutti i mammiferi più elevati derivano probabilmente da qualche antico marsupiale e questo, attraverso una lunga discendenza di forme che andavano divergendo, da qualche creatura simile agli anfibi, e questi ancora da qualche animale simile ai pesci.
Nella profonda oscurità del passato, possiamo intravedere che il primo progenitore di tutti i vertebrati, deve essere stato un animale acquatico, provvisto di branchie, coi due sessi riuniti nello stesso individuo e con la maggior parte degli organi più importanti (come il cervello e il cuore) imperfettamente o per nulla sviluppati. Questi animali dovevano esser più simili alle attuali ascidie di mare, che a qualsiasi altra forma conosciuta.
Dopo essere giunti a questa conclusione sull’origine dell’uomo, la più grande difficoltà che si presenta rimane l’alto livello delle nostre facoltà intellettuali e morali. Chiunque ammetta l’evoluzione sa che le facoltà mentali degli animali superiori, le quali sono della stessa specie di quelle dell’uomo, sebbene di grado così differente, sono suscettibili di progredire. Così il divario tra le facoltà mentali di una delle scimmie più elevate e quelle di un pesce, oppure quelle di una formica e di un coccus (batterio), è immenso; inoltre il loro sviluppo non offre nessuna speciale difficoltà, infatti negli animali domestici le facoltà mentali sono variabili e le variazioni sono ereditarie.
Nessuno dubita che le facoltà mentali sono della massima importanza per gli animali allo stato naturale. Vi sono quindi tutte le condizioni per il loro sviluppo mediante la selezione naturale. La stessa conclusione si può estendere all’uomo: l’intelletto deve essere stato molto importante per lui anche in un periodo molto remoto, perché ha permesso di inventare e usare il linguaggio, di costruire armi, utensili, trappole, ecc., in modo che con l’aiuto della sua abitudine di vivere in società, egli molto tempo fa riuscì a dominare tutti gli esseri viventi.
°°° da Charles Darwin, L’origine dell’uomo
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CHARLES DARWIN – Vita e opere