Mirone – Discobolo
ANTICA GRECIA – LA SCULTURA
Dai primitivi idoli in legno (xòana) la statuaria greca si evolve nel VII e soprattutto nel VI secolo, parallelamente alla nascita dell’architettura templare, verso forme monumentali, ispirate all’arte egizia: i koùroi (figure virili nude) e le kòrai (figure femminili vestite). Immagini ideali dell’umanità, colta in una fiorente giovinezza fuori del tempo, si presentano in posizione frontale, ferme, le braccia rigidamente tese lungo i fianchi (solo in un secondo momento inizieranno a piegarsi nel gesto tipico dell’offerente), lo sguardo fisso in avanti e le labbra atteggiate al sorriso. Questa espressione sorridente così come gli occhi obliqui sono tratti caratteristici dell’epoca arcaica, destinati a scomparire con l’affermarsi della nuova concezione estetica definita “severa”, che porterà al superamento della visione per piani paralleli.
Se la scultura del VI secolo era stata prevalentemente in pietra (lumeggiata di colore), i maestri severi scelgono ora il bronzo, riservando il marmo per la scultura decorativa e templare.
L’ideale atletico domina tutta l’arte di questo periodo che vede il pieno sviluppo delle precedenti ricerche plastico-volumetriche nelle splendide realizzazioni di Mirone (Discobolo, 480-60 a.C., copia romana; Roma, Museo Nazionale Romano) e degli anonimi autori della statua bronzea da Capo Artemísion, raffigurante Zeus in atto di scagliare il fulmine (460 a.C.; Atene, Museo Nazionale) e dell’Auriga di Delfi (475 a.C.; Delfi, Museo).
Nel campo della statuaria in marmo ricordiamo per la ricchezza di soluzioni compositive e l’armoniosa unità della concezione il complesso dei frontoni e delle metope del tempio di Zeus ad Olimpia, nel famoso santuario panellenico.
Il classicismo in scultura si afferma verso la metà del V secolo con le grandi personalità di Policleto e Fidia.
Lo splendido Doriforo (portatore di lancia) sintetizza in modo significativo il canone proporzionale policleteo: la figura assume una nuova impostazione ritmica, suggerita dall’appoggio su una sola gamba e dalla simmetria incrociata delle membra a due a due (braccio sinistro-gamba destra e viceversa). L’impressione che ne scaturisce è quella di un’assoluta armonia di forme, stilizzata ma al tempo stesso profondamente naturale, e di un perfetto equilibrio tra effetti di stabilità e movimento, ricercato dall’arte greca sin dai suoi primi passi. I risultati policletei saranno di enorme importanza per tutti gli scultori successivi.
L’atleta di Policleto vive però in una dimensione chiusa, isolata. Spetta a Fidia, l’autore del fregio, della decorazione dei frontoni e delle metope (92) del Partenone, il merito di aver saputo collegare le varie sculture in una composizione complessa e articolata. Uomini e animali sono disegnati con perfetta disinvoltura, poderosa espansione dinamica (mirabile lo slancio dei cavalli impennati),
fremente energia e modellato sensibilissimo dei corpi. Le superfici appaiono modulate da preziosi chiaroscuri che sottolineano con improvvisi guizzi di luce gli scatti del movimento. L’abilità dello scultore ateniese nel trattare il marmo ricavandone un’eccezionale ricchezza di tonalità luministiche si rivela soprattutto nei panneggi che si animano di nuova vita sino ad arrivare a effetti di sottigliezza e trasparenza della stoffa (panneggio bagnato), fittamente increspata di pieghe dall’incantevole risalto pittorico.
La piena articolazione delle figure nello spazio avviene con gli scultori del IV secolo che prediligono ormai soggetti più vicini al patrimonio delle leggende locali e alla storia. In particolare raggiungono vertici di notevole originalità Skopas (Menade danzante; fregi del Mausoleo di Alicarnasso, in collaborazione con Timoteo, Briasside e Leocare) per la carica di pathos violento che contraddistingue le sue opere; Prassitele (Afrodite di Cnido; Ermes con Dioniso bambino) per la grazia e il delicato trattamento dei nudi, specie femminili; Lìsippo, per la capacità di rinnovare il canone policleteo con l’introduzione di elementi di movimento e di instabilità. Nel suo Apoxyomenos (copia romana; Roma, Musei Vaticani) si concretizzano gli ideali del IV secolo: l’uomo afferma la sua presenza nell’ambiente che lo circonda.
Prassitele – Afrodite di Cnido
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