POEMETTI LIRICHE FRAMMENTI – Sergej Aleksandrovic Esenin

Sergej Aleksandrovic Esenin (Konstantinovo, 3 ottobre 1895 – Leningrado, 28 dicembre 1925) è stato un poeta russo.

Sergej Esenin, figlio di contadini russi di Kostantinovo, un villaggio della provincia di Rjazan, ebbe tre amori: Zinaida Raijch (più tardi moglie del regista teatrale Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d che fece di lei un’attrice di talento), Sofia Andreevna (nipote di Tolstoj) e Isadora Duncan. La sua corrisposta passione per la grande ballerina americana scandalizzò Mosca degli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione d’Ottobre, Berlino, Vienna, Parigi e New York ai tempi del proibizionismo. Tuttavia il suo primo e più tenero amore Esenin lo aveva nutrito per l’umile Russia contadina e, avendolo la vita allontanato dai luoghi e dalle persone che l’avevano fatto nascere e lo legittimavano, egli si era sentito come sradicato da se stesso ed ogni avventura che realizzasse (fosse amicizia o passione) non poteva non suggerirgli un impietoso rancore. Anarchico tenuto in sospetto da una società rivoluzionaria che si vietava ogni allegria e disordine, poeta di slanci mistici giudicato con divertito scetticismo (più tardi, in Europa Occidentale e in America) da uomini che riconoscevano come religione soltanto quella degli affari, Esenin finì per sentirsi in esilio, nel mondo: la notte del 27 dicembre 1925, dopo aver scritto con il sangue la sua ultima poesia, si impiccò in uno squallido albergo di Leningrado, l’Angleterre. Gli ultimi versi di quell’ultima poesia scritta col sangue dicono:  “Morire non é nuovo sotto il sole, ma più nuovo non é nemmeno vivere”. Il distacco (l’alienazione) dal mondo della natura ha costituito per Esenin il distacco (l’alienazione) dalla vita stessa.

Scrive Renato Poggioli nella sua prefazione alla raccolta di testi eseniniani (editore Einaudi) pubblicata con il titolo Poemetti liriche e frammenti:
“La poesia pastorale é creazione tardiva, non classica del mondo antico: eppure i suoi poeti non guardano mai la natura in chiave puramente bucolica. Essi continuano a guardarla, almeno in parte, in chiave georgiana, secondo il corso delle stagioni, la vicenda delle opere e i giorni, gli alterni lavori dell’uomo. Ma questo poeta moderno, nato figlio di contadini, contempla la natura come un mondo di perfetta innocenza… Ecco perché gli stessi animali vi sono visti come familiari, consanguinei o fratelli, non come mezzi di produzione… Ecco perché la stesse piante vi appaiono come compagne dell’uomo. Proprio per questo il poeta può cantare anche le malerbe; e nessuno dei suoi alberi prediletti é fruttifero. La natura é per lui un passaggio vivente anche quando vi manchino figure umane: anima, anzi che semplice stato d’anima”.

Ecco perché le poesie migliori sono quelle che celebrano la Russia (un paese come una dimensione del cuore) e i muzik (contadini), i poveri frequentatori delle bettole di Mosca e Pietrogrado e Pugachev, eroe sentimentale tradito dall’eccesso del suo stesso coraggio. A quest’ultimo Esenin ha dedicato un dramma storico in versi (Pugachev, appunto) in cui sono facilmente individuabili allusioni e travestimenti autobiografici: Pugachev non fu un condottiero, ma un generoso ribelle. Era un cosacco: ai tempi di Caterina la Grande, fingendo, come il falso Dmitrij dopo il regno di Boris Godunov, di reincarnare lo zar Pietro III ucciso in una congiura di palazzo, aveva sollevato le tribù dei Calmucchi e dei Baschiri contro il regno di Pietroburgo. Soffocata la rivolta nel sangue dal generale Michelson, aveva salito il patibolo.

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