TRATTATO DI MAASTRICHT

IL TRATTATO DI MAASTRICHT

Il Trattato di Maastricht è il nome del Trattato sull’Unione Europea (TUE), firmato dal Consiglio Europeo il 7 febbraio 1992 a Maastricht , Paesi Bassi. Rappresenta il più grande passo nell’integrazione europea dalla fondazione delle Comunità europee (CE).

Però è il 1991 che sarà ricordato come l’anno in cui sono state poste le basi concrete per la nascita dell’Unità europea.
L’avvio della pianificazione del nuovo assetto del Vecchio continente, destinata ad abolire le frontiere politiche ed economiche per dare gradualmente vita a un unico organismo governato da leggi e regole identiche per tutte le nazioni ad esso appartenenti, si è avuto nella cittadina olandese di Maastricht. Qui, a partire dal 9 dicembre, si sono incontrati i capi dei governi dei Paesi membri della CEE, nell’intento di stipulare una serie di accordi volti a cambiare la fisionomia europea. Fra le numerose questioni che Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna si sono trovati ad affrontare, sono state discusse in primo luogo quelle relative alle modalità di realizzazione dell’unione economica.
Il dibattito in proposito, assai impegnativo nonostante il clima di distensione in cui si è svolto, è sfociato nella stipulazione di un primo accordo, che prevede l’unificazione monetaria e bancaria a partire dal 1° gennaio 1999. Qualora però almeno sette nazioni raggiungano entro breve termine il risanamento della spesa pubblica e il controllo dell’inflazione, il nuovo assetto economico potrebbe essere inaugurato già dal 1° gennaio 1997.
A ostacolare l’intesa raggiunta si è però subito profilato il disaccordo della Gran Bretagna, da sempre ostile all’idea dell’unione monetaria, che aveva chiesto di poter mantenere una posizione di “opting out” (ossia di spettatrice) in ambito economico. La richiesta era stata nettamente rifiutata dagli altri Paesi, in particolare da Germania e Italia, che avevano invocato l’irreversibilità per gli accordi stipulati a Maastricht; ma, nonostante i molteplici tentativi diplomatici intrapresi da ambasciatori e funzionari delle banche centrali per convincere la Gran Bretagna ad abbandonare la sua posizione di ostinato isolamento, il premier inglese John Major si è dichiarato disposto anche ad “andare di fronte al plotone d’esecuzione” per sostenere il diritto del proprio Paese all’opting out. Altre questioni inerenti alle clausole da allegare al trattato di Unione economica sono state sollevate dalla Spagna, che ha chiesto la menzione esplicita del problema dell’equilibrio finanziario tra Paesi ricchi e Paesi poveri e la conseguente creazione di un “fondo di compensazione” a vantaggio di questi ultimi.

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L’accordo economico di Maastricht ha destato in Italia soddisfazione e qualche dubbio.
Qui sopra il Ministro del tesoro Guido Carli

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Dopo lunghi e controversi dibattiti, è stato infine redatto il testo definitivo dell’intesa, che prevede il mantenimento della sovranità delle autorità nazionali fino al 1° gennaio 1994. A partire da quel momento, inizierà il vero e proprio processo unitario, destinato a concludersi, al più tardi, il 1° gennaio 1999, dopo il progressivo trasferimento delle sovranità nazionali all’Unione economica, la creazione dell’Istituto monetario europeo, il primo embrione della futura Banca centrale, e la gestione concordata delle politiche monetarie. La Gran Bretagna, rimasta fuori dall’accordo, ha ribadito la sua volontà di decidere autonomamente la propria politica monetaria nazionale e internazionale, riservandosi di interpellare il Parlamento inglese sulla questione dell’accettazione di Banca centrale e moneta comune. Le clausole che consentiranno l’ingresso nell’Unione economica sono la riduzione del deficit annuo al 3% del Pil, il contenimento dell’inflazione entro un margine dell’1,5% rispetto alla media di Germania, Francia e Paesi Bassi, l’avvio di un processo di risanamento adeguato per ridurre il debito pubblico consolidato al 60% del Pil.
L’accordo economico ha suscitato le immediate e perplesse reazioni dei rappresentanti delle alte sfere dell’economia italiana, che hanno espresso non pochi dubbi sul fatto che il Paese riesca, entro il 1999, ad avere le carte in regola per aderire all’Unione monetaria europea. Il presidente del Consiglio Andreotti si è però detto fiducioso nelle capacità di ripresa della Nazione, per la quale la scadenza del ’99 non potrà che costituire un incentivo a procedere al risanamento proprio del deficit pubblico.
Nella seconda giornata di incontri è stato affrontato dai Dodici il problema dell’unione politica. A questo proposito è stato raggiunto un accordo meno netto di quello economico: gli Stati europei si sono impegnati ad avere una uguale politica estera e, qualora se ne verifichi la necessità, una difesa comune. Ciò rappresenta solo un leggero passo avanti rispetto alla “cooperazione politica” intergovernativa già in vigore attualmente.
È stato inoltre potenziato il ruolo del Parlamento europeo e stabilito che l’Unione politica non avrà carattere federale. Riguardo alla questione della difesa, i Dodici si sono accordati su una politica di sicurezza, che “a termine” potrebbe sfociare in una difesa militare gestita dall’Unione europea occidentale (Ueo) anche in collaborazione con la Nato; slittata al 1994 la discussione della proposta avanzata da Kohl di creare un’Interpol europea, è stata invece predisposta la collaborazione fra le forze dell’ordine dei vari Paesi.
Più impegnativo è risultato il dibattito sull’adozione di una comune politica sociale, essendo ostacolato, ancora una volta, dall’ostruzionismo di John Major, che ha sottolineato l’esistenza in Gran Bretagna di una specifica legislazione sociale, improntata su criteri opposti rispetto a quelli su cui intende muoversi la CEE. L’ accordo sull’Unione sociale è stato quindi stipulato solo da undici Paesi: esso prevede l’impegno da parte di tutti i membri a costruire una politica comune, caratterizzata dalla volontà di risanare il divario esistente tra costi e ricavi derivanti a ogni nazione dall’appartenenza alla Comunità Europea mediante la creazione del “fondo di coesione”, destinato ai Paesi con un prodotto interno lordo pro-capite uguale o inferiore al 90% della media comunitaria (Grecia, Spagna, Irlanda).
Gli accordi raggiunti a Maastricht, che hanno sancito l’inaugurazione di una fase di grandi cambiamenti per l`Europa, hanno suscitato viva soddisfazione fra i capi di governo dei vari Paesi della CEE, nella profonda convinzione che l’incontro abbia posto le basi per la realizzazione di una significativa e definitiva trasformazione del Vecchio continente in una struttura più adeguata alle esigenze di una società oramai alle soglie del Duemila.