Il FUTURISMO di Filippo Tommaso Marinetti

Parigi, 1912: Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini inaugurano la prima mostra futurista

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LE DUE ANIME DEL FUTURISMO

I futuristi si pongono al polo opposto dei crepuscolari. Quanto questi amavano le cose umili e i toni sommessi, tanto quelli esaltano l’attivismo, la vita eroica, le macchine e i toni gridati. Il Futurismo nasce ufficialmente il 22 febbraio 1909, quando viene pubblicato il primo manifesto del movimento redatto da Filippo Tommaso Marinetti. Eccone il testo che, più di ogni commento, può far comprendere le tesi avanzate dal Marinetti:

1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò, fino ad oggi, l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, 1’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare allo uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo — il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne, canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche, le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi, i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli, ì piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dal1’Italia che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente, col quale fondiamo oggi il “Futurismo”; perchè vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari.
Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la ricoprono tutta di cimiteri innumerevoli. Musei: cimiteri!… Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati od ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi ferocemente a colpi di colori, di linee, lungo pareti contese!
Che si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti… ve lo concedo. Che una volta all’anno sia deposto un mazzo di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo… Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perchè volersi avvelenare? Perchè voler imputridire?
E che mai si può vedere in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell’artista che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere, opposte al suo desiderio di esprimere interamente suo sogno?…
Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e d’azione. Volete dunque sprecare tutte le vostre forze migliori, in questa eterna e inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpestati?
In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvari di sogni crocifissi, registri di slanci troncati!…) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gli infermi, pei prigionieri. sia pure: – l’ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poiché per essi l’avvenire è sbarrato… Ma noi non vogliamo più saperne del passato, noi giovani e forti futuristi!
E vengano. dunque, gli allegri incendiari dalle dita carbonizzate! Eccoli!… Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!… Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!… Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere estinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!… Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite senza pietà le città venerate!
I più anziani, fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. – Noi lo desideriamo!
Verranno contro di noi, i nostri successori, verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche.
Ma noi non saremo là… Essi ci troveranno alfine – una notte d’inverno in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell’atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d’oggi, fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini.
Essi tumultueranno intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti. esasperati dal nostro superbo e instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci, spinti da un odio tanto più implacabile in quanto che i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi.
La forte e sana Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. L’arte, non può essere che violenza, crudeltà e ingiustizia!
I più anziani fra noi hanno trent’anni: eppure noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori di forza, di amore, di audacia, d’astuzia e di rude volontà. li abbiamo gettati via impazientemente in furia, senza contare, senza mai esitare, senza riposarci mai, a perdifiato… Guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poiché sono nutriti di fuoco, di odio e di velocità!… Ve ne stupite?… È logico, poiché non vi ricordate nemmeno di aver vissuto!  Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!
Ci opponete delle obiezioni?… Basta! Basta! Le conosciamo… Abbiamo capito!… La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. Forse!… Sia pure!… Ma che importa? Non vogliamo intendere!… Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!…
Alzate la testa!…
Ritti sulla cima del mondo, noi lanciamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!…”

Il fondatore del futurismo fu Filippo Tommaso Marinerti. Egli nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1876. Qui fece i primi studi che completò poi a Parigi fino al baccellierato. Frequentò, invece, in Italia, l’Università, prima a Pavia e poi a Genova, laureandosi in legge. Le sue prime opere, scritte in francese (Les vieux marines, La conquête des etoiles, La Destruction), gli diedero una notevole fama. Nel 1905 fondò a Milano la rivista “Poesia” con lo scopo di divulgare in Italia i poeti decadenti francesi e di sostenere lo uso del verso libero. Nel 1909, come si è detto, pubblicava il primo manifesto futurista e si metteva alla testa di quel movimento che rivelava subito le sue radici politiche e nazionalistiche, oltre che letterarie.
Partecipò attivamente alla guerra e appoggiò il regime fascista, tanto che il futurismo venne rapidamente ufficializzato e Marinetti nel 1929 entrava a far parte dell’Accademia d’Italia. Gli ultimi anni videro il progressivo spegnersi dell’uomo e del movimento. Marinetti morì nel 1942. Oltre i manifesti (che rimangono le cose più riuscite) bisognerà ricordare. nella sua abbondante produzione. il romanzo Mafàrka il fururista, Zang Tumb Tumb, in cui si applica la tecnica delle “parole in libertà”, L’alcova d’acciaio, sorta di diario di guerra, e i drammi Prigionieri e Vulcani.
Nel futurismo si manifestano con estrema chiarezza le due facce del- l’arte novecentesca. Da una parte la faccia attivistica e irrazionalistica (e quindi il culto esasperato dell`individuo, della violenza della guerra), dall’altra l’esigenza reale di adeguare l’espressione artistica alle nuove dimensioni che assumeva il mondo delle cose e degli uomini. Questo spiega perchè il futurismo, povero di valori letterari in Italia, ebbe al contrario grande  importanza in altre arti come la pittura e l’architettura, e perchè ebbe fuori d’Italia anche alcuni grandi poeti (basterà pensare a Majakovskij). Nel nostro paese, invece, Marinetti fu essenzialmente un organizzatore di cultura, un agitatore e un propagandista più che un poeta, e futuristi di passaggio (per un breve periodo che costituisce solo una delle varie tappe della loro carriera letteraria) furono scrittori come Soffici, Papini, Govoni, Palazzeschi.
Il futurismo, è, ad ogni modo, positivo nel suo aspetto letterario, ma negativo in quello che assumerà a livello politico e lo accomunerà al fascismo.
È positivo come fenomeno letterario perchè nella situazione di crisi della cultura italiana interviene per approfondire e realizzare la rottura già avviata dai crepuscolari; in più, sprovincializza definitivamente non solo la cultura, ma la mentalità, il costume, e porta in Italia alla fondazione di una sensibilità europea.
In sede letteraria, dunque, il futurismo è l’altro aspetto della crisi culturale del primo decennio del novecento. Ed è vero che crepuscolari e futuristi rappresentano “uno stesso momento spirituale svolto in due maniere diverse”. Per gli uni e per gli altri il distacco dal passato a livello letterario passa attraverso il rinnovamento degli elementi formali e lo svuotamento dei vecchi contenuti, Sul piano stilistico, i crepuscolari avviano la riduzione della poesia a prosa e i futuristi mirano alla disintegrazione del discorso sintattico; su quello dei contenuti, i primi esprimono il vuoto traendo spunti da fatti quotidiani, i secondi esaltano la civiltà meccanica. Sul proprio versante, ognuno dei due movimenti esprime una medesima apertura alla sensibilità moderna. Il crepuscolarismo è però un movimento esclusivamente letterario. Il futurismo sconfina, invece, nell’area sociale e politica e rompe con tutto il sistema. Esso, cioè, non è solo un fenomeno culturale, letterario, poetico, artistico, ma è pure un movimento ideologico. Come tale, esso si richiama all’irrazionalismo ed ha addentellati, se non equivalenze, con l’attualismo di Gentile, con l’intuizionismo di Bergson, con Sorel e anche col pragmatismo.
Dopo il primo manifesto futurista, si ebbero almeno altri diciassette manifesti, dei quali i più noti sono quelli dei pittori futuristi (1910), della musica futurista (1912), della scultura futurista (1912). Per la poesia, importante è il “Manifesto tecnico della letteratura futurista” del 1912.
Con il manifesto tecnico della letteratura, Marinetti inventa il lirismo essenziale, e sintetico, l’immaginazione senza fili e le parole in libertà. Ecco i punti fondamentali di questo Manifesto:

l. Bisogna distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono.
2. Si deve avere il verbo all’infinito, perchè si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina.
3. Si deve abolire l’aggettivo perchè il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale.
4. Si deve abolire l’avverbio, vecchia fibbia che tiene unita l’una al- l’altra le parole.
5. Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia…
6. Abolire anche la punteggiatura (…)
7. (…) gradazione di analogie sempre più vasta (…) Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale (…) può abbracciare la vita della materia. Quando nella battaglia di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di baionette a una orchestra, una mitragliatrice ad una donna fatale, ho introdotto intuitivamente una gran parte dell’universo in un breve episodio di battaglia africano. (…) La poesia deve essere un seguito ininterrotto di immagini nuove (…).
10. Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell’intelligenza cauta e guardinga bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un maximum di disordine.
11. Distruggere nella letteratura l’io, cioè tutta la psicologia (…). Sostituire la psicologia dell’uomo ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia.
Guardatevi dal prestare alla materia i sentimenti umani, ma indovinate piuttosto i suoi differenti impulsi (…). Il calore di un pezzo di ferro o di legno è ormai più appassionante, per noi, del sorriso o delle lagrime di una donna. .
Noi vogliamo dare, in letteratura, la vita del motore, nuovo animale istintivo (…).
Le intuizioni profonde della vita congiunte l’una all’altra, parola per parola, secondo il loro nascere illogico, ci daranno le linee generali di una psicologia intuitiva della materia. Essa si rivelò al mio primo spirito dall’alto di un aeroplano. Guardando gli oggetti, da un nuovo punto di vista, non più di faccia o per di dietro, ma a picco, cioè di scorcio, io ho potuto spezzare le vecchie pastoie logiche”.

A questo punto, Marinetti precisa che lo stile intuitivo o analogico inventa il procedimento della “immaginazione senza fili” che si fonda sulla soppressione di tutti i primi termini delle nostre analogie per non dare più altro che il seguito ininterrotto dei secondi termini. Inevitabilmente l’arte diventerà oscura e non sarà bella. Ma Marinetti teorizza il “brutto” per contestare il “sublime”: facciamo coraggiosamente il brutto in letteratura e uccidiamo dovunque “la solennità”.
Per la poesia, secondo Marinetti, comincia una nuova era. “Noi entriamo nei domini sconfinati della libera intuizione. Dopo il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà”. In nome dell’intuizione bisogna “odiare l’intelligenza”, perchè solo l’intuizione consente di penetrare la materia, di conoscerla e di creare “l’uomo meccanico dalle parti cambiabili”.
Forse più dell’opera di Marinetti – sul piano della resa poetica risulta valida quella di Luciano Folgore (pseudonimo di Omero Vecchi); nato a Roma nel 1888. Egli pubblicò varie raccolte di versi che corrispondono a diversi momenti della sua lunga esistenza. La produzione futurista è raccolta in tre volumi, Il canto dei motori (1912), Ponti sull’Oceano (1914) e Città veloce (1919). Assai più note sono le sue parodie di celebri liriche di altri poeti.

I futuristi. Un gruppo di scolaretti, che sono scappati da un collegio di gesuiti, hanno fatto un po’ di baccano nel bosco vicino e sono stati ricondotti sotto la ferula dalla guardia campestre. (Antonio Gramsci)

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