1 – GIOCONDA o MONNA LISA – LEONARDO DA VINCI

GIOCONDA (1503 – 1513 e dopo)
Leonardo da Vinci (1452-1519)
Museo del Louvre – Parigi
Olio su tela tavola di pioppo cm. 77 x 53
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Il dipinto universalmente noto come Gioconda, o Monna Lisa, nel corso dei secoli è sempre stato attribuito senza riserve a Leonardo; allo stesso tempo rappresenta ancor oggi un enigma per quanto riguarda l’identità della figura femminile che vi appare ritratta. Sul suo nome sono state formulate le ipotesi più disparate che, a seconda del personaggio riconosciuto nell’effigie, modificano la datazione e il luogo in cui l’opera sarebbe stata realizzata. Così, tra le figure femminili realmente esistite che Leonardo potrebbe avere raffigurato, sono state menzionate, oltre a Monna Lisa del Giocondo, anche la duchessa Costanza d’Avalos, la marchesa Isabella d’Este, le nobildonne Pacifica Brandano e signora Gualanda.

Il punto di riferimento fondamentale è la narrazione di Giorgio Vasari da cui deriva la denominazione da sempre attribuita al quadro: “Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di monna Lisa sua moglie”.
Il racconto continua con la precisazione: “…e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto”.
Queste notizie sembrano non corrispondere al resoconto redatto dal segretario del cardinale d’Aragona, che avrebbe visto il ritratto in Francia quando fece visita a Leonardo. Il segretario annotò quello che aveva sentito dire dal maestro stesso sui suoi quadri: “In uno de li borghi el Signore con noi andò ad videre messer Lunardo Vinci fiorentino […] pictore in la età nostra excellentissimo, quale mostrò ad sua Signoria Illustrissima tre quadri, uno di certa donna fiorentina, facta di naturale ad istantia del quondam magnifico Juliano de Medici…”.
Dunque, dall’informazione raccolta direttamente presso il vecchio Leonardo, un anno e mezzo prima della sua morte, risulta che il quadro, perfettamente compiuto, raffigurava una donna fiorentina, ritratta “di naturale”, ed era stato eseguito su richiesta di Giuliano de’ Medici. Il riferimento all’esponente della famiglia Medici, sotto la cui protezione Leonardo era stato durante gli anni trascorsi a Roma, sposterebbe la datazione del dipinto a dopo il 1513, a meno che Leonardo non avesse incontrato Giuliano precedentemente, forse a Venezia nel 1500, certo non a Firenze da dove i Medici erano stati banditi con la proclamazione della Repubblica fiorentina.
La discrepanza fra le due fonti potrebbe tuttavia trovare una spiegazione e portare a un unica ipotesi: a Roma, magari proprio su incarico di Giuliano de’ Medici interessato a possedere un quadro di sua mano, Leonardo avrebbe potuto, anziché cominciare un nuovo dipinto, continuare a lavorare a quell’opera che aveva iniziato a Firenze. La Gioconda infatti, non doveva essere stata consegnata ai primi committenti, cioè alla famiglia del Giocondo, dato che il ritratto era rimasto incompiuto, “imperfetto” come attesta il Vasari. In questo caso I’opera si configurerebbe come il risultato di una lunga elaborazione, cominciata nei primi anni del Cinquecento e protrattasi fino all’ultimo periodo della vita del maestro; un processo di progressivo completamento realizzato da Leonardo che avrebbe continuato a lavorare sul dipinto nel corso del tempo, così da farvi confluire anche i risultati sviluppati parallelamente nell’ambito delle sue ricerche scientifiche. Si spiega quindi la molteplicità di elementi presenti nel quadro, dal riferimento al Ritratto di Isabella d’Este, del 1499-1500, per le mani e la torsione del busto, qui però risolta con il movimento del volto sospeso sul punto di raggiungere la frontalità; fino al rapporto invece con i successivi studi di geologia che si riflettono nel paesaggio di acque serpeggianti tra rocce e montagne sullo sfondo.
Soprattutto, quello che Leonardo riesce a racchiudere nel dipinto è il tema, elaborato nei suoi scritti, della profonda analogia tra il microcosmo del corpo umano e il macrocosmo della terra, entrambi intesi come organismi in cui è in atto il fluire della vita. Accanto alla rappresentazione attraverso gli studi anatomici, come quella che in un complesso disegno a Windsor indaga il sistema circolatorio del corpo femminile, Leonardo sviluppa il tema del “corpo della terra” descrivendolo così:
“La ramificazione delle vene dell’acqua sono tutte congiunte insieme in questa terra come sono quelle del sangue”.

Il corso d’acqua che scorre attraversando l’ampia vallata sullo sfondo, allude quindi con il suo fluire incessante, alla stessa percezione della vita che pulsa, suggerita attraverso la resa dell’incarnato, nella figura femminile in primo piano, secondo una suggestione quasi ipnotica di cui riferisce anche il Vasari: “chi intensissimamente la guardava, vedeva battere i polsi”.

II dipinto diventa un immagine cumulativa in cui si stratificano i significati e le conoscenze, in analogia con la tecnica utilizzata da Leonardo che consiste nella sovrapposizione di strati sottilissimi di vernice sulla superficie pittorica. Il risultato ottenuto, per trasparenze e sfumature indefinibili, rispecchia chiaramente i lunghi tempi d’esecuzione congeniali a Leonardo e rivela la sua inclinazione più che al “non finito”, al “mai finito”. Questa progressiva applicazione di velature, che rendono invisibile il tratto del pennello, permette di realizzare gli effetti della fusione tonale dei colori e della modulazione sensibile della luce conferendo una qualità impalpabile, atmosferica, all’incarnato, ai panneggi e al paesaggio.
Se lo spunto iniziale del ritratto è circoscritto a una specifica persona, è stato riscontrato che anche il paesaggio si riferisce probabilmente a una precisa localizzazione. La veduta che si apre alle spalle della figura, infatti, sembra corrispondere alla valle attraversata dal fiume Chiana nella zona di Arezzo: partendo da sinistra il suo corso tortuoso si svolge fino ad arrivare sulla destra dove sfocia nell’Arno, subito dopo avere superato la serie di arcate del medioevale Ponte a Buriano, tuttora esistente. Si tratta di un territorio che Leonardo aveva studiato dettagliatamente redigendo, forse per Cesare Borgia, proprio una Mappa della Val di Chiana con precise indicazioni sui rilievi montuosi e la distribuzione delle acque. Sullo sfondo del dipinto, in lontananza, i massicci rocciosi rispecchierebbero le imponenti formazioni dei calanchi del Valdarno Superiore.

Lo scenario si dispiega in un ampia veduta a volo d’uccello, oltre una balconata di cui si intravedono le basi delle colonne ai margini del quadro, che deve essere stato scorciato ai lati. E così come avviene per l’identità del soggetto, anche la rappresentazione del paesaggio assume nella trasfigurazione pittorica un significato che supera il dato reale di partenza, condensandosi nella visione delle stratificazioni rocciose sottoposte all’azione erosiva delle acque.

L’intero dipinto è permeato dal concetto dello scorrere del tempo e riflette gli ultimi sviluppi delle ricerche di Leonardo che si rivolgono sempre di più agli aspetti dinamici e ai processi di trasformazione. La figura femminile con la sua presenza viva immersa nel divenire perenne della natura dà corpo alla riflessione filosofica scritta da Leonardo: “L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima […] di quella che andò, e la prima di quella che viene, così il tempo presente”.
Lo stesso sorriso della Gioconda sarebbe nato, secondo il Vasari, dal pretesto di eliminarne l’espressione malinconica, così che, mentre Leonardo la ritraeva c’era “chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra”.
Nell’elaborazione di Leonardo il sorriso diventa il segno della mobilità espressiva, allude al mistero della profondità psicologica e si fa assimilabile al sorriso della conoscenza.
Leonardo porta così a compimento il processo evolutivo verso il ritratto idealizzato.
Le fattezze della Gioconda sono state messe direttamente in rapporto con quelle di Leonardo stesso, tanto che è stata avanzata l’ipotesi che il dipinto potesse essere perfino una sorta di autoritratto. Se la Gioconda è l’autoritratto di Leonardo, lo è perché rappresenta il ritratto della sua idea della pittura.
Si potrebbe anche dire che la Gioconda è un “autoritratto allo specchio”, nel senso che l’osservatore guarda nel dipinto quel viso di fronte al quale è stato, a lungo, il pittore stesso. È proprio questa l’idea che Leonardo annota fra le sue carte un anno prima della morte, quando scrive:
“Quel volto che in pittura riguardò in viso al maestro che lo fa, riguarda sempre tutti quelli che lo veggano”.
Come a dire che la Gioconda si rivolge al pittore che l’ha creata, ricambiando il suo sguardo. In questo intenso dialogo silenzioso tra l’immagine e il suo autore, chi osserva la Gioconda, e a sua volta ne viene guardato, sta al posto di Leonardo.

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