ROSSO MALPELO – Giovanni Verga

ROSSO MALPELO .

È uno dei racconti più forti del Verga e della letteratura di tutti i tempi. “Malpelo si chiamava cosi perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone”. Cosicché tutti nella cava di rena rossa dove lavorava lo chiamavano Malpelo. Ed era cattivo perché l’abbrutimento e la cattiveria degli uomini gli avevano impedito di essere buono. Quando gli altri operai, a mezzogiorno, smettevano il lavoro per andare a mangiare, riuniti in gruppo, la loro minestra, egli andava a rosicchiare il suo poco pane grigio appartato dagli altri. Ed era “sempre cencioso e sporco di rena rossa, ché la sua sorella s’era fatta sposa, e aveva altro per il capo che pensare a ripulirlo”. Se lo caricavano peggio di un asino egli non si lagnava; e se nella miniera accadeva qualche disgrazia, e la colpa non era quasi mai sua, egli si pigliava le busse senza protestare; tanto era vano. Si sfogava pero con l’asino grigio della miniera, caricandolo di legnate col manico della zappa, e con Ranocchio, un altro infelice ragazzo, più debole di lui, che egli aveva preso a proteggere: strana protezione, quella di Malpelo, fatta di busse, di magnanimità e di tenerezza. Avrebbe certamente preferito lavorare al sole, “fra i campi, in mezzo al verde, sotto i folti carrubi, e il mare turchino là infondo, e il canto degli uccelli sulla testa”. Ma il suo destino era lavorare nella miniera e morirvi anche lui, come vi era morto sua padre. L’arte somma del Verga scava nell’animo di questo ragazzo e ne coglie tutti i sentimenti con un verismo che appare impersonale, ma che invece nasconde tanta pena ed ha momenti di alta e commossa poesia. Notate il brano della soffocata aspirazione di Malpelo che avrebbe anche preferito un lavoro più umano sotto il sole “lungo le belle strade di campagna” come il carrettiere, o “cantando sui ponti, in alto, in mezzo all’azzurro del cielo come il manovale, o meglio ancora… fare il contadino, che passa la vita fra i campi, in mezzo al verde, sotto folti carrubi, e il mare turchino là in fondo, e il canto degli uccelli sulla testa”. E l’altro brano che rappresenta Malpelo quando accarezza i pantaloni di fustagno, tolti al cadavere del padre estratto dalla rena, e contempla le scarpe che erano state del morto: “….Se li lisciava sulle gambe quei calzoni di fustagno quasi nuovi, gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo che solevano accarezzandogli i capelli…. E le scarpe…. la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, l’una accanto all’altra, e stava a contemplarsele coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme per delle ore intere, rimuginando chi sa quali idee in quel cervellaccio”.

Nel trattare con i lavoratori poveri in Italia, Verga stava esponendo la continua arretratezza del Sud nell’Italia unita. In effetti, in questo momento eminenti politici erano in gran parte del Nord e non erano disposti a riformare le istituzioni del Sud; il presidente del Consiglio dell’epoca, Agostino Depretis, era lombardo. Allo stesso modo, il libro può essere letto come un primo pezzo di teoria o ricerca sociale, valutando che i problemi sociali subiti da molti in queste comunità povere erano una conseguenza del loro ambiente.

GIOVANNI VERGA 

Nacque a Catania nel 1840. Tranne brevi soggiorni, durante la gioventù, a Firenze e a Milano, trascorse la sua vita semplice e modesta a Catania, dove mori nel 1922.  Verga è il maggior rappresentante del nostro verismo e si può considerare, accanto al Manzoni, il più grande narratore italiano. La sua grandezza, più che nelle prime opere, legate ancora ad un romanticismo vago e sentimentale (I carbonari della montagna.., Una peccatrice.., Storia di una capinera.., Eva.., Tigre reale), si trovano nelle raccolte di novelle Vita dei campi e Novelle rusticane e nei due romanzi, che sono degli autentici capolavori, I Malavoglia e Mastro don Gesualdo. In queste ultime opere il Verga ritrae il paesaggio e i personaggi nettamente, come egli stesso dice, “coi colori; adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com’é stata”. Protagonista é il popolo minute di Sicilia con gli stenti, i dolori, le virtù, le passioni, le tragedie che lo accompagnano; quel popolo umile ed eroico di diseredati, che nella dura lotta per l’esistenza “levano le braccia disperate e piegano il capo sotto il piede brutale dei vincitori”. Il Verga, nel rappresentare questi cuori primitivi, che lottano senza speranza e senza luce di consolazione, non introduce mai commenti o considerazioni; ma sotto la tecnica verista, che sembra arida e crude, c’é la sua stessa anima che vibra di commozione di fronte alla miseria di quell’umile gente che la vita di stenti logora giorno per giorno e che si trascina nel dolore senza ribellarsi, accettando la realtà amara e desolata che non spera di mutare.

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