NOVECENTO (Atto I e Atto II) – Bernardo Bertolucci


NOVECENTO

Titolo originale – Novecento
Paese – Italia, Francia, Germania
Anno – 1976
Durata – 318 minuti
Colore – Colore
Audio – Sonoro
Genere – Drammatico, storico
Regia – Bernardo Bertolucci
Soggetto – Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci
Sceneggiatura – Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci
Produttore – Alberto Grimaldi
Casa di produzione – Les Productions Artistes Associees, Artemis Film
Distribuzione (Italia) – 20th Century Fox
Fotografia – Vittorio Storaro
Montaggio – Franco Arcalli
Effetti speciali – Bruno Battistelli, Luciano Byrd
Musiche – Ennio Morricone
Scenografia – Ezio Frigerio, Gianni Quaranta
Costumi – Gitt Magrini

Interpreti e personaggi

Robert De Niro: Alfredo Berlinghieri, figlio di Giovanni e Eleonora
Gérard Depardieu: Olmo Dalcò, figlio di Rosina
Burt Lancaster: Nonno Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero
Donald Sutherland: Attila Melanchini, il fattore
Dominique Sanda: Ada Fiastri Paulhan, moglie di Alfredo
Alida Valli: Ida Cantarelli Pioppi
Sterling Hayden: Leo Dalcò, contadino dei Berlinghieri
Stefania Sandrelli: Anita Furlan, moglie di Olmo
Werner Bruhns: Ottavio, figlio maggiore di Alfredo
Laura Betti: Regina, figlia di Amelia
Ellen Schwiers: Amelia, sorella di Eleonora
Anna Henkel: Anita, figlia di Olmo
Romolo Valli: Giovanni, figlio minore di Alfredo
Stefania Casini: Neve, la lavandaia
Francesca Bertini: Suor Desolata, sorella di Alfredo
Anna Maria Gherardi: Eleonora, moglie di Giovanni
Paolo Pavesi: Alfredo da ragazzo
Tiziana Senatore: Regina da bambina
Paulo Branco: Orso, figlio maggiore di Leo
Giacomo Rizzo: Rigoletto, il servo gobbo
Antonio Piovanelli: Turo Dalcò
Liù Bosisio: Nella Dalcò
Maria Monti: Rosina Dalcò, nuora di Leo
Roberto Maccanti: Olmo da ragazzo
José Quaglio: Aranzini, un proprietario
Pippo Campanini: Don Tarcisio
Patrizia De Clara: Stella
Fabio Garriba: Contadino all’esecuzione di Attila
Sergio Serafini: Un giovane fascista
Carlotta Barilli: Una contadina
Allen Midgette: Vagabondo che scagiona Olmo
Odoardo Dall’Aglio: Oreste Dalcò
Salvatore Mureddu: Capo delle guardie rege
Catherine Kosac: Rondine
Mimmo Poli: Fascista alla riunione in chiesa
Clara Colosimo: La donna che accusa Olmo
Angelo Pellegrino: Il sarto
Pietro Longari Ponzoni: Pioppi

ATTO PRIMO

“25 aprile 1945, il giorno della liberazione”, recita la didascalia. Quindi vediamo un fascista uccidere un partigiano, il contadinello Leonida che cattura il suo padrone, le donne nei campi che avvistano, inseguono e trafiggono Attila (Donald Sutherland) e Regina (Laura Betti). Nella stalla Leonida tiene sotto tiro il padrone (Robert De Niro), che ricorda. Inizia un lungo flashback, interrotto da brevi ritorni al presente storico. In una notte di molti anni prima il servo Rigoletto annuncia che Verdi è morto, contemporaneamente nascono il bastardo Olmo, figlio di Rosina, della famiglia patriarcale di Leo Dalcò (Sterling Hayden), e il piccolo Alfredo, nipote del padrone Alfredo Berlinghieri (Burt Lancaster).

Olmo (Roberto Maccanti) e Alfredino (Paolo Pavesi) diventano amici, giocano tra coltivi e canali padani, si sfidano a restare stesi sul binario mentre passa il treno. Il più audace e sprezzante naturalmente è Olmo. Durante una festa campestre il nonno Berlinghieri si fa “mungere” inutilmente il pene dalla paesanella Irma e poi si impicca nella stalla. L’erede è il figlio minore Giovanni (Romolo Valli), mentre il primogenito Ottavio (Werner Bruhns), un gaudente che vive a Parigi, ottiene un appartamento a Parma e un vitalizio annuo di cinquemila lire.
La città è ancora un mistero per i due ragazzi di campagna, che iniziano a differenziarsi: Alfredo scherza, ma già intuisce il rischio di avere per amico un “socialista dalle tasche buche”.
Una violenta grandinata distrugge metà del frumento e il nuovo padrone dimezza la quota spettante ai contadini. È la miseria: qualche tocco di polenta e un’aringa che oscilla sui tavoli nudi.
Nel giugno 1908 la Lega indice uno sciopero generale, i paesani incrociano le braccia, i padroni assoldano dei crumiri, protetti dalla cavalleria. Quindi muore Leo, “che ha visto Garibaldi”, i carabinieri reprimono manifestazioni pubbliche e il treno dei proletari passa sopra Alfredo, steso sul binario.

Da quel treno a un altro, che riporta a casa Olmo (Gérard Depardieu) dal fronte della Grande Guerra. Nella cascina il giovane incontra Anita Furlan (Stefania Sandrelli), profuga della provincia di Verona, ed è amore a prima vista.
Olmo e Alfredo (Robert De Niro) si ritrovano e baruffano come al solito; niente è cambiato: tenente e soldato, padrone e contadino. Giovanni Berlinghieri ha acquistato una trebbiatrice a vapore e ha assunto un fattore, Attila, che ben presto fa onore al suo nome. Mentre Anita alfabetizza i paesani, alcune famiglie vengono sfrattate dai padroni e i lancieri presidiano la Bassa.
Bandiere rosse sventolano sugli argini e le donne guidano la resistenza passiva, ma gli agrari, per liberarsi dai “bolscevichi”, si rivolgono ad Attila e alle camicie nere.

Olmo e Alfredo vanno insieme in città, dove tristemente si sollazzano con Neve (Stefania Casini), una ragazza epilettica. Ritroviamo Alfredo a Capri, in compa­gnia dello zio Ottavio e di una bella bionda, Ada (Dominique Sanda), che gli fa perdere la testa. Folleggiano ebbri di droga, ma un telegramma spezza la dolce vita annunciando la morte imminente di Giovanni. Il nuovo padrone è Alfredo, che sposa Ada, suscitando l’odio della cugina, l’isterica Regina, compagna delle prime scoperte sessuali. Intanto Anita è morta dando alla luce una figlia. Durante la festa nuziale Regina si fa notare con Attila e Ottavio appare con un regalo per Ada, uno splendido stallone bianco che si chiama Cocaina.

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Bertolucci, 40 anni dopo "Novecento": "Volevo mostrare a Pasolini che l'utopia era possibile" - la Repubblica

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ATTO SECONDO

Regina e Attila si amano in segreto. Lui afferma che borghesi e proletari sconteranno sull’altare della rivoluzione fascista.
L’adolescente Fabrizio, figlio dell’agrario Avanzini, li spia mentre sono a convegno e viene scoperto. Attila lo violenta, lo costringe ad assistere a un rapporto sessuale con Regina, quindi gli rompe la testa contro il muro. Il cadavere viene trovato dalla signora Ida Pioppi (Alida Valli) e Olmo, che è apparso in compagnia di Ada (il paesano l’ha presa nella sua rete per uccelli durante una cavalcata su Cocaina), viene accusato da Attila dell’assassinio di Fabrizio. Scagionato dalla testimonianza di un vagabondo, che si addossa la colpa dell’omicidio, Olmo inizia il mestiere di norcino insieme alla figlia Anita (Anna Henkel) e contemporaneamente diffonde le proprie idee politiche. Mentre Alfredo si è allontanato dal suo compagno d’infanzia, questi suscita l’amicizia di Ada, che fa scuola ad Anita.
Intanto Attila e Regina meditano di impadronirsi di villa Pioppi, ipotecata, e iniziano a terrorizzare Ida, che racconta tutto al confessore ma non viene creduta.
È Natale, nevica: Ada si ubriaca all’osteria, mentre Attila e Regina uccidono la signora Pioppi, che li ha invitati a entrare in casa per potersi vendicare. Il corpo di Ida, infilato sulle punte della cancellata, viene scorto da Alfredo e da Ada che tornano a casa. Quest’ultima fugge sconvolta e il marito la cerca nell’abitazione di Olmo.

Passano gli anni. Attila e Regina occupano villa Pioppi con una prole numerosa. Il fattore mostra ai contadini il nuovo trattore e annuncia di aver venduto Olmo, il cavallaro, che ormai non serve più. Per reazione i Dalcò lo ricoprono di sterco.
Olmo e Anita sono costretti ad abbandonare il cascinale e i fascisti si vendicano devastando la loro casa. A questo punto Alfredo si decide a licenziare Attila, ma è troppo tardi, Ada lo ha lasciato.
Mediante un flashback nel flashback torniamo a episodi della controversa amicizia fra le coppie: Olmo e Anita, Alfredo e Ada. Assistiamo a un ballo in cui i due si scambiano le compagne, all’incendio della Casa del Popolo, al funerale degli anziani che sono periti nel rogo, scortati dalla folla che agita bandiere rosse, alla scena macabra in cui Attila sceglie un gatto come simbolo del comunismo e lo uccide con una testata. Entrambi i flashback terminano in coincidenza con il massacro dei contadini da parte delle camicie nere di Attila, che si svolge nel cortile della cascina, tra la pioggia e il fango.

Vengono replicate la didascalia – “25 aprile 1945, il giorno della liberazione” – e parte della sequenza iniziale, fino al punto in cui Anita e le donne conducono la coppia malvagia nel cascinale Dalcò, chiudendola nel porcile. Giungono gli sfollati, riappare Olmo e viene allestito un tribunale popolare che decreta l’esecuzione di Attila.
Le fisarmoniche suonano, i paesani danzano al ritmo di “Bandiera rossa” sotto una grande tenda formata da molti vessilli cuciti insieme.
Leonida conduce Alfredo, che subisce il processo popolare e viene difeso da Olmo. Si proclama defunto il padrone, cade l’insegna “Azienda Agricola Berlinghieri”, ma arrivano i rappresentanti del CLN chiedendo ai contadini di consegnare le armi. Olmo rincuora gli astanti, Leonida piange in disparte, Alfredo conclude che il padrone è ben vivo.
Con un balzo avanti negli anni scorgiamo Olmo e Alfredo, ormai decrepiti, litigare lungo un sentiero di campagna.
Alfredo si stende sul binario e, passato il treno, torna bambino.

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1976 Bernardo Bertolucci porta nelle sale Novecento il suo affresco sull'Italia che fu. - YouTube

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COMMENTO

Novecento (1976), affresco magniloquente, omaggio ai volti e ai corpi dei contadini emiliani (come si legge a chiusura dei titoli di testa), è accolto freddamente negli Stati Uniti, incrinando quella prospettiva internazionale che Bertolucci aveva già mostrato di apprezzare con “Ultimo tango a Parigi”. Il film viene drasticamente ridotto (di settantacinque minuti circa) e rimosso dai circuiti dopo alcuni giorni di programmazione; sarà riproposto integralmente solo nel 1991. Ma non c’è da stupirsi che l’epopea fiammeggiante di Bertolucci risulti sgradita nel paese del capitalismo reale. In Italia il regista incontra i soliti problemi di censura: un giudice di Salerno, sollecitato dalla denuncia di un iscritto a un’associazione di reduci, ne ordina abusivamente il sequestro. La sceneggiatura, scritta con il fratello e con Franco Arcalli, è stata tradotta sul set in ben dodici mesi di riprese, tra il 1974 e il ’75. La lunga lavorazione di Novecento è testimoniata da due cortometraggi in 16 mm., Bertolucci secondo il cinema di Gianni Amelio e Abcinema di Giuseppe Bertolucci, entrambi realizzati nel 1975.

Gli intenti questa volta sono platealmente dichiarati – al solito fin dai titoli di testa – grazie a una riproduzione del dipinto “Il quarto stato” (1894-1901) di Giuseppe Pellizza da Volpedo. La triade di personaggi (due uomini e una donna con bambino in braccio) che guida un fronte compatto di proletari rende il quadro particolarmente adatto a introdurre un melodramma storico come Novecento. Tutto converge nel sottolineare l’anno d’inizio dei nuovo secolo, anche la morte di Verdi (27 gennaio 1901).
Per dire che nel cinema di Bertolucci niente accade casualmente e ogni coincidenza è il frutto di un disegno complessivo.
Il servitore chiamato Rigoletto, vestito da buffone del duca di Mantova, evoca l’opera verdiana che accompagna la morte del padre in “Strategia del ragno”: Athos, nato proprio nel 1900.
Attila il boia, Olmo piantato come un grande albero nel limo padano, Alfredo e l’inquieta Ada, il raffinato Ottavio, la sventurata Rosina, Anita che porta il nome della moglie di Garibaldi: i personaggi alludono a figure storiche e al contempo fantastiche, sono prodotti dell’immaginazione popolare. Così l’uomo che libera Olmo dall’accusa di omicidio è un vagabondo e un miserabile alla Victor Hugo, come il contadino che sfida Giovanni Berlinghieri assomiglia al pittore Ligabue e, tagliandosi un orecchio, ripete il gesto di Van Gogh.
I riferimenti ai Dumas e alla letteratura di Ponson du Terrail ci indicano quello a cui ambisce l’estro di Bertolucci: il “roman feuilleton”, o romanzo d’appendice, vigoroso intreccio di storia e leggenda, pozione composita d’eroismi, sacrifici, sgozzamenti e orrori vari.

L’intento di perpetuare con il cinema (espressione del nostro secolo) la valenza del teatro musicale ottocentesco, quella di grande forma d’arte popolare, attribuisce a “Novecento” un’aura “sacrale” e metaforica. Valga come esempio la citazione del malvagio shakespeariano tramite il personaggio di Attila.
Giusto all’inizio della seconda parte Regina si rivolge all’amante: “Chi sei tu?”. La domanda replica quelle identiche poste da Athos figlio (Strategia del ragno) e da Jeanne (Ultimo tango a Parigi) rispettivamente alla statua del padre e a Paul, che rappresentano anche l’eterno mister Hyde.
Nell’Otello di Shakespeare, Iago, che si finge onesto e fedele consigliere dei Moro, schiude uno spiraglio sugli abissi della propria interiori ta affermando: “I am not what I am”. Proposizione a specchio che acutamente illustra lo sdoppiamento dell’Io. Nello stesso modo potrebbe rispondere Attila, che subito evoca lo spietato condottiero degli Unni e il titolo di un melodramma verdiano, lo stesso potremmo chiedere al fascismo: “Chi sei tu?”. Inoltre, se Attila è Iago, verosimilmente Otello è Alfredo più Olmo, cioè la sintesi del censo e di un coraggioso idealismo proletario che tuttavia non impediscono al fascismo di trionfare.

A questa triangolazione storica se ne aggiungono altre, comiche o emblematiche.
Le tre generazioni dei Berlinghieri: nella prima parte il nonno Alfredo prende a calci il figlio Giovanni, che fa lo stesso con il giovane Alfredo.
Il reduce Olmo, furioso per la maledizione eterna che non abbandona i contadini, sventra un sacco di grano con la baionetta e deve quindi fronteggiare la reazione di Giovanni e di Attila, cioè il lavoratore si oppone al padrone e al suo alleato fascista.
Questi triangoli – insieme a quelli canonici di tipo sentimentale – ruotano intorno a una cifra simbolica, meno evidente ma significativa. Se riflettiamo ancora sui nomi dei protagonisti, ci accorgiamo che domina fra essi la “A” maiuscola: Alfredo, Attila, Anita, Ada. Il collegamento con il monogramma che caratterizza la protagonista di un noto romanzo di Hawthorne, The Scarlet Letter (La lettera scarlatta – 1850), e vuol dire Adultera, produce un ulteriore riferimento letterario: a Scarlet O’Hara, ambigua eroina di “Gone with the Wind”, romanzo celebre e melodramma cinematografico. Da qui torniamo a “Strategia del ragno”, dove il legame con “Via col vento” viene suggerito dal nome della cittadina rurale in cui si svolge il film, Tara. E il gioco è fatto: se ne ricava un’ellissi e un procedimento circolare utili a comprendere tutta l’opera di Bertolucci. Se poi si considera che Athos Magnani è un traditore, non della fedeltà coniugale, come l’adultera Hester Prynne, ma di un progetto politico (sebbene entrambi possiedano un lato buono), ecco che la ragnatela si amplia, diventando la rete da uccellatore di Olmo, dove resta preso anzitutto l’addetto ai lavori.

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Altre occasioni di paragone letterario non mancano. Ad esempio Olmo rammenta, nel nome e nel ruolo, il ritratto formidabile del pastore Oak, o Quercia, in “Far from the Madding Crowd” di Thomas Hardy. Seguono tocchi di cinefilia: gli agrari organizzano una grande caccia agli acquatici, come i proprietari terrieri della Règle du jeu sterminano fagiani e conigli; Alida Valli collega “Novecento”, “Strategia del ragno” e “Senso”, facendosi simbolo dell’eredità viscontiana che Bertolucci ha pienamente accolto: l’affresco storico-melodrammatico, l’epica, il rimpianto di un’aristocrazia spirituale e di stile, il proustismo, la vocazione al sublime.

Infine è necessario elencare le suggestioni pittoriche: Pierre-Auguste Renoir (ovviamente anche Jean) e Manet (Le déjeuner sur l’herbe) per la sequenza della festa campestre accompagnata dalle ocarine; addirittura Caravaggio per il serto di rane guizzanti confezionato da Olmo fanciullo, che ci appare quindi pagano, bacchico; il valore materico e il pittoricismo degli elementi trattati: acqua, frumento, sterco, latte, sangue, sperma, fango, pioggia. Scrive Thomas Stearns Eliot, ispiratore di uno splendido trittico dipinto da Francis Bacon: “Birth, and copulation, and death. / That’s all the facts when you come to brass tacks: / Birth, and copulation, and death”. Lo stesso Bacon ha spiegato: “Anything that’s at all accurate about life is always macabre. After all you’re born to die”. La tensione funerea di Novecento è indubbia, com’è certa la necrofilia filmica di Bertolucci, che si esplicita anche nell’uso ossessivo dei medesimi contenitori-feretri: la residenza dei Berlinghieri è quella di Draifa in “Strategia del ragno”.

Bertolucci è un esteta, filtra e distilla la Storia, l’affabula con l’espediente tecnico del flashback, ne fa un gioco di scatole cinesi. Ad esempio si dilunga nel racconto degli ozi di Ottavio, autentico “arbiter elegantiarum”, in compagnia di Ada e di Alfredo, a Capri, dove il primo ama fotografare scugnizzi nudi incoronati di mirto; oppure strizza l’occhio allo spettatore di facile appetito nella sequenza in cui Neve masturba Olmo e Alfredo all’unisono; o cade nel “grand guignol” ammiccante delle scene di stupro, violenza e massacro, spesso amministrate da un grottesco, ghignante, lemurico Attila.

La Storia di Bertolucci è un’allucinazione, anzi un incubo fuseliano. Non basta rievocare il mondo perduto della civiltà contadina emiliana con pose scultoree e gruppi oleografici, tanto meno con un falso documentario sulla macellazione del maiale (che cita l’apprendistato del regista). Non bastano i fazzoletti e le bandiere rosse, né il lavacro monocromatico in cui ci immergono il direttore della fotografia e lo scenografo. Né servono le frasi stentoree, la retorica dei capi, l’eroismo desantisiano e i canti del popolo intero, le coreografie di massa in cui manca solo il libretto di Mao. Il cóté ideologico dell’autore sembra un manifesto della rivoluzione culturale cinese, anzi un dragone di carta assolutamente inoffensivo.

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Stasera in tv, 16 marzo 2021: su Rai Movie il film Novecento di Bertolucci

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