IL CINEMA ITALIANO DEL DOPOGUERRA 

IL CINEMA ITALIANO DEL DOPOGUERRA 

Sarebbe davvero impresa difficile abbozzare un quadro, anche solo approssimativo, di ciò che ha espresso la cinematografia mondiale nel dopoguerra. Una enorme quantità di film è stata immessa nei circuiti internazionali da una industria sempre poderosa, nonostante i non pochi e non lievi problemi – tecnici e finanziari – che essa ha dovuto affrontare, in gran parte derivati dalla necessità di difendere il proprio spazio dalla concorrenza televisiva.

Difficile é anche stabilire quale sia – tra tante pellicole prodotte – la percentuale dei film d’arte o comunque di qualità superiore. Probabilmente assai bassa è tuttavia pur sempre numericamente considerevole.

La realtà é che il cinema forma, con la televisione, il cardine del sistema di informazione e di comunicazione di massa e quindi rappresenta uno dei veicoli attraverso i quali la società tecnologica e consumistica impone la propria logica. Ma, come avviene nella letteratura e nelle arti – e forse, per la natura stessa del mezzo, in misura più rilevante – il cinema riflette anche nelle sue manifestazioni migliori, storture e contraddizioni dell’attuale assetto della società.

Le considerazioni fatte circa i condizionamenti, i problemi, le motivazioni estetiche e ideologiche che hanno informato gli sviluppi della letteratura italiana, possono dunque servire anche per il cinema. Analogamente, può valere per il cinema anche la periodizzazione con la quale si e cercato di fissare nel tempo, e in rapporto a condizioni politico-sociali determinate, l’evoluzione della letteratura e delle arti: un periodo iniziale comprendente la Resistenza e il primo dopoguerra, la crisi attorno agli anni cinquanta, il cinema del “boom” e del decennio sessanta.

Il neorealismo

I caratteri e la vocazione realistica del cinema italiano del dopoguerra, erano stati anticipati da quel cinema di opposizione al ”regime” che aveva dato, tra il 1942 e il 1943 – alla vigilia della caduta del fascismo – due opere di grande interesse: I bambini ci guardano di Vittorio De Sica e, soprattutto, Ossessione di Luchino Visconti. In questi due film, diversi per contenuti e scelte formali, vi era in comune il distacco definitivo dal cliche tipico del cinema del regime: la commedia cosiddetta ”brillante”, l’ottimismo a ogni costo, i personaggi irreali e grotteschi, specchio di un’Italia inesistente. Entrambi i film proponevano invece la scoperta di quell’Italia autentica che il fascismo aveva tentato per venti anni di tenere nascosta. L’importanza di queste opere sta, inoltre, nel fatto che in un certo modo esse servirono da lezione ai cineasti italiani i quali, una volta finita la guerra, si dimostrarono preparati ad accogliere, in maniera originale, ciò che una ricchissima e turbolenta realtà andava quotidianamente proponendo.

La Resistenza costituì, logicamente, il più immediato e impegnativo banco di prova: un allora giovane regista, Roberto Rossellini, seppe superarlo, consegnando alla risorgente cinematografia italiana due opere davvero memorabili: Roma città aperta e Paisà.

Roma città aperta è la prima testimonianza poetica della resistenza italiana, e il quadro vivo di una situazione che vide divenire gli “uomini della strada”, le donne, i ragazzi, i veri protagonisti della nuova storia civile del nostro paese. Un prete e un comunista lottano per la stessa causa. Dietro di loro si muove un quartiere popolare di Roma, coi suoi casoni squallidi, i cortili in cui la storia di ognuno è la storia di tutti e dove le sofferenze, le speranze, le gioie sono comuni. La forza di Roma città aperta è in questa molteplicità di elementi umani coagulati in una unità superiore… L’insofferenza per la retorica, e l’amore per la cronaca viva, già maturati fra gli intellettuali degli anni precedenti, avevano evidentemente influenzato Rossellini e ora gli consentivano di mettersi dietro la macchina da presa, spoglio di ogni preconcetto. Vere strade e vere case erano il suo teatro e il suo campo di esplorazione e di ricerche. Volti noti di professionisti dello schermo e del teatro, miracolosamente immersi in quella scenografia naturale, diventavano nuovi ed espressivi. E i ragazzi presi dalla vita reale, e i personaggi secondari, armonizzavano il colloquio tra ambienti e figure umane, arricchivano l’intelaiatura del racconto di motivi coloriti e di spunti drammatici (da Storia del cinema italiano, di Carlo Lizzani)”.

In Paisà – un film dalle caratteristiche del documentario a episodi, che segue il passaggio della guerra sul suolo italiano, dalla Sicilia alle foci del Po – Rossellini si ripete a livelli altissimi di verità e di poesia.

Ma Rossellini non era certo una voce isolata: resistenza e dopoguerra ispirarono altri dotatissimi cineasti. Alessandro Blasetti apponeva la sua firma a Un giorno nella vita, Aldo Vergano realizzava Il sole sorge ancora, entrambi film di storie partigiane. Sugli “eroi” del dopo-resistenza, di quel tempo drammatico e torbido, puntarono gli obiettivi delle ”camere” Alberto Lattuada (con il Bandito), Giuseppe De Santis (Caccia tragica) e Vittorio De Sica con Sciuscià un film che approfondiva il discorso e la poesia del precedente I bambini ci guardano.

Queste opere delineavano, concretamente, il tipo di impegno che il nuovo cinema avrebbe dovuto perseguire. Il linguaggio era dettato da una realtà vista senza infingimenti, attraverso il documento e la cronaca veri. Con la consapevole messa a nudo dei fatti, con l’impeto della denuncia con una sobria ma non per questo meno toccante poesia, il cinema italiano presentava al mondo le sue credenziali, forniva la testimonianza di uno straordinario recupero culturale e ideologico, impartiva un’autentica lezione di estetica e di tecnica cinematografica.

Importante era, inoltre, il fatto che a tale impostazione veniva uniformandosi la produzione cinematografica ”media”, quella che in definitiva decide della formazione del gusto nel pubblico più esteso: Luigi Zampa realizzava il bel film Anni difficili, mentre Renato Castellani dava l’avvio, con Sotto il sole di Roma, a un nuovo tipo di commedia realistica, eleggendo i quartieri popolari e le minute, quotidiane traversie dei suoi abitanti, a materia di rappresentazione.
Pietro Germi dirigeva Gioventù perduta altro film di cronaca, legato a un problema attuale e scottante, e contribuiva a consolidare la “scuola” del cinema realistico italiano.
Scuola che, tra il 1948‘ e il 1950 conquista con i suoi esponenti di maggior prestigio, nuove posizioni in campo internazionale.

Nell’estate del 1948 viene infatti presentato alla Mostra di Venezia, La terra trema di Luchino Visconti. Tratto dall’opera I Malavoglia di Giovanni Verga, il  film racconta della vita e del dramma d’una famiglia di pescatori di Acitrezza, in Sicilia, e costituisce uno degli esempi più affascinanti e rigorosi di realismo cinematografico. Interpretato dagli stessi pescatori del luogo, che si esprimono nella lingua e nei modi che sono loro propri, che vivono, nella finzione del film, i loro autentici drammi, La terra trema dà la misura delle altezze cui era pervenuta la decima arte in Italia, e reca tutta intera l’impronta di un regista tra i più grandi, in assoluto, della nostra epoca.

Ma il quadro della produzione di quegli anni non si esauriva nell’acuto di Visconti: Vittorio De Sica iscriveva il proprio nome tra i grandi del cinema d’ogni tempo con due film di altissima qualità: Ladri di biciclette e Miracolo a Milano, alla cui sceneggiatura collaborò Cesare Zavattini.
La prima di queste opere è la storia di un disoccupato, che dopo essere riuscito a ottenere un posto di attacchino, viene derubato dello strumento indispensabile del suo lavoro, la bicicletta, e, disperato, cerca a sua volta di rubarne una.

Il quadro che viene fuori da Ladri di biciclette non é più quello della disgregazione del dopoguerra; più che una
società in sfacelo o in ebollizione, c’é in questo film una società stanca, che mostra la corda, e proprio per questo
più crudele e disperata.

A Visconti e De Sica si affiancano, ancora, Rossellini con Germania anno zero, Francesco giullare di Dio, Stromboli; De Santis con Riso amaro e Non c’é pace tra gli ulivi; Lattuada con Senza pietà e Luci del varietà (a quest’ultimo collabora l’esordiente Federico Fellini); Pietro Germi con In nome della legge e Il cammino della speranza; Michelangelo Antonioni, con Cronaca di un amore.

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