LETTERA SEMISERIA DI GRISOSTOMO – Giovanni Berchet

LETTERA SEMISERIA DI GRISOSTOMO

Giovanni Berchet

Giovanni Berchet immagina, in questo scritto, di essere un vecchio “dabbene” di nome Grisostomo (vale a dire “bocca d‘oro”. Con questo pseudonimo egli firma i suoi articoli su “Il Conciliatore“) che risponde al figlio studente il quale gli aveva chiesto di tradurre alcune poesie lodate da Madame de Staël. Grisostomo profitta dell’occasione per dibattere i problemi posti dal Romanticismo e la funzione, che uno scrittore moderno è chiamato ad assolvere. In maniera molto sensata ed efficace, il “vecchio” polemizza contro i fautori del Classicismo, accusati di giudicare una opera solo per la sua aderenza o meno alla tradizione, alle regole formali, mentre, al contrario, essa va valutata in rapporto alla sua capacità di cogliere e rappresentare i sentimenti e le aspirazioni del popolo. Per cui Grisostomo consiglia al ragazzo di metter via i libri che sostengano idee ormai superate e di leggere invece le opere del Vico, di Schiller, di Madame de Staël.

Alla fine della lettera e dopo aver esposto compiutamente le proprie idee, Grisostomo finge di ritrattare tutto, affermando di aver solo voluto farsi beffe dei romantici. La ritrattazione finale è, ovviamente, un ironico scherzo, che giustifica l’appellativo di “semiseria” dato alla lettera.

Una delle pagine più importanti di questo singolare documento letterario è quella in cui Crisostomo – dopo aver individuato nel popolo il vero destinatario della poesia (nel senso appunto che il poeta deve interpretarne sentimenti e ideali) – indica il modo in cui la poesia può – e deve essere costruita per obbedire a tale fine, una poesia che abbia a base “l’imitazione della natura e non “l’imitazione dell’imitazione” (1). Riportiamo, dunque, questo interessante brano della “Lettera“.

* Di mano in mano che le Nazioni europee si riscuotevano dal sonno e dall’avvilimento, di chi le aveva tutte ingombrate la irruzione dei barbari dopo la caduta dell’impero romano, poeti qua e là emergevano a ringentilirle. Compagna volontaria del pensiero e figlia ardente delle passioni, l’arte della poesia, come la fenice, era risuscitata di per sé in Europa, e di per sé anche sarebbe giunta al colmo della perfezione. I miracoli di Dio, le angosce e le fortune dell’amore, la gioia de’ conviti, le acerbe ire, gli splendidi fatti de’ cavalieri, muovevano la potenza poetica nell’anima de’ Trovatori (2). E i Trovatori, né da Pindaro (3) istruiti né da Orazio (4) correndo all’arpa, prorompevano in cantici spontanei (5) ed intimavano all’anima del popolo (6) il sentimento del bello, gran tempo ancora innanzi che l’invenzione della stampa e i fuggitivi di Costantinopoli profondessero dappertutto i poemi de’ Greci e de’ Latini (7). Avviata così nelle Nazioni d’Europa la tendenza poetica, crebbe ne’ poeti il desiderio di lusingarla (8) più degnamente. Però industriaronsi per mille maniere di trovarsi soccorsi; e giovandosi della occasione si volsero anche allo studio delle poesie antiche, in prima come ad un santuario misterioso, accessibile ad essi soli, poi come ad una sorgente pubblica di fantasie, a cui tutti i lettori potevano attingere. Ma ad onta degli studi (9) e dell’erudizione, i poeti che dal risorgimento delle lettere giù fino a’ dì nostri illustrarono l’Europa, e che portano il nome di moderni tennero strade diverse. Alcuni, sperando di riprodurre le bellezze ammirate ne’ Greci e ne’ Romani, ripeterono e più spesso imitarono modificandoli, i costumi, le opinioni, le passioni, la mitologia de’ popoli antichi.

Altri interrogarono direttamente la natura: e la natura non dettò loro né pensieri né affetti antichi, ma sentimenti e massime moderne. Interrogarono la credenza del popolo, e n’ebbero in risposta i misteri della Religione cristiana, la storia di un Dio rigeneratore, la certezza di una vita avvenire, il timore di una eternità di pene. Interrogarono l’animo umano vivente: e quello non disse loro che cose sentite da loro stessi e da’ loro contemporanei; cose risultanti dalle usanze, ora cavalleresche, ora religiose, ora feroci, ma, o praticate e presenti, o conosciute generalmente; cose risultanti dal complesso della civiltà del secolo in cui vivevano.

La poesia de’ primi è “classica”, quella de’ secondi è “romantica”. Così le chiamarono i dotti d’una parte della Germania, che dinanzi agli altri riconobbero la diversità delle vie battute dai poeti moderni. Chi trovasse a ridire a questi vocaboli, può cambiarli a posta sua. Però io stimo di poter nominare con tutta ragione poesia de’ morti la prima e poesia de’ vivi la seconda. Non temo di ingannarmi dicendo che Omero, Pindaro, Sofocle, Euripide, ecc. ,” al tempo loro furono in certo modo romantici, perché non cantarono le cose degli Egizi e de’ Caldei, ma quelle dei loro Greci; siccome il Milton (10) non cantò le superstizioni omeriche, ma le tradizioni cristiane. Chi volesse poi soggiungere che anche fra i poeti moderni seguaci del genere classico quelli sono i migliori che ritengono molta mescolanza del romantico, e che giusto allo spirito romantico essi devono saper grado se le opere loro vanno salve da l’oblio, parmi che non meriterebbe lo staffile (11). E la ragione non viene ella forse in sussidio di siffatte sentenze, allorché gridando c’insegna che la poesia vuole essere specchio di ciò che commuove maggiormente l’anima? Ora l’anima è commossa al vivo dalle cose nostre che ci circondano tutto il dì non dalle antiche altrui, che a noi sono notificate per mezzo soltanto de’ libri e della storia.

Allorché tu vedrai addentro in queste dottrine, e ciò non sarà per via delle gazzette (12), imparerai come i confini del bello poetico siano ampi del pari a quelli della natura, e che la pietra di paragone, con cui giudicare di questo bello, è la natura medesima, e non un fascio di pergamene (13), imparerai come va rispettata davvero la letteratura de’ Greci e de’ Latini; imparerai come davvero giovartene. Ma sentirai altresì come la divisione proposta contribuisca possentemente a sgabellarti dal predominio sempre nocivo della autorità (14). Non giurerai più nella parola di nessuno, quando trattasi di cose a cui basta il tuo intelletto (15).

Farai della poesia tua una imitazione della natura, non una imitazione di imitazione. A dispetto de’ tuoi maestri la tua coscienza ti libererà dall’obbligo di venerare ciecamente gli oratori di un codice vecchio e tarlato, per sottoporti a quello della ragione, perpetuo e lucidissimo (16). E riderai de’ tuoi maestri che colle lenti sul naso continueranno a frugare nel codice vecchio e tarlato, e vi leggeranno. fin quello che
non v’è scritto.

(1) è una critica rivolta ai classicisti che ispirandosi a modelli letterari ‘e artistici dell’antichità, non facevano altro che imitare ciò che gli antichi avevano a loro volta imitato dalla natura

(2) poeti e cantastorie del Medioevo

(3) poeta greco vissuto nel VI secolo avanti Cristo

(4) celebre scrittore e poeta latino del I secolo avanti Cristo

(5) in tutto questo periodo Berchet delinea l’ambiente medioevale, capace di suscitare nei trovatori potenza e invenzione poetica, pur se questi erano i privi d’una cultura “classica”, derivata da Pindaro, Orazio, ecc.

(6) diffondevano tra il popolo

(7) i fuggitivi sono i dotti greci fuggiti da Costantinopoli, dopo la conquista turca della città (1453). Grazie anche alla invenzione della Stampa, essi divulgarono i capolavori della letteratura greca e latina

(8) favorirla

(9) nonostante gli studi

(10) poeta inglese vissuto dal 1608 al 1675, autore del “Paradiso perduto

(11) non meriterebbe la frusta, cioè non direbbe uno sproposito

(12) giornali, periodici

(13) come dire le vecchie regole, ormai invecchiate e superate

(14) sentirai come la divisione dei poeti in classici e romantici contribuirà a liberarti del peso negativo della tradizione

(15) non accetterai come legge la parola di nessuno, allorché si tratta di questioni a portata della tua intelligenza

(16) non sarai più costretto a seguire i sostenitori di regole vecchie ma ti sottoporrai alle regole della ragione.

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