1 – ALESSANDRO MANZONI – Vita e opere

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ALESSANDRO MANZONI

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Alessandro Manzoni è certamente qualcosa di più che un eccelso scrittore, egli può essere considerato l’interprete, sul piano della cultura, del carattere e delle aspirazioni delle classi borghesi – e non soltanto lombarde – che si muovono, dopo una difficile esperienza storica e politica, verso l’obiettivo dell’unità d’Italia e della democrazia.

Poche sono le date che segnano momenti decisivi nella vita di Alessandro Manzoni. E sono tutte, si può dire, concentrate nei primi tre decenni dell’800. 

Eppure la sua presenza, lungo il secolo, si prolungò ben oltre la metà di esso e fu contemporanea ad avvenimenti che trasformarono completamente il volto della penisola italiana, che diedero finalmente una patria agli italiani.

Nato a Milano il 7 marzo 1785, quattro anni prima che scoppiasse la Rivoluzione Francese, vide l’Impero napoleonico e il suo crollo, la Restaurazione e la Santa Alleanza, i primi moti carbonari, su su fino alle insurrezioni del ’48 alla guerra del ’59, alla proclamazione del Regno.

Se non proprio di spettatore distaccato, il suo tuttavia fu sempre un atteggiamento estremamente moderato…, egli non si impegnò mai nell’azione, la sua fu… anche se circondata dall’ammirazione, dall’affetto, dalla venerazione di molti… una vita solitaria e modesta, nella quale ciò che accadeva fuori dalla sua villa di Brusuglio nella Brianza, o dalla sua casa di via Morone a Milano lasciava soltanto una eco.

Ed eccole, dunque, queste date del primo triennio del secolo. Nel 1801 Alessandro sedicenne lascia il collegio Longone.

Figlio di una famiglia nobile… suo padre, Pietro, era un proprietario terriero oriundo della Valsassina, sua madre, Giulia Beccaria, era figlia di Cesare Beccaria (l’autore del celebre saggio “Dei delitti e delle pene”)… aveva avuto una educazione letteraria raffinata…, anche se impartita in Istituti tenuti da religiosi, piena delle idee illuministiche.

Come stupirsi quindi se… ammiratore del Parini, dell’Alfieri e del Monti, nel campo della poesia, e dei giacobini in politica, a quell’età si mette a scrivere un poema che narra il “Trionfo della Libertà” esaltando la Rivoluzione Francese ?

Riporto qualche verso. Brutto, magari, ma interessante per renderci conto dell’influenza che il giacobinismo poteva esercitare persino su un giovinetto allievo dei padri Comaschi e dei Barnabiti.

Ecco che si fa avanti la Libertà,
con due bandiere spiegate, sulle quali sta scritto…
– Pace a le genti, guerra ai tiranni.
Quinci è colei, che del comun diritto
Vindice, a l’ima plebe i grandi agguaglia,
Sol disuguai per merito o per delitto…
E se ne vede che un capo in alto saglia
E sdegni assoggettarsi alla sua libra
Alza la scure adeguatrice, e taglia.
Evvi una cruda, che uno stile innalza
E ‘l caccia in mano all’uomo e dice… “scanna”
E forsennata va di balza in balza
Nera coppa di sangue ella tracanna
E lacerando umane membra a brani
Le spinge dentro a l’insaziabil canne…
Sapete chi è questa “cruda” che tracanna da nere coppe? La religione.
Ma Alessandro non s’accontenta, e aggiunge…
Langue il popolo per fame, e grida “pane”
E gozzoviglia stansi e in esultanza
Le Frini e i Duci, turba che di vane
Larve di fasto gonfie e di burbanza
Spregia il volgo, onde nacque, e a cui comanda.

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Dall’ateismo al grido di ribellione contro Frini e Duci, c’è proprio tutto nel “Trionfo della Libertà”.

Gli anni giovanili rappresentano un periodo non molto importante ma pieno di fervore nella vita di Manzoni.

Oltre al già ricordato poemetto “Il trionfo della libertà”, scrisse “L’autoritratto”, un sonnetto ispirato a quello omonimo dell’Alfieri, le odi “Qual su le cinzie cime” e ” “Nove fanciulle d’immortal bellezza”, di impronta neoclassica e nelle quali evidente appare l’influenza del Monti. A queste poesie vanno ancora aggiunti i quattro “Sermoni”, una denuncia “alla Parini” del malcostume del tempo e del lusso sfrenato delle classi ricche.

Passeranno quindici anni, e Manzoni scriverà gli “Inni sacri”. Tuttavia mai egli rinnegherà quei versi giovanili…

” Li riconosco per miei, come follia di giovanile impegno, come dote di puro e virile animo”.

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Negli anni successivi, tra il 1801 e il 1805, stringe rapporti di amicizia con numerosi intellettuali milanesi e con gli esuli napoletani, primo fra tutti Vincenzo Cuoco. Da questi è indotto a riflettere sul valore delle opere di Vico e del Macchiavelli, cosa che lo porta a mitigare notevolmente i suoi giovanili entusiasmi per le idee illuministiche e a considerare l’unità e l’indipendenza della patria come il problema di fondo che si pone alle coscienze e all’azione degli italiani.

Nel 1805, mentre il regime napoleonico è al suo apice, ecco Manzoni a Parigi. Ha raggiunto sua madre, che fin dal 1795 aveva abbandonato il padre, per seguire il suo amante Carlo Imbonati.

Questi, quando Alessandro arriva nella capitale francese, è già morto… Lasciando Giulia sua erede universale. Madre e figlio iniziano un percorso di viaggi. Il soggiorno nella capitale francese, che si protrarrà per circa cinque anni, è importantissimo per la sua maturazione culturale.

Entra in rapporto con la scrittrice M.me De Staèl, con lo storico Fauriel, di cui sarà molto amico, con le moderne correnti ideologiche europee. Studia le letterature del ‘600 e del ‘700, dà ampio respiro alla sua preparazione e alle sue conoscenze.

In questo ambiente inizia in lui un processo di costante evoluzione che approderà, nel 1801, nel ritorno alla fede religiosa.

Sulla sua “conversione” influiscono, senza dubbio, episodi particolari e importanti della sua vita, come il matrimoniocontratto, nel 1808, con Enrichetta Blondel, una ragazza svizzera di Ginevra cresciuta in una famiglia calvinista ma anch’essa convertitasi al Cattolicesimo, e come l’amicizia che lo lega al sacerdote genovese Eustachio Degola.

Dall’indifferenza giovanile… a contatto con gli ambienti cattolici parigini e, più genericamente, con quelli dove ormai regna il romanticismo… Alessandro si avvicina al cattolicesimo. Ma un cattolicesimo filtrato attraverso il Giansenismo, carico di elementi culturali, pieno di fermenti “liberali”. Non è certo, il suo, cattolicesimo di Controriforma…, non è oscurantista, teocratico, temporalistico.

Esso si basa su colloquio diretto del credente con la divinità, intesa non teologicamente, ma nel modo più immediato, sincero, diretto, simile a quello della gente semplice ed umile.

A Parigi compose la più importante delle sue opere giovanili, il “Carme in morte di Carlo Imbonati”. E’ un colloquio che Manzoni s’immagina di condurre con l’Imbonati stesso cui fa esprimere una serie di osservazioni e consigli sul modo di condurre l’esistenza. Il “Carme” rappresenta una sorta di severo e doloroso programma di vita che Manzoni traccia per se stesso, tutto basato sull’impegno morale.

Sempre a Parigi scrisse, Nel 1809, un poemetto a carattere mitologico, “Urania”, di cui però si dichiarò ben presto scontentissimo.

Ricelebrato con rito cattolico il matrimonio con Enrichetta, nel 1810 Manzoni lascia Parigi, e si stabilisce nella villa di Brusuglio.

Nel 1815 vedono la luce gli “Inni sacri”, “La Resurrezione”, “Il nome di Maria”, “Il Natale”, “La Passione”, sono componimenti poetici in cui i temi più ardui del cristianesimo vengono assunti come motivo di poesia, di una poesia semplice, immediata, senza disquisizioni teologiche, con un tono familiare, dimesso. A questi quattro inni, seguirà più tardi, quello dedicato alla “Pentecoste”… in cui il cristianesimo è sentito e presentato come parola di fraternità, di uguaglianza e di giustizia per tutti gli uomini.

L’apparizione degli “inni sacri” fu un avvenimento importante per la storia del romanticismo italiano. Nell’itinerario spirituale manzoniano, essi sono altrettanto importanti perché la avvicinano al suo mondo, chiarendo con lui stesso la sua concezione del cristianesimo che poi sarà materia di dramma e di romanzo più avanti.

Quando, nel 1821, Carlo Alberto accetta la costituzione, e la gente si aspetta la guerra all’Austria, il Manzoni scrive l’ode “Marzo 1821”.

La libertà della patria, la lotta per l’indipendenza sono sentite come atti di solenne giustizia cristiana.

Altro avvenimento importante dell’anno, la morte di Napoleone. Manzoni apprese solo il 17 luglio del 1821, dalla “Gazzetta”, della scomparsa di Napoleone, avvenuta oltre due mesi prima nell’isola di Sant’Elena, e ne fu profondamente emozionato. Significativo il suo commento…

“Che volete ? Era un uomo che bisognava ammirare senza poterlo amare…, il maggior tattico, il più infaticabile conquistatore, colla maggior qualità dell’uomo politico, il saper aspettare, il saper operare. La sua morte mi scosse, come al mondo venisse a mancare qualche elemento essenziale…, fui preso da smania di parlarne e dovetti buttar giù quest’ode, l’unica che, si può dire, improvvisassi in men di tre giorni. Ne vedevo i difetti ma sentivo tal agitazione, e tal bisogno di uscirne, di metterla via, che la mandai al censore.

Questi mi consigliò di non pubblicarla, ma dal suo stesso uffizio ne uscirono le prime copie a mano”.

Parole illuminanti circa l’ispirazione dell’ode, il suo significato. In un impianto grandioso, come grandiosa è la vicenda cui si riferisce, la lirica ha un andamento insieme solenne e stringato, meditativo e di azione, tanto da far parlare di “taglio cinematografico” dei versi, per a loro vigoria e la capacità di sintesi con le quali i fatti sono delineati.

Alcuni critici hanno definito il “5 maggio” un esempio di “barocco” manzoniano, confortati in questo dalla osservazione di Francesco de Sanctis che, riferendosi all’ode, affermava appunto…

“Si tratta di fare con la parola quello che fa il pittore…non rompere le distanze, sopprimere i tempi, togliere le successione degli avvenimenti, fonderli, aggrupparli, e di tanti avvenimenti, diversi per tempi e per luoghi, formare uno solo che produca impressione istantanea”.

Un ciclo storico si chiude… “5 maggio 1821”. E il poeta Manzoni guarda ad esso con gli occhi della gente semplice, degli umili per i quali è cosa che lascia sbigottiti e pensierosi l’ascesa e il fulgore nella gloria dei potenti, e poi il loro crollo, la loro condanna a cadere nella polvere. Già qui si intravede quello che è il motivo dominante delle sue tragedie, e poi dei “Promessi Sposi”… la nemesi della storia.

Cresciuto in pieno clima romantico, il Manzoni sente profondamente il problema della storia…, che senso abbia la lunga serie di eventi in cui gli uomini, attraverso i secoli si agitano, lottano, costruiscono, si dilaniano, peccano, si redimono, scontano le loro colpe, questo lo preoccupa a fondo. In tutto ciò egli sente la presenza di qualcosa che tutto dirige e sovrasta… la mano di Dio, la provvidenza. Ed ecco che, in due tragedie, ci mostra come essa agisca.

La prima delle tragedie tratta di Francesco Bussone , detto il “Il Conte di Carmagnola”(1380-1432) e narra le vicende del famoso condottiero , capitano di ventura che fu prima al soldo del milanese Filippo Maria Visconti e poi, angustiato dall’ingratitudine di questi, al servizio della Repubblica di Venezia. E sotto le bandiere veneziane sconfisse il suo vecchio padrone, nella battaglia di Maclodio (17 ottobre 1427)..senonché, i veneziani lo accusarono di non aver saputo trarre dalla vittoria tutti i vantaggi possibili e lo sospettarono ingiustamente di una segreta intesa col Visconti, e per questo venne arrestato e fatto decapitare.

Accecato dalla fortuna, salito in alto per gloria e potenza, il Conte di Carmagnola finisce… come Napoleone… con il crollare miseramente…, ed è una grande lezione, poi, che di tante cose colpevole, egli muoia ucciso per una colpa che non ha, per un sospetto di tradimento.

La tragedia, teatralmente non molto riuscita, va anche famosa per il coro dedicato appunto alla battaglia di Maclodio e che inizia con i celeberrimi versi… “S’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo…” , versi in cui ci sono accenni di patriottismo che non sfuggirono allora.

Come la storia sia una inesorabile giustiziera il Manzoni ce lo dimostra anche e soprattutto con “L’Adelchi”.

Qui è il mondo dell’alto medioevo che viene ripreso, il clima dei tempi di ferro della storia italiana. Il grande conflitto tra il papato e i Franchi (chiamati in Italia dalla corte romana) da un lato, e i longobardi dall’altro, travolge colpevoli e innocenti…, la giovane e dolce Ermengarda, il forte, leale e coraggioso Adelchi pagheranno con la vita il passato di violenze, di guerre, di usurpazioni della loro gente.

“L’Adelchi” è del 1822. In quegli anni, intanto, oltre ad altri scritti in prosa, scritti teorici come “La morale cattolica”, il Manzoni ha già messo mano al suo romanzo, esemplificando qui, meglio che in ogni altra forma letteraria, le sue concezioni sulla storia e sugli uomini, in una narrazione distesa, dal respiro ampio e solenne.

Nel 1824 il primo tomo del romanzo passa in censura, nel 1825 comincia la stampa, col titolo di “Fermo e Lucia”…, l’opera completa è pronta nel 1827.

Da quell’anno, sarà, fino al 1840-1842, un continuo lavoro di rifinitura, di perfezionamento. Il titolo definitivo diventerà “I promessi sposi”…, la lingua si affinerà dopo un soggiorno fiorentino (a Firenze, il Manzoni conoscerà tra gli altri intellettuali locali, anche il Leopardi, che in una sua lettera esprimerà il suo parere favorevole sull’opera dello scrittore lombardo), le edizioni, in mille formati diversi, a dispense, in tomi illustrati, in tirature anche illegali.

Dei “Promessi sposi” ho fatto un’opinione a parte collegata a questa pagina.

Consegnata alle generazioni che stavano facendo il Risorgimento la sua grande opera… e il suo pubblico fu soprattutto fatto di lettori appartenenti ai ceti medi, alla borghesia liberale…, il Manzoni si ritirò sempre più nella sua vita solitaria e non produsse più nulla di importante.

La vena si inaridisce, il poeta decade, l’uomo è provato…, la vita del Manzoni viene colpita, con impressionante frequenza, da vicende dolorose, come la morte della moglie Enrichetta nel 1833, della madre nel 1841, della seconda moglie Teresa Borri Stampa nel 1861 e, infine, di ben sei figli, spentisi nel volgere di non molti anni.

Dopo i “promessi sposi” Manzoni cessa del tutto di occuparsi di poesia e di narrativa e rivolge i suoi interessi alla storia.

Infatti nel discorso “Del romanzo ed in genere de’ componimenti misti di storia e d’invenzione” (pubblicato nel 1845) egli giunge a negare la validità del romanzo storico, ritenendo che non vi sia bisogno di ricorrere all’invenzione per apprendere ciò che solo la storia, in quanto tale, può farci apprendere nei suoi termini reali. E a questi convincimenti sono ispirate le opere si può dire conclusive della sua attività… “Storia della colonna infame” e il “Saggio comparativo sulla rivoluzione francese del 1789 e sulla rivoluzione italiana del 1859”.

La “Storia della colonna infame” – il più interessante dei due scritti _ è dedicata al processo intentato contro gli “untori” (cioè i presunti propagatori della peste che colpì Milano nel 1630) in seguito al quale vennero condannati e crudelmente giustiziati i due supposti capi della congiura (“infame” venne chiamata appunto la colonna eretta sul luogo dove era stata abbattuta la casa di uno dei due, a ricordo dell’infamia da questi commessa e della giusta condanna). Manzoni, rivedendogli atti del processo, cercò di dimostrare l’innocenza dei due “untori”, vittime dell’ignoranza, della superstizione popolare, della viltà dei giudici.

A questi scritti sono ancora da aggiungere gli appunti per un saggio mai portato a termine, dal titolo “Della lingua italiana” e una serie di dissertazioni, come le lettera a Giacinto Carena “Sulla lingua italiana” e la relazione al ministro Broglio sul tema “Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla” (1868).

Di lui rimase nella gente l’immagine bonaria e serena, quella eternata dal pittore Hayez nel famoso quadro.

Nel 1848 vide con sollievo l’insurrezione contro gli Austriaci, e parteggiò per i patrioti (il suo più giovane figlio fu fatto prigioniero, la mattina del 19 marzo, a Milano, e tradotto in carcere nel forte di Kufstein…, fu poi liberato in uno scambio di prigionieri)…, nel 1858, essendo gravemente ammalato, rifiutò di ricevere l’arciduca Massimiliano d’Austria recatosi da lui a chiedere personalmente sue notizie. Di idee liberali e ammiratore di Cavour, si dichiara contro il potere temporale della Chiesa e a favore di Roma capitale d’Italia.

Nominato senatore nel 1860, nel 1868 ebbe un incarico dal ministro Broglio per studiare provvedimenti atti “a rendere più universale in tutti gli ordini del popolo la notizia della buona lingua”.

La sua lunga vita si conclude a Milano, il 22 maggio del 1873.

Cattolico liberale, Alessandro Manzoni fu il più insigne rappresentante della cultura italiana uscita dagli anni della rivoluzione e dell’età napoleonica…, egli, nella sua opera rappresenta il momento più alto raggiunto dalla coscienza della borghesia italiana nei confronti del problema nazionale che cessa di vedere in modo astratto e teorico, ma concepisce concretamente…, coi suoi scritti questa borghesia finisce con il rendersi conto delle condizioni di secolare arretratezza del paese. E tuttavia, appunto per le sue condizioni di classe, il Manzoni non riesce a dire una parola che sia il segno di una volontà e di una capacità di portare fino in fondo la rivoluzione intrapresa.

Sussiste in lui la diffidenza nei confronti delle forze popolari, di fronte alla cui iniziativa mantiene un atteggiamento paternalistico, allo scopo di conservare la propria posizione di superiorità. Per rendersi conto di questo, basta guardare al modo come è narrata la storia di Renzo e Lucia, come nel grande romanzo sono visti gli umili, come il distacco “paternalistico e padreternale” si senta continuamente , di pagina in pagina.

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